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Michela contro la Mafia, Nonostante la paura

Creato il 12 giugno 2013 da Tipitosti @cinziaficco1

“C’erano tante file di poltrone vuote, avevo l’imbarazzo della scelta, così optai per una poltrona in terza fila e decisi che quello sarebbe stato il mio posto, dal momento che mi consentiva di vedere tutto quello che accadeva in aula. Volsi lo sguardo intorno e scoprii numerose gabbie che somigliavano tanto a quelle dello zoo; dentro c’erano tutti gli imputati: alcune celle erano affollate, altre meno. Proprio dietro le mi spalle c’era una gabbia con un uomo solo, di mezza età, seduto con aria piuttosto seccata. Lo guardai e mi fece pena. “Mischinu! Stu vecchiariddu – pensai – Chi potti fari? Pari malatu”.

Michela contro la Mafia, Nonostante la paura
Così Michela Buscemi racconta il suo ingresso nell’aula bunker dell’Ucciardone, dove nel 1986 iniziò il primo maxiprocesso alla mafia contro 450 imputati.

Lo fa in un libro, davvero tosto, uscito nel 1995, oggi ristampato in una edizione più ricca da La Meridiana, dal titolo Nonostante la Paura.

Quasi 120 pagine in cui Michela, palermitana, racconta la sua storia di ingiustizie, maltrattamenti subiti sin dall’infanzia nella sua famiglia, e di riscatto.

Schierandosi contro sua madre, le sue sorelle, i suoi cognati, Michela, che oggi ha cinque figli, ha fatto i conti con la mafia, denunciandola, anche se nella paura di nuovi attentati e nel ricordo delle violenze subite. La mafia le ha ammazzato due fratelli Salvatore e Rodolfo e una cognata. Lei si è costituita parte civile al primo maxi processo di Palermo. L’ha fatto esponendo a rischi i suoi bambini e suo marito.

Dense, molto commoventi sono le pagine dedicate a sua madre, “la vigliacca di sempre” che, “povera dentro” – sono le parole di Michela – è stata incapace di difenderla.

“Mi faceva rabbia – scrive- pensare che una madre non volesse giustizia dopo l’assassinio di due figli. Ma ci sono sunnu matri, matruzze e matrazzi recita un proverbio siciliano. Le matri danno la vita per i propri figli, le matruzze sono incapaci di difendere e proteggere le creature messe al mondo, le matrazze abbandonano i figli senza preoccuparsi della loro fine. Mia madre appartiene alla seconda categoria di madri”.

Michela, la ribelle, la donna – come scrive nella Prefazione Maria Maniscalco, ex sindaco di san Giuseppe Jato (Palermo), che aveva combattuto mille battaglie quotidiane, salta il fosso, si lascia alle spalle un modo di rasseganti, di poveri  uomini e povere donne imbrigliati nel bisogno e nella paura”.

Oggi Michela non è più sola. Ha conosciuto  gruppi di lotta alla mafia, quali l’associazione Donne contro la mafia, di cui fa parte e il Centro Impastato.

Il suo libro è dedicato a tutte le donne che riescono a rompere il silenzio, complice della mafia. Nonostante la paura.

Vi consiglio di leggerlo!

                                                                                                                          Cinzia Ficco

                                                                                                                               

                                              


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