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Non so se vi è mai capitato di sentirvi vicino ad un personaggio al punto da considerarlo un «amico», pur non conoscendolo personalmente.A me è capitato con Michel Petrucciani (1962 - 1999) e ricordo che otto anni fà la notizia della sua scomparsa il giorno dell'Epifania del 1999, mi rattristò come può rattristarti la perdita di un vecchio amico.
I motivi di questo feeling sono diversi. Innanzi tutto era uno di miei musicisti preferiti; lo seguivo fin dai suoi esordi discografici, l'ho ascoltato diverse volte in concerto, possiedo quasi tutti i suoi dischi e molti video dei suoi concerti, che rivedo e riascolto spesso con piacere.Inoltre molti anni fà a Perugia, durante Umbria Jazz, in un ristorante, incontrai casualmente suo padre, venuto di corsa dalla Francia, per accompagnare il figlio in sostituzione di Lee Konitz, che all'ultimo momento aveva dato forfait. Tra parentesi quell'esperienza fu lo spunto per un bellissimo album Conversation (with my father). Fu un incontro molto interessante, appena capì che ero un vero ammiratore di Michel si aprì immediatamente. Parlammo a lungo del figlio e della sua musica, mi raccontò dell'educazione musicale che gli aveva dato, della fatica e dei sacrifici, che però ricordava con orgoglio, per essere riuscito, nonstante tutto, a farne un grande musicista. Quella sera dopo il concerto avrebbe dovuto presentarmi Michel, ma la cosa non fu possibile per colpa di un addetto al servizio d'ordine troppo zelante.Inoltre Michel era un artista che si differenziava dagli altri per il suo particolare handicap, anche se non era il solo affetto da handicap, mi vengono in mente Ray Charles, Roland Kirk, Steve Wonder, Diane Schuur, ecc., che però erano o sono tutti ciechi.
Egli invece era affetto da una gravissima malattia delle ossa (osteogenesis imperfecta) che ne ostacolava lo sviluppo. Era alto poco più di un metro e, per molti anni, arrivava in scena in braccio ad una persona che lo sedeva al piano. Solo negli ultimi anni, grazie alla sua indomita forza di volontà, riusciva ad entrare in scena con le stampelle e, letteralmente, ad arrampicarsi sullo sgabello. Ricordo ancora che la prima volta che vidi quella scena mi commossi.Infine egli era orgoglioso della sua origine italiana, suo nonno era della provincia di Salerno, amava l'Italia dove suonava spesso ed aveva inciso anche alcuni dischi.Di seguito un video che contiene l'intero concerto realizzato al Village Vanguard di New York nel 1984, dal quale fu tratto anche un famoso album.
Infine un video-intervista realizzato nel 1997, poco più di un anno prima della morte, in cui Michel illustra il suo nuovo progetto del quintetto, fino allora il trio era stato il suo ambito preferito, quintetto con il quale aveva registrato un dei suoi ultimi album Both Worlds.
La formazione comprendeva i nostri Flavio Boltro alla tromba e Stefano Di Battista ai saxes (che per mettersi in luce erano dovuti emigrare in Francia), Bob Brookmayer al trombone ed i fedelissimi Anthony Jackson al basso elettrico e Steve Gadd alla batteria.michel petrucciani - intervista (1997) di giangijazz
Si tratta di un doveroso omaggio ad un amico, che con il tempo cercherò di arricchire con altro materiale.
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