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Michele Alboreto e la Ferrari N. 27

Da Postpopuli @PostPopuli

di Francesco Gori

Se mi chiedono chi era Michele Alboreto, non posso che rispondere “la Formula 1 degli anni Ottanta, rappresentante di un mondo lontano, eppur capace ancora di emozionare al ricordo.

Erano i primi anni dei “Mitici”, e il pilota nato a Milano il 23 dicembre 1956, guidava una Ferrari. Chi scrive era un bambino, e stava assistendo al suo primo gran premio in assoluto da un divano, nel cuore della campagna toscana: fu nel ritiro della Rossa preferita che conobbe per la prima volta il sapore dolce-amaro del tifo motoristico, compresa un’ingenuità tutta infantile: “Ci credo che si è ritirato, si è staccato il volante!” risposi alle affermazioni tecniche del mio amico più grande, da intenditore di motori quale non ero.

Michele Alboreto era l’indimenticabile n.27 di Maranello. Un pilota gentleman, capace di andar forte rispettando gli avversari. Anti-personaggio per scelta, faceva della serietà in pista il suo punto forte: le sue indicazioni tecniche erano precise e preziose, la grinta non gli mancava. Ci andò vicino al titolo, Michele. Correva l’anno 1985, il suo secondo di rosso vestito, dapprima con il compagno degli esordi René Arnoux, poi con la meteora Stefan Johansson. A suon di piazzamenti si portò in testa al mondiale, vinse in Canada e soprattutto in Germania (i suoi due unici successi con il team di Enzo, altri tre in Tyrrell) con una rimonta spettacolare ai danni del rivale Prost. Ma il finale di stagione fu segnato da guai tecnici continui della sua Ferrari 156-85, con conseguenti ritiri che consegnarono l’iride al francese della McLaren.

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Alboreto e la sua Ferrari 156-85 n.27 – oldschool-brain.tumblr.com

Anche nelle stagioni successive, la Ferrari non si dimostrò un mostro di affidabilità, e guasti tecnici insieme ad incidenti sfortunati, minarono una carriera che non conobbe più acuti. La magica doppietta Ferrari nel Gran Premio di Monza del 1988, ad un mese dalla morte dell’amato Enzo Ferrari, colui che lo aveva scelto per indossare la tuta di Maranello, fu l’ultimo, amaro podio rosso: a vincere fu infatti Berger, con Alboreto incollato negli scarichi.

Conclusa l’epopea rossa, gli ultimi anni in Arrows (poi divenuta Footwork) e Minardi. Ero a Montecarlo per lui, nel 1991: tifavo ancora rosso, ma era un rosso striato, quello della Footwork numero 9 dal casco giallo-blu. Mentre cercavo di carpirne i segreti con la macchina fotografica, Michele non apparve più. Si ritirò mestamente, mentre a vincere fu un certo Ayrton Senna, davanti a Nigel Mansell e a Jean Alesi, un altro Paperino della Formula 1 che lo aveva sostituito al volante di una Ferrari. E nel mio futuro cuore ferrarista.

Poi le gare a ruote coperte, la Le Mans, le apparizioni in RAI come commentatore, con la sua faccia pacioccona e il suo gergo tecnico. Fino a quel tragico 25 aprile 2001 a Lausitzring quando durante i test di preparazione alla 24 Ore, nella Germania in cui aveva ottenuto la vittoria più bella, una foratura ne cancellò in un istante l’esistenza.

Tanti auguri Michele, ultimo italiano a vincere alla guida di una Ferrari.

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