Tabu
(Port., Ger., Bras., Fra. 2012, b/n, 118 min., drammatico)
Ci sono pellicole che rimangono nella mente, alcune nel cuore e, altre ancora, in entrambi. In questo olimpo, d’incontro e scontro fra mente e cuore, risiedono poche opere, pochi capolavori. Nel 2012, oltre all’idolatrato Holy Motors, un’altra opere d’arte è penetrata in questo paradiso per pochi: Tabu di Miguel Gomes. Come per l’opera omnia di Carax, anche al film portoghese verrà concesso molto spazio su I Cineuforici, nonché una successiva e approfondita analisi: rispetto totale, insomma, per le pietre miliari.
Tre donne nello stesso palazzo, sullo stesso piano. Pilar (Teresa Mandruga), una donna filantropa e bigotta; Aurora (Laura Soveral), una donna misantropa ed egoista; Santa (Isabel Cardoso), badante capoverdiana di Aurora. La prima parte del film verte su queste tre donne, sull’aiuto che Pilar offre alla malata Aurora e sulla mediazione di Santa. Prima di morire, Aurora chiede di vedere un’ultima volta l’italiano Gianluca Ventura (Henrique Espìrito Santo), ma non ci riuscirà. Dopo il funerale di Aurora, Ventura rivela a Pilar e a Santa una storia. Inizia così la seconda parte, in cui viene raccontata l’avventura giovanile che Gianluca e Aurora hanno avuto in Africa.
Che
dire di questa fantastica pellicola del portoghese Gomes? “Parlare” di Tabu è riduttivo, bisognerebbe “solo”
vederlo, farne proprio e ricordarlo nella propria memoria. Il nostro compito,
però, è anche quello di farlo ricordare a voi. Come si rammentava poc’anzi,
un’analisi più approfondita verrà fornita nei prossimi giorni. Accontentiamoci,
per ora, del “generale”. L’opera di Gomes, dunque, è una lezione di cinema:
narrazione, fotografia, colonna sonora, spazio e tempo filmico sono espressi
all’ennesima potenza.
Tabu è suddiviso in
tre parti distinte, ma non separate: il prologo, Paradiso perduto e Paradiso. La figura del coccodrillo funge da garante, da osservatore e da punto di vista
in tutte le parti e coincide (a mio avviso) con lo sguardo dello spettatore. Se nella prima parte viene raccontata una meravigliosa fiaba atemporale che
introduce la pellicola, la prima parte, ovvero la quotidianità della bigotta
Pilar, è ambientata nella contemporaneità. Il prologo e Paradiso perduto sono parti distinte, ma legate dal filo rosso del
cinema e pertanto mai separate. Il prologo, infatti, coincide con la pellicola
che Pilar sta guardando in una sala cinematografica. La visione della
protagonista è lo sguardo dello spettatore incosciente di tale coincidenza. Paradiso perduto è un dramma sociale,
alla Kaurismaki per intenderci, che culmina con la morte di una delle
protagoniste, Aurora.Da
ciò si passa a un ulteriore stadio, a un dramma romantico. Ventura narra l’avventura
avuta con Aurora cinquant’anni prima in Africa. Due punti sono interessanti da
segnalare, almeno sul piano narrativo. La prima è il passaggio da Paradiso perduto a Paradiso, ossia il gioco proposto da Gomes: Gianluca inizia a raccontare
in un bar di un centro commerciale, fintamente decorato da una giungla di
plastica che non può non richiamare, per ironia e per deficit, la vera foresta della successiva narrazione. L’altro
aspetto è la scelta stilistico-narrativa di questa seconda parte. Gomes non
esita a lasciare la voce narrante di Gianluca lungo tutto Paradiso. Solitamente un personaggio inizia a parlare e poi, non appena
si passa alla visione di ciò che è raccontato, la sua voce si eclissa per
lasciare spazio a quella dei personaggi dell’epoca del racconto. Qui succede
esattamente il contrario: i personaggi della parte ambientata in Mozambico non
parlano o, tutt’al più, muovono le labbra. Il film si lascia cullare dalla voce
di Gianluca Ventura e dai suoni d’ambiente, senza mai ritornare, né alla fine
né durante, banalmente sul personaggio maschile nella contemporaneità filmica.
Tabu è un film in
bianco e nero, con una fotografia strepitosa di Rui Poças,. La prima parte,
come ben nota Joachim Lepastier in Cahiers
du cinéma n. 684, ha un’immagine più pulita, quasi piatta (bitonale) in 35
mm, mentre nella seconda essa possiede “una più grossa grana (16mm) e dei
contrasti più violenti” (T.d.a). La pellicola di Gomes, nonostante Paradiso possa lasciar intendere, non è
un omaggio al cinema muto, ma un’ermeneutica cinematografica. L’obiettivo è
interpretare il passato per riproporlo nel presente non con un semplice “copia
e incolla”, ma con una nuova linfa. Se Paradiso
sembra avere un’atmosfera da primo novecento, ad uno sguardo più attento ci si
renderà conto, per esempio, che i bambini del Mozambico indossano magliette
modernissime. Il “vecchio” risiede allora nel modo di mostrare un determinato
evento, non nel “cosa” viene inquadrato: la scenografia di un film è riposta nel
desiderio d’incredulità dello spettatore. Gomes mette sul piatto tutti gli
ingredienti per farci credere che si tratta di qualcosa di antico, ma non si
nasconde dietro un dito dicendo che ciò che vediamo è "passato". Vedendo Tabu sullo schermo si sa che non c'è nulla di "vecchio", ma lo spettatore desidera che ci sia, perché vuole entrare nella storia
di Gianluca. Si vede la maglietta della squadra del Barcellona? Il gruppo
musicale Mario’s Band e le loro canzoni sono surreali e fuori dal tempo? Non è
importante perché è realizzato appositamente per l'occorrenza cinematografica e narrativa. Non spezzate l’atmosfera che Gomes magistralmente
ha creato. Il cineasta portoghese non ci vuole ingannare, mostrando una finta Africa degli anni
cinquanta. Ci mostra, invece, l’atto dell’inganno, della creazione artistica, della
magia del cinema e della sua possibilità di “far credere in qualcosa”. Il tempo
e lo spazio filmico risiedono nella mente dello spettatore.
Mattia Giannone






