Una sorta di Klark Kent. Per alcuni giorni la settimana inforca gli occhiali, lavora al pc e sta sempre in giro a caccia di scoop. Per il resto, vive con la sua famiglia tranquillo in campagna, tra le sue amiche pecore, a fare il pastore. Il bello è che non si sente un supereroe.
E allora, perché far passare Michele Arbau per un soggetto tosto? Semplice. “Ho scelto una vita appassionata – dice – libera, incosciente. Ho solo seguito il mio cuore”. Nessun condizionamento, dunque. E un sogno: quello di poter fare in assoluta libertà sia il pastore, sia il giornalista per l’Unione sarda. Un vita faticosa? “Io non mollerò mai – dichiara – perchè sono un vero pastore”.
Sono nato il 30 dicembre del ’76. Sono di Ollolai, l’antica capitale della Barbagia, comune di 1400 anime in provincia di Nuoro. Secondo di tre figli, sono sposato dal marzo dello scorso anno con Michela e babbo da sedici mesi di Giuseppe. Dopo aver conseguito la maturità classica a Macomer mi sono laureato in Filosofia a Sassari in cinque anni come studente a tempo perso. Non ho mai fatto vita da studente, ma ho sempre vissuto in ovile a Macomer e andavo a Sassari per gli esami. Da due anni ho anche un master in marketing e comunicazione.
Da quanto tempo è giornalista? Lavora per l’Unione Sarda, è così?
Ho cominciato a scrivere nel 2003 con la Nuova Sardegna, mentre con l’Unione ho iniziato nel 2004. Da poco abbiamo interrotto la collaborazione. Ora scrivo saltuariamente, ma ho un progetto niente male con mia moglie, per il quale tornerei a scrivere. Vediamo.
Di cosa si occupa di preciso?
Di tutto. Ero corrispondente per la Barbagia e mi occupavo di politica, sport, cultura, cronaca.
Come fa a conciliare questo lavoro con quello di pastore? Immagino sia abbastanza faticoso sdoppiarsi.
Più o meno. Attività in campagna e viaggi in Barbagia per seguire i vari eventi, che mi interessavano per il giornale. Il mio non è mai stato un giornalismo da scrivania. Sono sempre andato sul posto: seguivo calcio, riunioni politiche, manifestazioni culturali, vertenze. Il tutto grazie ai miei genitori e mio fratello, che chiamano l’avvocato-pastore o come si definisce lui “il servo pastore di scorta”. Sono loro che riescono con grandi sacrifici a coprirmi. La volontà e la passione fanno la differenza.
Dove vive di preciso?
Abbiamo l’ovile tra Macomer e Santu Lussurgiu, a due chilometri dal borgo turistico di San Leonardo. Io e la mia famiglia siamo dei “nomadi”. Viaggiamo tra l’ovile e la nostra casa di Ollolai.
Mi descrive una sua giornata ?
Vivo secondo i ritmi delle stagioni e le necessità degli animali, che alleviamo in azienda. La sveglia squilla sempre presto: nei periodi di maggiore produttività per la mungitura, d’estate per lavorare al fresco. La mia giornata tipo inizia prima del sorgere del sole. Poi prendo una pausa per il pranzo, torno tra gli animali subito dopo. Rientro solo quando ho finito di accudire gli animali. Ad alleggerire la fatica, ripeto, sono i miei genitori. La loro presenza insostituibile mi lascia il tempo di seguire cronaca e appuntamenti per il giornale
Per quante ore lavora?
Non mi piace quantificare le ore di lavoro. Non l’ho mai fatto e non mi pongo limiti. Faccio quello che mi piace.
Che sensazione le dà la possibilità di fare due attività così diverse? E, soprattutto, quanto fare il pastore l’ aiuta a fare bene il giornalista?
Non ho mai realmente scisso le due cose o, perlomeno, non le ho mai considerate distinte o distanti. Lavorare nell’ azienda di famiglia è come bere l’acqua. Non riesco a farne a meno: ci sono nato. Chiunque, secondo me, dovrebbe fare il pastore nella vita per imparare a fare bene qualsiasi altro mestiere, non solo il giornalista.
Perché?
Un buon pastore è puntuale, preciso, bravo amministratore, economo, commerciante, rispetta l’ambiente, ha buoni rapporti di vicinato e per ultimo deve essere burocrate con una solida scrivania. Non a caso il fatto di essere pastore ha fatto la differenza anche all’Università.
Quanti animali ha?
Alleviamo pecore sarde da latte (come il 99 per cento delle aziende sarde). Oltre alle pecore, circa 750, abbiamo anche una ventina di maiali, cani e gatti. Fra poco avremo anche le galline e speriamo anche qualche asino.
