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millennium – uomini che odiano le donne

Creato il 12 febbraio 2012 da Albertogallo

THE GIRL WITH THE DRAGON TATTOO (Usa 2011)

locandina uomini che odiano le donne

Ok, lo ammetto: il film svedese di cui questo è un remake non l’ho visto. Però ho letto il romanzo omonimo da cui entrambi sono tratti, dello scrittore, anche lui svedese, Stieg Larsson: era il 2008, credo, e non mi fece una grande impressione. Motivo per cui decisi di trascurare bellamente la prima riduzione cinematografica. Perché allora ho deciso di sorbirmi questa nuova versione? Per due motivi: 1) a differenza dei registi di qualsiasi altra parte del mondo, i registi americani rendono generalmente migliori i libri mediocri che decidono di portare sul grande schermo. È una loro innegabile capacità, c’è poco da fare, sopperiscono con una grande abilità tecnica e professionale alle carenze estetico-filosofiche dei romanzi in questione, mantenendo intatto l’intreccio e le caratteristiche principali dei personaggi – in modo che chi ha letto i libri ci si ritrovi – ma dando per il resto libero sfogo al proprio estro. E d’altronde è più facile essere un buon film maker che un buon autore di romanzi; 2) il regista in questione è David Fincher, i cui film oscillano tra il sopravvalutato (Fight club), il fastidioso (The social network) e lo scarso (Panic room); questo per dire che la sua bravura come cineasta è superiore alla bellezza dei suoi film, che in pochissimi casi (Seven) hanno saputo lasciare davvero il segno. Fincher è un autore incompiuto ma interessante, e ridendo e scherzando i suoi film me li sono visti tutti.

Ma veniamo a Millennium, che se fossi un vero critico cinematografico potrei definire “un solido thriller, in cui la violenza a tratti estrema di personaggi e situazioni rispecchia la crudeltà della Storia e le ingiustizie della società, in un mondo dominato dall’apparenza delle buone maniere sotto cui si nasconde, però, tutta la follia del genere umano”. E in effetti è proprio così: tra stupratori, ex nazisti e affaristi corrotti si inserisce la vicenda di Mikael Blomkvist, giornalista caduto in disgrazia in seguito a una denuncia per diffamazione che si trova a investigare sul torbido passato di una ricca famiglia di industriali svedesi. Accanto a lui la giovane Lisbeth Salander, geniale e “problematica” (il controllo della rabbia decisamente non è il suo forte) investigatrice dal corpo tatuato (cosa che spiega il titolo originale del film).

Direi che il mio alter ego Vero Critico Cinematografico ha già detto tutto, trattandosi in fin dei conti, Millennium, davvero di un buon thriller e non molto di più, girato con gusto e capace di essere molto violento senza per questo risultare sgradevole o pornografico. Positive anche la prova del cast (con i grandi Christopher Plummer e Stellan Skarsgård e un Daniel Craig inespressivo come sempre ma in fin dei conti adatto alla parte) e le musiche molto cool e un po’ fighette dell’ex Nine Inch Nails Trent Reznor, composte insieme ad Atticus Ross. Andate a vederlo, quindi, se una sera non sapete cosa fare: sicuramente non chiederete indietro i soldi del biglietto, sebbene il grande cinema stia da un’altra parte.

Tre considerazioni finali: 1) mezz’ora/quaranta minuti in meno non avrebbero guastato. Anzi. Tra i vari difetti di Fincher c’è anche quello di non saper mai mettere la parola “fine” ai suoi film: Zodiac dura circa 160 minuti, Benjamin Button poco di più, questo Millennium poco di meno; 2) non capisco perché questo remake abbia mantenuto l’ambientazione svedese, risultando in definitiva un doppione dell’originale con l’unica differenza di presentare attori anglofoni. Sarebbe stato molto più interessante un trasferimento di peso della vicenda in America, alla maniera, tanto per fare un esempio, di Alta fedeltà, che dalla carta alla pellicola è passato da Londra a Chicago; 2) come è ovvio (e un po’ triste) che sia, il film annacqua gli elementi più “estremi” del libro. Non mi riferisco tanto alla violenza, che come si è detto è ben presente anche nell’opera di Fincher, quanto piuttosto agli ideali esplicitamente sinistrorsi presenti nel romanzo, scritto, è bene ricordarlo, da un autore che fu comunista e attivo antifascista: il personaggio di Blomkvist, in particolare, è il perfetto rappresentante di un’etica post-sessantottina fatta di libero amore, ideali di uguaglianza e giustizia e persino ateismo. Tutto ciò si intuisce anche nel film, non dico di no, ma in modo decisamente più leggero, casuale. Ma d’altronde… questa è Hollywood, baby.

Alberto Gallo



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