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Millequattrocento pagine su giuseppe tucci

Creato il 01 marzo 2013 da Eurasia @eurasiarivista
:::: Claudio Mutti :::: 1 marzo, 2013 :::: Email This Post   Print This Post MILLEQUATTROCENTO PAGINE SU GIUSEPPE TUCCI

Laureato in Lettere presso l’Università di Roma dopo aver combattuto per quattro anni sui fronti della Grande Guerra, Giuseppe Tucci iniziò la sua carriera di orientalista tra il 1925 e il 1930, quando, incaricato di missione in India, insegnò cinese (oltre che italiano) presso le Università di Shantiniketan e di Calcutta. Nominato Accademico d’Italia nel 1929, nel novembre dell’anno successivo fu chiamato ad occupare la cattedra di Lingua e letteratura cinese all’Orientale di Napoli. Nel novembre 1932 passò alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma, dove fu professore ordinario di Religioni e Filosofia dell’India e dell’Estremo Oriente, finché nel 1969 venne collocato a riposo. Dal 1929 al 1948 compì otto spedizioni scientifiche in Tibet e dal 1950 al 1954 sei in Nepal. Nel 1955 iniziò le campagne archeologiche nella valle dello Swat in Pakistan, nel 1957 quelle in Afghanistan, nel 1959 in Iran.

Nel periodo del suo insegnamento in India, Tucci aveva coltivato relazioni personali con Rabindranath Tagore, che gli aveva presentato Gandhi. Inoltre aveva allacciato rapporti con un gruppo di studiosi interessati a collaborare con l’Italia; gravitava intorno a questo gruppo P. N. Roy, l’ex allievo di Tucci che, una volta diventato professore d’italiano all’università di Calcutta, pubblicò in bengalese una biografia ed una raccolta di discorsi di Mussolini. Si collocano verosimilmente in quegli anni i primi contatti di Tucci con Subhas Chandra Bose, destinati a svilupparsi in un rapporto di amicizia e di collaborazione: nel 1937, in una delle varie occasioni in cui il patriota bengalese venne ricevuto dal Duce, fu Tucci ad accompagnarlo in udienza. E sarà l’IsMEO guidato da Tucci ad incoraggiare nel 1942 la traduzione italiana del libro del Netaji, Indian Struggle.

In una relazione sulla sua missione in India, inviata il 31 marzo 1931 al ministro degli Esteri Dino Grandi, Tucci propose la fondazione di un istituto culturale finalizzato ad agevolare gli studi dei giovani Indiani in Italia e presso le istituzioni italiane, a promuovere la conoscenza dell’Italia in India, a mettere in contatto studiosi indiani e italiani con interessi affini. Mussolini, che già accarezzava l’idea di dar vita ad un istituto per le relazioni italo-indiane, ricevette in udienza il professore maceratese e rimase d’accordo con lui che avrebbe esaminato il suo progetto quando egli fosse ritornato dal viaggio di esplorazione che si accingeva ad intraprendere nel Tibet. Rientrato in Italia nel novembre del 1931, Tucci riuscì a coinvolgere nel suo progetto il presidente dell’Accademia d’Italia, Giovanni Gentile, che nel luglio dell’anno successivo ottenne dal Duce l’approvazione definitiva.

Quando l’IsMEO vide ufficialmente la luce, nel febbraio 1933, Giovanni Gentile ne fu il presidente e Tucci uno dei due vicepresidenti (l’altro fu G. Volpi di Misurata). L’evento venne celebrato nel dicembre di quello stesso anno dal geografo Filippo de Filippi nel contesto di un’iniziativa patrocinata dal GUF, la “Settimana romana degli studenti orientali” presenti in Europa. Nella sala Giulio Cesare del Campidoglio si tenne un convegno che raccolse circa cinquecento giovani asiatici e numerosi ambasciatori ed ebbe il suo momento culminante nella mattina del 22 dicembre, quando il Duce pronunciò un discorso al quale risposero una studentessa indiana, uno studente siriano e uno persiano.

“Venti secoli or sono – esordì Mussolini – Roma realizzò sulle rive del Mediterraneo una unione dell’occidente con l’oriente che ha avuto il massimo peso nella storia del mondo. E se allora l’occidente fu colonizzato da Roma, con la Siria, l’Egitto, la Persia, il rapporto fu invece di reciproca comprensione creativa”. La civiltà particolaristica e materialistica nata fuori dal Mediterraneo, – proseguì – essendo incapace per sua natura di comprendere l’Asia, ha troncato “ogni vincolo spirituale di collaborazione creativa” con essa e l’ha considerata “solo un mercato di manufatti, una fonte di materie prime”. Ecco perché la nuova Italia, che lotta contro “questa civiltà a base di capitalismo e liberalismo”, si rivolge ai giovani rappresentanti dell’Asia. E concluse: “Come già altre volte, in periodo di crisi mortali, la civiltà del mondo fu salvata dalla collaborazione di Roma e dell’oriente, così oggi, nella crisi di tutto un sistema di istituzioni e di idee che non hanno più anima e vivono come imbalsamate, noi, italiani e fascisti di questo tempo, ci auguriamo di riprendere la comune, millenaria tradizione della nostra collaborazione costruttiva”.

