Magazine Cultura

Milano-Mantova, andata

Creato il 11 settembre 2012 da Temperamente

Milano-Mantova, andataSe già il Festivaletteratura con i suoi mille incontri, gli scrittori stranieri, le novità e i seminari può rappresentare un’esperienza quasi mistica per il letterato, per me che ci ho passato meno di ventiquattro ore, questa fugace visita alla sua quindicesima edizione rassomiglia a un sogno di fine estate, iniziato in tarda serata, con un rapido sguardo notturno alla città cui si accede con un ponte sospeso sul lago, oltre il quale c’è un castello con cupole fatate e un’atmosfera assolutamente fiabesca (capisco perfettamente come Miyazaki abbia trovato l’ispirazione per i suoi bellissimi film).

Il Festivaletteratura quest’anno ha spostato varie sedi causa terremoto – che a occhi ignari quali i miei non ha comunque cambiato la bellezza della città, nonostante qualche più avveduto visitatore mi confermasse che qualche dettaglio si è smosso – ed è tutto concentrato nel centro cittadino. Dunque tendoni, postazioni di programmi radio, bar, librerie e Biblioteche circolanti, sono collocati nell’intricato labirinto di piazze e strade acciottolate di Mantova. Domenica è l’ultimo giorno della manifestazione e il mio unico giorno al Festival, i visitatori sono tantissimi e il sole ha deciso di prenderci sul serio e farci abbronzare tutti, arrivando a riscaldarci fino ai trenta gradi.

Il programma straripa di eventi e bisogna fare una scelta subito. Ma ancor prima bisogna ritirare il proprio tesserino in sala stampa, altrimenti niente accesso gratuito – e colgo la palla al balzo per muovere una piccola critica alla manifestazione: incredibile, ma non

Milano-Mantova, andata
esiste nessun tipo di abbonamento giornaliero per il festival, ogni incontro, spettacolo, dibattito o laboratorio ha un suo ticket apposito, tranne quelli dichiaratamente gratis, il che mette il visitatore nell’ardua posizione di scegliere anche in base al proprio portafogli – quindi mi dirigo verso il paradiso dei giornalisti, con boccioni d’acqua e caffè a disposizione per tutti, oltre che pile di carta con comunicati stampa, cartellette, programmi e grosse quantità di trattopen, uno degli sponsor del Festival. Con il mio pass da operatore web per Temperamente.it torno indietro in piazza Sordello (la prima che si incontra entrando in città ma purtroppo non il luogo della sala stampa, più addentrata nel centro) e arrivo poco dopo l’inizio della prima lettura di scena del giorno, presso la Tenda dei libri. Qui ascolto brani da Charing Cross Road di Helen Hanff, che si fa subito apprezzare per il suo humour tipicamente inglese. Il passo verso “Olympic London” con Enrico Franceschini è quindi naturale, e non solo per motivi logistici: è il business che fa girare il mondo, come ci ricorda, anche quando mascherato sotto le magliette e le bandiere nazionali.

La pausa pranzo è monopolizzata da un unico evento da programma, l’incontro sull’Ispettore Stucky con Fulvio Ervas, ma  io decido di regalarmi momenti di trascurabile felicità spulciando le bancarelle dei libri usati e antichità, dove si possono fare begli affari e si incontrano vecchi amici.

Alle 15 volo al Chiostro del Museo Diocesano perché attirata da un argomento quanto mai stuzzicante: il piacere di riscrivere i libri, che è il titolo dell’evento, ospiti Piero Dorfles (da sempre seguito in “Per un pugno di libri”, e mi stupisco nel vedere quant’è alto) e Pierre Bayard, i cui libri sono sempre delle magnifiche provocazioni. L’intera chiacchierata è , in realtà, una continua provocazione, poiché tutto muove dalla rivoluzionaria critica interventista (o anche costruttivista o del miglioramento) di Bayard, che propone di rileggere e analizzare i classici come se fossero scritti da altri autori – ad esempio Via col vento scritto da Tolstoj – o di accorciare libri troppo lunghi come La recherche di Proust, e di lasciare che i critici critichino, smontino e rimontino teorie e supposizioni ma occupandosi dei libri ancora non scritti. Se fantascienza e assurdità sembrano essere i connotati specifici delle idee di Bayard vi sbagliate: come ben gli riconosce Dorfles, Bayard mostra la fondatezza delle sue paradossali tesi ponendo in realtà il lettore al centro di ogni libro, con il suo bagaglio di conoscenze e di cultura personale e sottolineando come per uno scrittore non sia necessario aver visitato un luogo per poterne scrivere, o meglio, narrare e inventare – e cita l’esempio di Chateaubriand che mandava in giro la moglie mentre lui restava in camera, giustificando la scelta come fosse una equa suddivisione dei doveri domestici e coniugali. Senza contare che ridurre alcuni “mattoni” letterari potrebbe finalmente far sì che essi risultino accessibili e quindi leggibili ai più, eliminando il fastidio per tutti di “aver fatto finta di averli letti”, dice scherzosamente Bayard; così come, se ci mettiamo a fare le pulci ad alcuni gialli letterari, anche di quelli classici di Conan Doyle o analizziamo il dramma di Amleto, possiamo notare delle incoerenze interne che svelerebbero che l’assassino imputato nella storia non possa aver materialmente realizzato il delitto, perciò Bayard propone di riscriverli e migliorarli.
Naturalmente, questa sua teoria può essere applicata a tutte le arti, senza paura di travolgere capolavori come L’urlo di Munch o i film di Hitchcock.

