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Michele Landi, storia di un suicidio controverso

Creato il 11 ottobre 2010 da Antonellabeccaria

La voce delle vociQuesto articolo è stato scritto a quattro mani con Roberto Laghi e pubblicato (in una versione leggermente ridotta) sul numero di ottobre di La Voce delle Voci.

È il 4 aprile 2002. Sono circa le undici di sera quando i vigili del fuoco e i carabinieri di Tivoli trovano il corpo senza vita di Michele Landi nella sua casa di Guidonia Montecelio, a una trentina di chilometri da Roma. È stata la fidanzata ad allertare le forze dell’ordine perché da troppe ore Michele non risponde al telefono. Una corda intorno al collo con un nodo scorsoio, le gambe piegate con le ginocchia appoggiate sul divano, l’appartamento in disordine, ma senza segni di violenza. Quella mattina Landi avrebbe dovuto tenere una lezione agli uomini della guardia di finanza alla Luiss Management, ma non si è mai presentato. Cellulare spento e telefono di casa che squilla a vuoto. L’ipotesi del suicidio è la prima a farsi strada.

Ma chi era Michele Landi e di cosa si occupava? Tecnico informatico, era stato consulente di Umberto Rapetto, tenente colonnello della Fiamme Gialle, e del pubblico ministero di Palermo Lorenzo Matassa. Nelle loro prime dichiarazioni, entrambi escludono l’ipotesi del suicidio. Di più: Matassa pensa a un omicidio maturato in ambienti ben precisi: «Penso ai servizi segreti, quelli che hanno cercato di dare un segnale a chi sta lavorando sull’omicidio del professore Marco Biagi», secondo quanto riporta il quotidiano La Stampa del 7 aprile.

Un parere «informale» su un’indagine di terrorismo
Michele Landi era stato intervistato il 27 marzo precedente da una giornalista di Radio 24 a proposito della rivendicazione delle Nuove Brigate Rosse sull’omicidio di Marco Biagi, avvenuto a Bologna otto giorni prima. Su quella rivendicazione Landi stava lavorando «informalmente», come dichiara lui stesso alla cronista che lo ha contattato, senza nessun incarico ufficiale nell’indagine. Anche perché quell’inchiesta era nelle mani di una squadra investigativa dedicata, che già si stava avvalendo di consulenti propri, fuori e dentro Wind, l’azienda di telecomunicazioni da cui era partita la rivendicazione tramite una scheda prepagata che consentiva qualche giorno di anonimato. Inoltre, scavando nel curriculum dell’informatico, Landi fu anche perito per l’avvocato Rosalba Valori, difensore di Alessandro Geri, presunto telefonista – verrà in seguito scagionato da ogni addebito – delle Nuove Br per l’omicidio di Massimo D’Antona, il consulente del ministero del lavoro assassinato a Roma il 20 maggio 1999.

Questo, in poche immagini, il contesto in cui si consuma il suicidio del 4 aprile 2002. In seguito al quale le voci partono incontrollate, a proposito dei motivi che potrebbero aver spinto qualcuno a uccidere l’uomo mascherando quel delitto per una morte auto-inferta. Si parla di scoperte che riguardano l’abbattimento del Dc9 sopra Ustica il 27 giugno 1980, sistemi bellici di tipo elettronico, e un ex gladiatore, il “Doctor Franz”, nel novembre 2003 sostiene che Landi avesse scoperto la provenienza della rivendicazione dell’omicidio Biagi: un computer di un ministero. Voci, appunto, la cui verifica risulta difficile, se non impossibile.

Poi, all’improvviso, cala il silenzio. Più nessuna agenzia, nessun articolo, pochissime ricostruzioni nei libri. Come se di questo caso non si volesse o non si potesse parlare, come se non interessasse più capire esattamente che fine ha fatto il giovane informatico. Un silenzio che va al di là del pudore per una morte che non ci si aspettava, sia stato suicidio o fatalità. Eppure sono in tanti, ancora oggi, a essere convinti che sia successo qualcosa di “strano”. Tra questi il giornalista e scrittore Daniele Biacchessi che, nel libro L’ultima bicicletta. Il delitto Biagi (Mursia, 2003) e nella trasmissione radiofonica Il giallo e il nero, in onda su Radio 24 l’8 aprile 2007, sostiene l’esistenza di un collegamento con le indagini sulla morte del giuslavorista bolognese. Intanto le Nuove Br vengono smantellate e Marco Mezzasalma, attraverso attività di informatica forense particolarmente complesse, viene identificato come il responsabile dell’invio della rivendicazione via mail.

Dalle testimonianze di parenti e amici, raccolte dal sostituto procuratore di Tivoli Salvatore Scalera e dai media, emerge la figura di un uomo che amava la vita, ma anche di un anticonformista, dalle tante sfaccettature. Uno originale, che lavorava fino a tarda notte e che conduceva ritmi sui generis. C’è qualcosa, in particolare, che colpisce gli inquirenti e il pubblico, per quel poco che trapela sui giornali: da alcuni elementi e da una serie di foto nei computer, sarebbe emerso che Michele Landi forse aveva un’altra vita, oltre a quella di brillante tecnico, frequentando ambienti particolari. Quasi una doppia personalità, con un alter ego che – riferisce un settimanale dell’epoca – avrebbe compreso uno pseudonimo femminile e un sito ad hoc, ospitato su un server d’oltreoceano da cui, dopo la morte dell’informatico, sarebbero stati cancellati dei file. A questo punto partì una richiesta di rogatoria internazionale per effettuare verifiche sugli account di Landi, ma la richiesta non avrà buon esito: non si saprà chi ha cancellato cosa né perché. Unico neo, questo, in un’indagine in cui tutte le evidenze porterebbero a due ipotesi che escludono l’omicidio: per gli inquirenti si tratta di un suicidio oppure di morte accidentale tramite soffocamento.

Si chiese giustizia, ma poi calò il silenzio

L’avvocato della famiglia, Claudio Giannelli, i parenti e gli amici, da quanto hanno dichiarato nei primi anni, hanno sempre escluso la possibilità di un suicidio. In un primo momento la sorella aveva realizzato un sito a nome del fratello (ora non più online) per ricordarne la figura, pubblicare una rassegna stampa sul caso e cercare una giustizia che, stando a quanto aveva scritto ancora il 10 gennaio 2005, non era giunta. Una ricerca di giustizia motivata dal fatto che da quasi tre anni (e più precisamente dal maggio 2002) sul fascicolo delle indagini era stata scritta la parola “omicidio”. Va anche aggiunto che, rispetto a quanto già detto, in procura a Tivoli continuava a regnare lo scetticismo a questo proposito e che ci si era mossi in questo senso più per motivi procedurali. E con il novembre 2004 si era giunti a una richiesta di archiviazione perché non si ravvisava alcun reato che coinvolgesse terze persone.

Dunque cosa è accaduto a Michele Landi? Si suicidò davvero, come hanno sostenuto le perizie depositate in procura? Fu in incidente? Oppure accadde qualcos’altro, determinato dalla professione e, forse, soprattutto dalle dichiarazioni rilasciate alla stampa pochi giorni prima di morire? Oltre ai file cancellati dai server di Landi, ci sono altri elementi che hanno lasciato alcune domande senza risposta. Per esempio, nell’aprile 2002 si smentì che Landi avesse avuto a che fare con il sistema Catrin (comunicazioni militari) mettendolo in relazione al caso di Davide Cervia, tecnico informatico scomparso il 12 settembre del 1990 a Velletri. Eppure, recuperando le pagine web che raccontavano la storia del professionista morto nel 2004, si leggeva: «In collaborazione con l’ispettorato per l’arma di artiglieria e per la guerra nucleare batteriologica chimica, studio dei sistemi di submunizioni (Sadarm Tgsw), di elettronica applicata ai sistemi di arma terrestre (Fieldguard, radar controfuoco, sistema Catrin, sistema di trasmissioni contratte, navigatori inerziali applicati ai sistemi di artiglieria semovente M-109G, girogoniometri) e sistemi di misura e telerilevamento (Rpv, Drones, telemetri laser)». Forse solo l’indicazione di un’attività lavorativa complessa su materie sensibili.


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