La visione di Mussolini coincideva con quella di Tucci, che due mesi dopo, il 13 febbraio 1934, in una lettura tenuta all’IsMEO, avrebbe auspicato tra l’Europa e l’Asia una collaborazione basata su “una comprensione aperta e franca, scevra di pregiudizi, di malintesi e di sospetti, come fra due persone leali e di carattere”.

Il Duce, da parte sua, riprese l’argomento in un articolo pubblicato sul “Popolo d’Italia” del 18 gennaio 1934 e in un discorso pronunciato due mesi dopo al Teatro Reale dell’Opera di Roma. Esaminando la situazione conflittuale esplosa in Manciuria, Mussolini, liquidata la tesi del “pericolo giallo” come una fantasia, “a condizione che si tenti una ‘mediazione’, non nel senso volgare della parola, fra i due tipi di civiltà”, ribadiva la necessità di “una collaborazione metodica dell’occidente con l’oriente” e di “una più profonda conoscenza reciproca fra le classi universitarie, veicolo e strumento per una intesa migliore fra i popoli”.

Nel 1934 l’Italia, che aveva buone relazioni con la Cina, non era ancora schierata a fianco del Sol Levante; lo stesso Tucci nutriva una certa diffidenza nei confronti della politica di Tokyo, in quanto riteneva che il Giappone progettasse di saldare i popoli dell’Asia in un blocco antieuropeo. Tuttavia il Duce seguiva gli sviluppi della politica e dell’economia giapponesi, in particolare dopo la crisi mancese, sicché è verosimile che pensasse ad una forma di incontro fra Tokyo e Roma..D’altronde l’ambasciata giapponese aveva già sollecitato l’instaurazione di scambi culturali tra le università dei due paesi ed anche Giovanni Gentile aveva caldeggiato un accordo per lo scambio di professori e studenti. Così verso la metà del 1934 l’IsMEO prese contatto con la Kokusai Bunka Shinkôkai, un’istituzione ufficiale che curava i rapporti culturali del Giappone con l’estero, e Tucci affrontò l’argomento con l’ambasciatore giapponese. In novembre il successore di quest’ultimo, Yotaro Sugimura, parlò sia con Tucci sia con Mussolini, il quale gli indicò lo studioso maceratese, vicepresidente dell’IsMEO, come la personalità incaricata di condurre i negoziati per arrivare all’accordo culturale, che venne stipulato nella primavera del 1935.

Nel 1936 l’IsMEO, sotto la guida di Tucci, funzionava ormai a pieno ritmo e contribuì in maniera determinante all’instaurazione di tutta una serie di iniziative che allacciavano le relazioni culturali tra Roma e Tokyo. Invitato in Giappone nel novembre del 1936, il professor Tucci vi fu accolto con tutti gli onori dovuti ad una personalità ufficiale: venne ricevuto dal Tennô, parlò alla Camera dei Pari, lesse alla radio un messaggio di Mussolini. Ovviamente promosse varie iniziative d’ordine culturale: in particolare, concluse un accordo per l’insegnamento dell’italiano in un’università nipponica e fondò a Tokyo un istituto di cultura. La visita di Tucci fu ricambiata nel dicembre 1937 da quella di Kishichiro Okura, presidente della Società Amici dell’Italia, che pochi giorni dopo la sigla del Patto Antikomintern lesse nei locali dell’IsMEO un messaggio per il popolo italiano. Tucci, con Gentile e Majoni, fece parte del comitato promotore di una costituenda Società degli Amici del Giappone, che dal gennaio 1941 pubblicò, presso l’Istituto geografico De Agostini, il mensile “Yamato”. Membro del comitato di redazione, Tucci collaborò alla rivista con articoli di vario argomento. Nel 1943 cessò le pubblicazioni non soltanto “Yamato”, ma anche il bimestrale “Asiatica”, che nel 1936 era subentrato al “Bollettino dell’IsMEO”. Quanto a Tucci, l’aver ricoperto la carica di presidente della Società degli Amici del Giappone gli valse, nella risorta democrazia, un provvedimento di epurazione.