Milano-Mantova, andata
Dopo quest’incontro che mette tutto un po’ sottosopra mi sento un po’ sottosopra anch’io e  riprendo il programma in mano per ritrovare il percorso. Le persone in giro mi sembrano triplicate, per nulla abbattute dal caldo e hanno completamente smessi i panni delle domeniche pomeriggio silenziose e casalinghe, ognuno dotato di acqua in bottiglietta e buona razione di pazienza per sopportare le file e camminare tra la folla. Gli spettacoli si susseguono ad ogni ora con ritmo quasi frenetico, si può scegliere il connubio tra cinema e poesia con l’omaggio alla polacca Szymborska al cinema Oberdan, diversi laboratori per bambini, cultura afroamericana discussa dal premio nobel Toni Morrison o fatti nostrani con le giornaliste Aspesi e Concita De Gregorio, e molto, molto altro.

Concludo in bellezza con Guy Delisle, di cui è appena uscito Cronache di Gerusalemme, che non vedo l’ora di leggere,  probabilmente tutto d’un fiato in un pomeriggio – cosa che da un lato lusinga il suo autore, perché significa che il libro sa rapirti, ma d’altro lato lo deprime, perché lui ci impiega anni a scriverlo, e la sua fatica viene dilapidata invece in così breve tempo, come dirà lo stesso Delisle nel corso della serata. Quest’ultimo evento che seguo inizia benissimo: arrivo un po’ prima e casualmente mi siedo proprio dietro

Milano-Mantova, andata
Guy, il cui profilo è davvero comicamente identico a quello che ha nelle strisce, mentre sento la giovanissima presentatrice/volontaria che deve annunciarlo che domandare come si pronuncia il suo effettivamente difficile nome. Con Guy Delisle c’è Massimo Cirri, spumeggiante e ironico come sempre, che dichiara da subito di non capire né il francese né l’inglese (lingue nelle quali si esprime Delisle) ed anche di non leggere usualmente fumetti né di riuscire a definire l’opera di Delisle, che è riduttivo e forse anche fuorviante classificare come “graphic journalism”. Mentre risponde alle domande, alle spalle degli interlocutori scorrono immagini di Cronache di Gerusalemme e di altri libri, strisce che mi fanno ridere e suscitano riflessioni spinose, ponendoti davanti al dilemma del “cosa è giusto fare” in posti in cui anche comprare dei pannolini il venerdì sera diventa un problema morale.

Lo stesso Delisle non sa bene come definirsi, e l’unico modo per spiegarci il suo lavoro è mostrarlo – con un breve video velocizzato di lui che disegna e scrive al suo tavolo da lavoro – e raccontarlo: mentre viaggia, o meglio, mentre vive altrove nel mondo, cerca di condurre la sua vita normale di padre e marito, prendendo appunti e schizzi dei dettagli che lo colpiscono; al ritorno a Parigi, riprende in mano quegli appunti, seleziona i “ricordi” e decide come affrontare certi temi, con quale vignetta esprimerli, offrendo semplicemente il suo punto di vista; come lui stesso dichiara, con le sue “cartoline dal mondo”, come le battezza Cirri, il lettore fa sempre una seconda parte del lavoro perché non è mai spiegata nel dettaglio la situazione politica del paese, che però si desume dagli eventi raccontati, né chi abbia ragione e chi no, così il lettore è libero di dare un proprio giudizio e di formarsi un’opinione sulla vita in Palestina, o in Corea del Nord o in Birmania o in Cina. Ora che – pare – abbia smesso di viaggiare in lungo e in largo nel mondo, Delisle si dedicherà a progetti narrativi e non autobiografici, di cui accenna qualcosa (la storia di un medico senza frontiere che viene sequestrato, riesce a scappare in piena notte e deve però tornare all’ambasciata) e che sono già in attesa di vedere.

Il tramonto cade sulla città fatata, questa sera si chiudono i battenti dei castelli di carta e tutta la bella e tanta gente che torna a casa e lascia la città mi sembra stanca, ma più leggera. È bellissimo vedere in quanti eravamo, sentirsi parte di una grande società di lettori, pensare che tutti noi proviamo lo stesso identico piacere, eppure così diverso, nello sprofondare in un bel libro, e mi sembra quasi di credere che non ci saranno crisi a sconfiggere queste realtà… Sospirando mi lascio alle spalle il contorno rosa di Mantova, con la sensazione di aver appena appoggiato le labbra a questo calice ricco di ambrosia e la promessa di tornarci più a lungo l’anno prossimo.

Azzurra Scattarella


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :