Mieczyslaw Jastrun
Nacque a Korolówka il 29 ottobre 1903. Scrisse più di venti raccolte di poesie, numerosi saggi critici e tradusse in modo esemplare autori francesi e russi (tra cui: Baudelaire, Rimbaud, Eluard, Apollinaire, Puszkin, Bagrickij, Pasternak). Studiò filologia polacca, germanica e filosofia all’Università Jaghellonica di Cracovia. Nel 1950 sposò la poetessa Mieczysława Buczkówna, dalla quale ebbe il figlio Tomasz, che oggi è un noto poeta. Nel 1957, dopo la chiusura del mensile “Europa” di cui era stato uno dei fondatori, imposta dalle autorità, abbandonò il partito comunista. Fu uno dei firmatari della “List 34” degli scrittori e intellettuali polacchi, in difesa della libertà di parola (1964).
Jastrun fu uno straordinario erudito. Ricevette un’educazione che gli permise di muoversi liberamente nella sfera della tradizione polacca ed europea, e di risalire alle fonti della cultura mediterranea, all’antichità. Avendo studiato il greco e il latino al liceo classico, egli lesse in originale Omero, Sofocle, Orazio e Virgilio.
La poesia – parente stretta della filosofia – tende a una totale visione del mondo, rifiuta la sua suddivisione nelle singole sfere della conoscenza, in ciò cui apparentemente siamo condannati. La poesia – come la intendeva Jastrun – permette all’uomo di superare l’orizzonte datogli dalla natura, ed è quindi un genere trascendentale, ha una funzione autoterapeutica e consolatoria. E’ stato detto che la poesia di Jastrun è trasparente, bianca, benché, similmente a un raggio di luce bianca, essa sia di quel genere di biancore in cui si concentrano tutti i colori dell’iride. Nella sua creazione predomina l’orientamento riflessivo-filosofico, che accomuna le esperienze del tardo simbolismo alla retorica e al pathos della poesia romantica. Attraverso le sue raccolte seguiamo il cammino del poeta: dal catastrofismo di prima del 1939, alla dolorosa esperienza dell’occupazione nazista, fino alla scettica riflessione sulla mutabilità della storia e sulla limitatezza dell’esistenza umana.
Morì a Varsavia il 22 febbraio 1983.
5 poesie di Mieczysław Jastrun tradotte da Paolo Statuti
L’ombra
Quando la terra la mia ombra assorbirà,
Quando la voce si sperderà nei fiati
Del mondo tremendo che ho presentito
Nei miei sogni non del tutto saldati,
Quando sul sangue immolato alla nullità,
Il tempo che sempre tutto ha rinverdito,
La sua erba di cimitero spargerà,
Mostrati, vieni mia ombra, t’invito!
Da qualche biblioteca silenziosa
In un caldo pomeriggio d’estate,
Ove freddo dormirò nell’aria afosa
Ore ardue, profonde, impensate,
Mi porteranno al frondoso canto
Mani non partorite ancora,
E il mio sangue annerito da tanto
Arderà in una nuova dimora.
E quando rinascerà il mio cuore,
Con che gioia, con quale spavento
Vedrò un uccello tagliare il bagliore,
Vedrò i salci che oscillano al vento…
Nel patrio parlare entrerò un mattino
Di polvere coperto e stremato,
Sapendo d’essermi svegliato
Perché la morte sia il mio cuscino.
1941
Da: “Il poema della lingua polacca
Tra i libri da tante pupille lucidati
(La loro freschezza col tempo non si arrende)
C’è un libro nuovo coi fogli ancora inviolati,
Che aspetta l’ora di vivere doppiamente.
In esso entrerà come da non sprangata porta
Colui che recava il bestiame alla pastura,
E che d’inverno presso la lucerna smorta
Rinascerà in una bella vita futura.
Irrompe dalla strada vispa una ragazza,
Portando in sala un viluppo d’aria nevosa,
E con movenze da rubiconda Grazia
Prende il secondo tomo per sapere cosa
C’è poi. Poi? Non conta solo il fatto
Che si sposeranno. Per lei è la mutazione
Della parola in storia. E tutta ristà a un tratto
Nel sole la bibioteca…
1952
Cristo del Mantegna
Cristo del Mantegna disteso a terra,
Con gli enormi piedi nello scorcio prospettico.
Non ci mostra forse così nello scorcio dei secoli
L’epoca i suoi piedi forati, enormi,
I piedi di un cadavere, purtroppo, che noi vivi
Tentiamo di cingere col fiato, di immergere nella pioggia di
lacrime
Di questo Lazzaro, in cui Dio s’è mutato,
Per non morire nella sua terribile gloria.
1975
Marte
C’è l’acqua lassù? chiedono con le guance infocate
c’è lassù nei composti di idrati di carbonati l’acqua della vita
o soltanto oscurità per i nostri occhi oppure
il nulla per i nostri laboratori le nostre leggende oppure
un’estensione senza tempo in uno spazio immensurabile
forse apparente come il tempo per il cosmo come il luccichio
delle stelle e delle galattiche come le spade d’arcangelo
delle comete nel nero baratro
Forse il raggio laser
di Dio che sposta lo spazio come un calessino coi bambini
solleverà un braccio e lo abbasserà
prenderà una manciata di sabbia e sparirà
E il cielo sul pianeta scarlatto sarà rosa
come le rose qui sulla scura vecchia Terra.
1977
L’albero imprigionato
L’uccello s’è impigliato tra i rami
batte le ali di un antichissimo canto
folto l’albero in sé lo imprigiona
l’uccello passa ma l’albero rimane
Non per la prima volta sento il fruscio delle foglie
vedo il bosco di abeti il grano prima della raccolta
e soltanto guardo quando si avvererà
il mio sogno di una terra giusta
1981
(C) by Paolo Statuti