Assunta nel 1948 la presidenza dell’IsMEO, Tucci diede vita ad un nuovo bimestrale, “East and West”, al quale collaborarono studiosi di fama mondiale: da Mircea Eliade a Mario Bussagli, da Franz Altheim a Francesco Gabrieli, da Henry Corbin a Julius Evola. Da allora si fece sempre più limpida in lui la consapevolezza di una essenziale unità eurasiatica. Se in precedenza Tucci aveva definito il ruolo centrale che l’Italia avrebbe potuto svolgere nei rapporti tra l’Europa e l’Asia, negli anni Cinquanta egli affermò l’esistenza di una “comunione fiduciosa” tra le due parti del Continente eurasiatico. Nel 1971, commemorando in Campidoglio il fondatore dell’impero persiano, disse che “Asia ed Europa sono un tutto unico, solidale per migrazioni di popoli, vicende di conquiste, avventure di commerci, in una complicità storica che soltanto gli inesperti o gli incolti, i quali pensano tutto il mondo concluso nell’Europa, si ostinano ad ignorare”; nel 1977 accusò come grave l’errore che si commette allorché si considerano l’Asia e l’Europa due continenti distinti l’uno dall’altro, poiché “in realtà si deve parlare di un unico continente, l’Eurasiatico: così congiunto nelle sue parti che non è avvenimento di rilievo nell’una che non abbia avuto il suo riflesso nell’altra”. Alla fondamentale unità dell’Eurasia si richiama infine quello che ci risulta essere l’ultimo intervento pubblico di Tucci, un’intervista apparsa il 20 ottobre 1983 sulla “Stampa” di Torino. “Io – dichiarò lo studioso – non parlo mai di Europa e di Asia, ma di Eurasia. Non c’è avvenimento che si verifichi in Cina o in India che non influenzi noi, o viceversa, e così è sempre stato. Il Cristianesimo ha portato delle modifiche nel Buddhismo, il Buddhismo ha influenzato il Cristianesimo, i rispettivi pantheon si sono più o meno percettibilmente modificati”.

Ora l’avventura intellettuale e politica di Giuseppe Tucci viene ripercorsa con passione e con rigore scientifico dall’indologa Enrica Garzilli in due avvincenti volumi di circa millequattrocento pagine in totale, oltre duecento delle quali contengono una bibliografia completa delle opere del grande studioso, un elenco dei documenti più importanti citati o consultati per la stesura del libro (documenti d’archivio, lettere, carteggi, diari, articoli scientifici e giornalistici, atti congressuali, interviste, ecc.), un indice biografico dei nomi ecc.

Rivendicando con legittimo orgoglio il merito di aver pubblicato il primo libro su Giuseppe Tucci, “sui suoi rapporti con il fascismo e la politica di Mussolini in India e nelle regioni dell’Himalaya”, l’Autrice dichiara di aver voluto “cogliere gli svariati aspetti dell’uomo, sia pubblici sia privati”, nonostante le difficoltà che oggi impediscono di comprendere “la mentalità e l’etica di un uomo nato alla fine dell’Ottocento, che ha fatto carriera durante il ventennio fascista: quanto più semplice sarebbe stato osannarlo, come quasi tutti in Italia, pur senza conoscerne la storia, o condannarlo, come fanno gli studiosi d’oltreoceano; quanto più sbrigativo, e diminutivo, ideologizzare una vita così ricca e complessa come la sua”.

L’auspicio di Enrica Garzilli, che riteniamo pienamente fondato, è che questo studio possa ampliare lo stato della conoscenza delle relazioni tra l’Italia fascista e l’Oriente, “sviluppando una tesi del tutto nuova sulla reale visione politica di Mussolini verso l’Asia, che va ben oltre l’interesse verso l’India”.

Sarebbe però molto riduttivo considerare questa biografia di Giuseppe Tucci un semplice contributo alla storia della politica “asiatica” del fascismo, se non altro perché l’Autrice riferisce dell’attività che il grande studioso riuscì a svolgere in Italia ed in Asia anche nel periodo postbellico, nonostante fossero venute meno le favorevoli condizioni politiche di un tempo. Ciò fu possibile grazie alla lungimiranza di Giulio Andreotti, il quale, scrive la Garzilli, “capì perfettamente il valore scientifico delle missioni e il ritorno d’immagine che con esse ne aveva l’Italia” e sostenne Tucci in tutte le sue imprese, come dimostra il lungo carteggio fra i due uomini riportato nel secondo volume.

La biografia di Tucci si presenta perciò come uno spaccato di due epoche, nel quale vediamo muoversi intorno al protagonista personaggi quali Mussolini, Gentile, Rabindranath Tagore, Gandhi, ma anche pandit indiani e lama tibetani, pellegrini e lebbrosi, tedeschi della Ahnenerbe ed orientalisti italiani.

Enrica Garzilli, L’esploratore del Duce. Le avventure di Giuseppe Tucci e la politica italiana in Oriente da Mussolini a Andreotti, 2 voll., Memori – Asiatica, Roma-Milano 2012.

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