Lo scorso 29 gennaio, dopo un tour che ha attraversato l’italica penisola, è sbarcato in Sicilia lo spettacolo Mi scappa da ridere, con Michelle Hunziker e la regia di Giampiero Solari; palcoscenico designato quello del Metropolitan di Catania. Dopo una corsa dovuta al mio cronico ritardo (debita premessa: abito a circa 100 metri dal teatro), trafelata, cerco di darmi un tono dissimulando il fiatone mentre con una mano agguanto il biglietto e con l’altra un bicchiere d’acqua con la stessa determinazione mostrata dai ciclisti verso le borracce alla Liegi-Bastogne-Liegi. Entrata nella sala però mi attende un’amara constatazione: nonostante quello della svizzera sia uno dei volti più amati e noti della tv italiana, sembra che la sua popolarità non basti per riempire un teatro che si presenta semipieno (o semivuoto, scelta che dipende dalle proprie inclinazioni filosofiche). Non c’è tempo per farsi delle domande; luci abbassate, silenzio in sala: si alza il sipario! Si comincia con un numero musicale che da un lato rivela le doti canore della Hunziker e dall’altro, grazie ad un corpo di ballo composto da ragazze “normali”, rinfranca le signore in sala dall’insano timore della prova costume. Ringalluzzita dallo sgambettare delle sei ballerine sul palco, mi accosto con mente nuova alla visione di questo spettacolo che sembra, complice il titolo, avere come unica pretesa quella di strappare una risata ai presenti. Fine, quest’ultimo, che io ritengo tra i più nobili tra quelli che una rappresentazione può perseguire: del resto il teatro deve intrattenere ed emozionare, e, visto che il riso altro non è che una manifestazione emotiva, col cuore pronto a provare determinate sensazioni mi appresto a seguire la scena con rinnovato ottimismo. Purtroppo, poco dopo l’inizio, inizio in cui non mancano i ricordi di un’infanzia all’ombra delle ridenti montagne svizzere, mi rendo conto di aver male interpretato il titolo, o di averne esteso fiduciosamente la portata anche al pubblico. Infatti, almeno per il primo quarto d’ora, le risate a risuonare nell’ampia sala del Metropolitan sembrano essere unicamente quelle della bella showgirl e non quelle degli astanti.
Complici l’emozione di chi si trova sul palco e la freddezza di chi vi siede di fronte, la sensazione avuta è quella di un genuino imbarazzo, tanto grande da suscitare il desiderio spasmodico di sghignazzare per spezzare l’incantesimo di un silenzio fuori luogo. A dare slancio allo spettacolo ci pensa il Mago Forest, che, seppur presenza virtuale su schermi mobili, dà nuova linfa agli sketch cominciando a coinvolgere il pubblico grazie anche alla «cubista del CERN che fa accelerare le particelle ai signori in prima fila». Anche gli intermezzi musicali (in scena è presente il pianista Davide Pistoni mentre altri bravi strumentisti partecipano in video), gradevolissimi a livello canoro, concedono un po’ di respiro, ma i dialoghi / monologhi rimangono comunque privi di verve e originalità, e nonostante l’impegno della protagonista elvetica finiscono inevitabilmente per far cadere nuovamente il mio sguardo sull’orologio. A nulla serve il repentino cambiamento di tono: le luci soffuse e la musica romantica tentano di trasportare la platea in un clima di favola. La favola non è altro che la storia d’amore tra una ragazzina della Svizzera tedesca e un cantante italiano, ma dal momento che (come è noto) è priva di lieto fine più che emozionare finisce per suscitare l’indignazione delle signore più conservatrici sedute nella fila dietro la mia. In definitiva, quello che dovrebbe essere il punto di forza dello show, far leva unicamente sulla forza trascinatrice di una risata, ne è anche il limite più grande. Infatti, l’idea di affidare al sorriso della Hunziker il compito di coprire la mancanza di sostanza dello spettacolo, confidando nella “lucidità” dei neuroni specchio del pubblico, non funziona o, perlomeno, i miei dovevano essere un po’ appannati.
Fotografie di Tommaso Le Pera