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Migranti e l'equivoco del multiculturalismo
Creato il 06 aprile 2015 da Bernardrieux @pierrebarilli1È un discorso scomodo, ma va fatto.
Cominciando con il rovesciare la prospettiva: non siamo noi a doverli integrare ma sono loro che dovrebbero conformarsi alle nostre leggi e alle nostre usanze.
In realtà, per molti migranti il nostro modello democratico fa schifo e le nostre leggi gli fanno un baffo. Molti vogliono continuare a esercitare sulla famiglia e sulla donna in quanto tale una tirannia che noi consideriamo barbara con risvolti penali, mentre per loro è un inalienabile diritto, né più né meno.
Che cosa facciamo? Lo accettiamo nel nome delle «tradizioni diverse che meritano rispetto » oppure lo contrastiamo? E nel caso, come? E per fare un passo più in là: vogliamo prendere atto che non tutte le immigrazioni sono uguali e che, di conseguenza, dobbiamo variare e adattare il nostro modo di affrontarle? Che non è razzismo dire che le comunità cinesi, laboriose quanto impermeabili, ci pongono (e soprattutto porranno nel futuro) problemi di convivenza diversi da quelli dei popoli dell’Europa dell’Est? Possiamo cominciare a parlare, senza che ciò suoni bestemmia, di immigrazione selettiva? Interrogativi delicati, che in molti Paesi occidentali sono al centro del dibattito politico, ma che affrontati qui da noi rischiano la parodia, stretti come sono tra il buonismo della sinistra e di larga parte del mondo cattolico e le posizioni della Lega di Salvini, per altro spesso sensate ma altrettanto spesso compromesse da eccessi non solo propagandistici.
In questo quadro, il movimento fondato da Bossi è comunque riuscito a farsi passare per l’unico baluardo contro l’immigrazione selvaggia. argomento questo che sta a cuore a tutti gli italiani, anche a coloro che politicamente sono rappresentati da partiti per i quali il comandamento, ancor prima che «integrazione», è «accoglienza », senza eccezioni (un’accoglienza che poi, vissuta sulla propria pelle, non di rado provoca più di una crepa in convinzioni ideologiche apparentemente granitiche). Ed è sicuramente un tema molto sentito non solo dalla Lega, ad esempio da Forza Italia, dove gli accenti pur diversi da quelli del Carroccio, ma pochi giorni fa la Gambarini ha pubblicamente sulla Gazzetta pronunciato il suo no alla moschea, un no che non ammette interpretazioni.
Che dire?
Anch'io, ed eravamo in tanti, ho subito la tentazione del Bene, poi mi sono guardato intorno è ho capito di quale egoismo è imbottito il cosiddetto Bene quando, alla fine, serve soltanto a salvare la propria coscienza a scapito del malessere di altri. Sarà che non riesco ad accettare il gelido conformismo di chi vede il bicchiere mezzo pieno -ma anche di chi lo vede mazzo vuoto- e mi chiedo sempre più spesso a che vale nascondere la verità di anime candide a cui piace cullarsi nel sogno ansioso del cosiddetto Bene ma, come il bastimento di Ibsen, portando un cadavere nella stiva: quel cadavere è il cadavere del razzismo, sempre pronto a risorgere.
Anche nello spazio abitato da questi 26 mila fidentini sta avvenendo una rivoluzione demografica che nessuno nel lungo periodo aveva previsto. In questa situazione, alcuni, troppi, s'incattiviscono, altri lisciano il pelo, nessuno è indifferente.
Le responsabilità sono enormi; chi oggi afferma di preferire la società multietnica e si fa promotore della democrazia multiculturale, deve almeno avere la consapevolezza dei problemi che questo presenta, preparandosi a convivere con il conflitto e, di conseguenza, con la crescita esponenziale di ostilità sistematiche e indiscriminate nei confronti dei migranti.
Mi guardo intorno, svanite le euforie sulla pacifica convivenza dei più diversi stili di vita, anche i fautori più combattivi dell'apertura multiculturale sono costretti ad ammettere che il futuro di queste società non sarà un letto di piume.
Comunque, come scrivevo in altra ma non diversa occasione, se Babilonia è la città del futuro, rendere vivibile Babilonia dovrebbe essere lo scopo della politica del futuro perché, se è vero che nella diversità c'è una ricchezza è anche vero che occorrerebbe domandarsi quali sono le condizioni economiche, sociali, istituzionali, culturali che devono sussistere perché la sfida si riveli produttiva.
In questo contesto, le strategie di accoglienza non possono essere perseguite fino alla soglia della messa a repentaglio della sicurezza dei cittadini tutti.
Per il resto, consapevole delle difficoltà, stretto tra anarchia del possibile e tirannia dell'impossibile, noi tutti sapremo riscattarci da una condizione d'impotenza solo mescolando pragmatismo e utopia.
Vogliamo provarci?
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