Quanto è faticoso fare oggi il pastore in Sardegna?
Se dalla domanda eliminassimo oggi, che tradotto significa soldi, profitto, ti direi che fare il pastore è il mestiere più bello del mondo. Tempo fa scrissi che il pastore è fuori mercato, da questo mercato spietato dove vince e sopravvive chi fa più profitto. Ma il pastore è il futuro, anche se oggi i numeri ci dicono che rischia l’estinzione. Lo richiede la natura stessa, lo testimoniano i giovani di oggi che sono orgogliosi della loro terra e delle loro tradizioni. E tradizione, identità, terra sono sinonimi di pastore. Oggi i bambini e i giovani si sentono per strada cantare a tenore, giocare alla morra, vestono il velluto. Questo è il nostro mondo, il mondo del pastoralismo, che ha ottenuto il riconoscimento dell’Unesco come patrimonio dell’umanità. Noi abbiamo fallito, i nostri figli risorgeranno.
Fare il pastore in altre regioni è diverso?
E’ faticoso come qua, e in diversa misura è viziato dagli stessi problemi. Certo l’insularità ci penalizza: prezzo dei mangimi e del latte. In Sardegna siamo al Medioevo. Infatti, gli industriali caseari li chiamiamo i baroni del latte. Il problema è l’incapacità di chi ci governa. Gigi Riva nei giorni scorsi ha dato la definizione giusta. Li ha definiti politici di serie B. Ma questo è un capitolo che non voglio affrontare in questa sede, perché richiede e merita una riflessione più attenta e puntuale. Altrimenti questi signori da 15 mila euro al mese ti tacciano immediatamente di qualunquismo. Parliamo di cose serie.
Non c’è solidarietà tra voi?
Solidarietà? E’ un sentimento insito in questo modo di vivere, dimostrato con azioni semplici e concrete, mai sbandierate al vento.
I suoi genitori, i suoi nonni erano pastori? Perché non ha mollato un mestiere che – ammetterà- è un po’ faticoso e forse monotono?
Pastori in pianta stabile dalla notte dei tempi, nonni, bisnonni, trisavoli. Mia moglie è figlia, nipote, di pastori. No, non ci annoiamo. Siamo solo un po’ monotematici! Per noi la pastorizia non è un mestiere. E’ un modo di vivere.
Gli industriali continentali, che hanno deciso di spegnere gli altiforni di Alcoa, o gli altri innumerevoli imprenditori, che dopo aver mangiato a larghe mani dai finanziamenti pubblici hanno chiuso, mollando il territorio sardo a una crisi senza precedenti: ecco, quelli hanno mollato. Chi molla danneggia il territorio e un’intera economia. Chi molla non ha identità. Lavora per il profitto. Il pastore che molla la sua attività o è stato costretto a farlo o è cinico come gli industriali. Dunque, non è pastore, ma semplicemente parcheggiato in campagna. Il pastore non molla. Io, da aspirante pastore, ci provo, nonostante tutto, come direbbe il poeta Burnes.
Un Governo che si è preoccupato di voi, dei vostri problemi?
Sulla carta sono tutti attenti ai problemi della pastorizia sarda, ma, per usare un eufemismo, non capiscono niente. L’auspicio è che non se ne occupino. Farebbero meno danni.
Oggi l’attenzione di media, Governo, lavoratori, aziende e sindacati è tutta concentrata su due vertenze: Carbonsulcis e Alcoa. Cosa prova? E come andrà a finire?
Dove sono accesi i riflettori, lì volano gli avvoltoi: mondo politico, sindacale e i nostri colleghi. Giocano con le vite umane, i sentimenti, le speranze, la disperazione delle persone. Sono dei vigliacchi. Non finirà bene.
In futuro?
La pastorizia come ho già detto è il futuro, a condizioni che i nostri fratelli minori, i nostri figli diventino protagonisti del proprio domani. Ora.
La sua vita è?
Appassionata, libera, incosciente.
Si sente un tipo tosto?
Non so. Non ho fatto nulla di straordinario. Ho solo avuto la fortuna di avere una solida famiglia alle spalle, che mi ha appoggiato in tutte le mie scelte, oltre che incoraggiato. Poi, come tutti, potrei avere qualche rimpianto, è normale, ma ho tutto quello che desidero e mi basta. E, soprattutto, l’ho conquistato con poco. E’ stato facile. Magari la deluderò, ma non mi sento un tipo tosto. Ho solo seguito il mio cuore.
Cinzia Ficco