Migliora, il giorno, quando si fa sera. Quando finisce la paura, quando la voce perde il pianto e si fa sicura anche se è il tramonto. Non fa niente, non è più importante, contano altre cose.
Chissà se ti sembrerà lunga, questa tua giornata, chissà se la troverai colma di pensieri, di gente, di parole. Piena di amori che non hai colto e di altri che hai dimenticato, colma di parole che non hai detto, che non hai saputo scrivere.
Guarda fuori dalla finestra, oltre le case, verso collina: c’è il mare dopo la collina, ma non lo vedi perchè è troppo lontano. Puoi indovinarne la presenza, puoi sognare il suo rumore e il suo sapore ma non è qui, non c’è. Anche il mare ti è scappato fra le mani, ora che si fa sera, e temi di non saper più riprenderlo.
Migliora il giorno, se viene la sera limpida, e le nuvole si colorano di rosa, migliorano i pensieri, ti abbandona la paura. Ha nuovi sorrisi la tua voce, infantili speranze, qualche piccola illusione fatta di minimi gesti che ripeti per l’ennesima volta ma ti sembrano nuovi.
La giornata è passata veloce, piena di imprevisti, colma di doveri e consuetudini. Ora si fa sera ed è quasi estate, ancora. Il gatto dorme sulla poltrona accanto a te, echeggia il rumore di un’ auto che passa lungo il viale, squilla il cellulare – soltanto una volta., nessuno ti chiama a quest’ora – l’ultimo sole si fa strada dietro la tenda, scivola a terra, illumina il parquet.
Hai un libro da finire, qualcosa da scrivere, la cena da preparare, il tavolo da apparecchiare. Non hai più incertezze nè paure: la giornata è passata, si fa sera: guarda fuori dalla finestra, poi torna a lavorare; c’è un domani – domani – e un altro tempo da passare.
Oggi la neve s’è disciolta, oggi
sono rimasta a lungo alla finestra.
L’occhio è tornato alla realtà; più libero,
rasserenato, nuovamente, il petto.
Il perché non lo so. Può darsi che
l’anima sia semplicemente stanca,
e in ogni modo non ho avuto voglia
di metter mano a un lapis irrequieto.
Così sono rimasta — nella nebbia —
lontana sia dal bene che dal male,
tamburellando calma con le dita
sul vetro, che ne tintinnava appena.
Non dà giudizi di valore, l’anima,
su ciò che incontra per la prima volta:
sia una pozzanghera di madreperla,
dove s’è arrovesciato il firmamento,
o un uccello che sfreccia su nell’aria,
o un cane che, semplicemente, corre:
nemmeno il canto d’una mendicante,
la prima volta, mi portò alle lacrime.
L’arte gentile del dimenticare
l’anima mia l’aveva già imparata.
Oggi non so che immensa sensazione
si è disciolta nell’anima.
Marina Ivanovna Cvetaeva
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