“Doni abitava in via Orti, dietro Corso di Porta Romana. Da casa sua al Palazzo erano due passi, dodici minuti esatti di cammino secondo il ritmo che aveva scolpito nel corso degli anni”.
“Per legge superiore”, Giorgio Fontana, Sellerio Editore.
E’ questo il romanzo con cui ho deciso di aprire #MilanoDaLeggere, ovvero il racconto di Milano attraverso i libri e i luoghi della lettura, in cui vi condurrò insieme agli amici di Cityteller (qui vi spiego di cosa si tratta nel dettaglio!).
Perchè parto da qui? Un po’ per belle coincidenze. Perchè è stato il primo libro che sono riuscita a leggere dopo la nascita del mio bimbo Mattia, e l’avevo scelto proprio perchè mi piaceva l’idea di ripartire dai libri ambientati a Milano, la mia città adottiva .
Sì, perchè nel suo romanzo del 2011 il giovane scrittore milanese la città la riesce a descrivere e rendere parte integrante della storia tanto quanto i suoi protagonisti.
La storia, appunto. Roberto Doni, sobrio sostituto procuratore a Milano, sta per sostenere in appello l’accusa contro un ragazzo tunisino ritenuto colpevole di un’aggressione nella zona di via Padova. Ma arriva Elena Vicenzi, giovane e precaria giornalista free-lance, convinta dell’innocenza dell’accusato, e Doni si vedrà costretto, suo malgrado, a fare i conti col dubbio e con una scelta difficile.
Per Legge superiore è, in fondo, la storia di un dilemma morale tra ciò che Doni ha sempre considerato giustizia, perchè avallata dalla legge, e la scoperta che, forse, ne esiste anche una declinazione differente, più impegnativa, che finirebbe con lo scardinare la propria vita tranquilla, di persona che si è sempre comportata “per bene”.
E mi piace pensare che siano anche i luoghi simbolo del romanzo a raccontare questo dilemma. Quali luoghi? Da una parte c’è il Palazzo di Giustizia, grigio, razionale, quasi metafisico (eppure anche lui, come si scoprirà, non privo di crepe, e non solo metaforiche), luogo di ordine, certezza e presunta giustizia. Dall’altra c’è via Padova, la strada della confusione, se non del caos, della multiculturalità ma anche – purtroppo – del pregiudizio duro a morire, di coloro che non hanno capito che, come ad un certo punto spiega Elena a uno smarrito Doni, “questo quartiere è più vasto della sua cronaca”.
“Il lato destro offriva un paesaggio uniforme. Kebab, bar di cinesi, macelleria, caffè, gelateria, negozio di elettrodomestici, bar di cinesi, kebab, pasticceria, caffè, macelleria, sala giochi, negozio non meglio precisato”.
Eccola quindi la Milano di Per Legge superiore, una Milano di contrasti, a partire dai sensi. Il gusto, tra la gastronomia d’alto rango di Peck o le birrerie universitarie del centro e i kebab e le spezie di via Padova. La vista, come quella del magistrato Doni stordita al primo incontro con quei marciapiedi multietnici. L’udito, dalla musica classica ascoltata sul divano di casa alle mille voci e lingue delle case di ringhiera.
La Milano del magistrato Roberto Doni è quella del centro. Quella del Palazzo di Giustizia, in corso di Porta Vittoria, dove ovviamente lavora, e quella della sua casa borghese, in via Orti, in fondo poco distante (“dodici minuti esatti”, ci dice lui). La Milano di Elena Vicenzi è la Milano lontana dalla cerchia dei bastioni.
Si incontreranno, nella storia, o forse è meglio dire che sarà la Milano della periferia ad “invadere” quella sempre uguale e senza scossoni di Doni. Che in via Padova, lo dice lui stesso, non ci era mai stato.
“Mentre la aspettava, si rese conto di un altro fatto: non era mai stato in via Padova. La cosa lo stupì fino ad un certo punto: da tipico milanese del centro e dintorni, considerava quella zona una cornice priva di interesse. Oltre la circonvallazione esterna, per Doni tutto perdeva di senso: tutto era livellato nell’aspetto, gradazioni appena diverse di una periferia grigia e ostile”.