Il loro sogno? Sembra un’utopia. Ma guai a chiamarli illusi. Se ci provi, si arrabbiano e ti mandano male, come fanno quelli convinti che nella vita non sia tanto importante raggiungere un obiettivo, quanto provarci. Sì, almeno provarci. E loro, di tentativi per riciclare la vecchia azienda e realizzarne una alternativa, ne stanno facendo. Da qualche anno.
Sono alcuni dei lavoratori della ex Maflow di Trezzano sul Naviglio, nel Milanese www.rimaflow.it che, mandati a casa, dopo la chiusura nel 2009, stanno tentando di ricominciare.
Si sono organizzati in cooperativa e hanno dato vita alla Rimaflow. Insomma, l’hanno recuperata. Anche se con tantissimi sacrifici e senza tanti soldi. Come ci racconta uno di loro, Michele Morini, nato a Pavia nel ’69, che dice subito: “Mi scusi, ma come fa a chiamarci illusi? Noi non ci sentiamo affatto degli illusi. Illusi sono coloro che aspettano ancora il lavoro fuori dagli uffici di collocamento e illusi, semmai, lo eravamo prima di fare tutto questo. Molti ci consigliano di non farci prendere troppo dall’entusiasmo, perché potremmo rimanere male, ma noi rispondiamo: delusi rispetto a che? Tutto quello, anche poco, che otteniamo giorno dopo giorno, sarà sempre più di quello che avremmo avuto o avremmo, rimanendo fermi. Il nostro progetto sembrerà, sì, un’utopia, ma siamo sicuri che si realizzerà giorno dopo giorno, con tanti piccoli passi, che sono essi stessi un traguardo”.
Ma dove pensate di arrivare? “Dove arriveremo – dichiara – lontano o vicino, non avrà importanza. Fondamentale è muoversi e non aspettare, né togliersi la vita. Il messaggio che vorremmo fare arrivare è quello di non rassegnarsi e di non aspettare un lavoro o qualsiasi altra cosa da un sistema che ormai è crollato. E’ importante capire che nella vita ognuno di noi può diventare inventore di qualche cosa di importante e di rivoluzionario.”.
In concreto, cosa hanno in mente gli operai? E’ presto detto. “Puntiamo – spiega Morini – a realizzare una realtà nuova, in cui a predominare sia solo il concetto di uguaglianza. Un’azienda senza padroni, in cui ci si aiuti. Chiediamo a tutti di sostenerci, perché insieme possiamo creare qualcosa di nuovo e bello”.
Intanto a Trezzano sono in tanti a supportare la cooperativa, costituita da 12 operai. “I nostri concittadini – aggiunge – ci manifestano una grande solidarietà. Molte volte si fermano davanti ai cancelli e ci portano qualche vecchio elettrodomestico da buttare. Forse anche loro sentono che non è tutto finito. Ripeto, non vogliamo una semplice azienda. Per questo ci stiamo battendo ogni giorno. La nostra è una prova di grande determinazione. Il sito industriale in cui siamo è di proprietà di Unicredit ed è immenso. Sono 30mila metri quadrati, di cui circa la metà coperta da 4 capannoni. Nessuno ci vuole andare sia per la crisi, sia perché ormai è in abbandono e disfacimento e sarebbe in gran parte da ristrutturare. Nonostante questo i proprietari ci hanno detto che se non siamo in grado di pagare un affitto adeguato non ci sarà mai un accordo che legalizzi la nostra presenza. Quindi noi per ora stiamo lì, da abusivi, da clandestini. Stiamo ospitando anche due profughi, Fred e Nassir, provenienti dal Nordafrica, poverissimi. Vorremmo anche aiutare e promuovere Gruppi di Acquisto Solidale, mercati alternativi, gruppi di lavoratori di mestieri antichi. Desideriamo rivitalizzare tutto il quartiere. Così sarà più difficile mandarci via. Inutile dire che di soldi non ne abbiamo e non ne vogliamo per ora”.
La più grande difficoltà quando avete deciso di ripartire? “Non avere il caffè fresco nella tenda – sorride – fuori dalla fabbrica al freddo. Ma questo non ci ha bloccati. Siamo tosti. Quando abbiamo perso il lavoro non abbiamo deciso di toglierci la vita. Leggendo di persone che si suicidano, perché disoccupate, penso che nel profondo dei loro cuori ci sia un disagio ben più grande o che i media vogliano montare un caso. Glielo dice uno che per anni ha dovuto curarsi da una depressione profonda. E per motivi legati al lavoro. Se ti fai fuori perché pensi che il tuo valore dipenda dall’avere o no un lavoro, hai capito poco della dignità e del vero significato e importanza della vita umana. E con questo, sia chiaro, non voglio offendere chi la pensa in modo diverso”
Cinzia Ficco
Magazine Libri
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