©2014 Fulvio Bortolozzo.
Le parole, secondo me, dovrebbero stare lontane dalle fotografie. Sono troppo pesanti e ingombranti per accumularsi sopra ali di farfalla fatte di luce. Ecco, già qui scatta lo pseudo poetico letterario. Tuttavia, farne a meno e anche quasi impossibile. Pure una data ed un luogo, nel loro voler essere minimamente invadenti, costituiscono comunque una colonizzazione. Con questa contraddizione irrisolvibile è quindi necessario convivere. Almeno però trovo indispensabile farlo in modo cauto e problematico. Tra le parole più nefaste ci sono quelle in libertà, in specie quelle di chi, per necessità o vocazione, di parole vive. Facile scrivere e parlare di immagini. Tutto pare consentito. Tutto però finisce per essere tritato nella giostra autoreferenziale del linguaggio scritto /verbale. Silenzio. Questo sì, aiuterebbe. Interrotto a volte da parole: poche e solo se proprio necessarie.Qui sopra c'è una riproduzione in bassa risoluzione (570 pixel lato corto) di una fotografia che ho realizzato a Milano quest'anno. Il file originale contiene molti più pixel. Tanti quanti mi basterebbero per una stampa nitida di circa 70x100 cm e persino oltre. Se un domani potrò produrla ed esporla, ecco che finalmente chi lo vorrà potrà osservare davvero ciò che ho fatto quel giorno a Milano. Fino ad allora, c'è solo un'icona qui sulla rete che ha della parentela con quella mia esperienza performativa ambrosiana. Meglio di nulla si dirà. Sì, lo penso anch'io, sennò non nutrirei questo blog di mie ed altrui fotografie. Ma non basta, non è tutto. Non può esserlo, ma forse lo sarà. Una cosa comunque è già così e non cambierà più: quel giorno vissuto a Milano. Anche senza questa fotografia. Credo che in fondo sia quello che conta veramente. Immagino che anche Vivian Maier, su cui ora è stata conficcata pure la bandierina letteraria di Alessandro Baricco, la pensasse così. Tutto il resto viene, se poi viene, solo dopo.