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Minangkabau land

Creato il 11 novembre 2012 da Dharmabum

Minangkabau land

( Sumatra, Indonesia )

Mollata l’olandese che se ne va a Pulau Weh, con il gruppo dei trekkers attraversiamo una zona martoriata da una frana ( qui terremoti, eruzioni vulcaniche, tsunami e frane sono cose che rientrano nella normalità, quest’isola è veramente un simbolo della natura selvaggia che non può essere controllata dall’uomo ), con vari tratti da brivido dove la strada è stata completamente cancellata e nei villaggi ci sono case con il fango che arriva alle finestre, e quindi dopo una sosta pranzo a Kabanjahe raggiungiamo prima Pematang Siantar e infine Parapat. E’ stato un lungo e faticoso giorno di viaggio, ma dovremo faticare ancora un bel po’ prima di trovare una sistemazione a buon mercato dove farci una doccia e dormire qualche ora. Pochi viaggiatori si fermano qui in città, perché in effetti ha senso solo se arrivi troppo tardi per il traghetto verso Tuk Tuk o per prendere una coincidenza per qualche altra parte, e quindi gli alberghi sono più cari di quelli di Samosir. Alla fine comunque troviamo un albergo decente che ci fa lo sconto visto che prendiamo 3 stanze e poi andiamo a cena.

L’indomani saluto Alberto e Silvia che vanno a Tuk Tuk e insieme al francese mi organizzo per trovare un autobus per Bukittinggi, non dovrebbe essere difficile visto che Parapat si trova sulla Trans Sumatran Highway ( che però di “highway” ha solo il nome, è una strada terribile ) e ci sono molti bus che passano di qui, alcuni fanno anche tutto un tiro da Medan a Jakarta. E infatti senza difficoltà troviamo due posti su un bel deluxe, secondo il tipo dell’agenzia dovremmo essere a Bukittinggi in 15/16 ore al massimo. Ma non tutto andrà come previsto, e dopo aver attraversato Balige, sulla sponda meridionale del Lago Toba, faremo un frontale con un opelet. Un botto pazzesco, il parabrezza esplode ma sul nostro autobus non ci sono feriti, mentre ce ne sono almeno tre o quattro messi male sull’opelet che è completamente distrutto e finito in un fosso. Nessuno si scompone più di tanto, pare che da queste parti questi incidenti siano all’ordine del giorno: il mix di alta velocità, manutenzione scarsa dei veicoli, fondo stradale pessimo e spesso bagnato è deleterio.
Ma io e il francese rimaniamo basiti soprattutto sul modo nel quale viene gestita l’emergenza, in particolare per quanto riguarda i feriti. Malgrado la città sia a pochi chilometri nessuno chiama la polizia o l’ambulanza, e i feriti vengono caricati senza la minima cautela, come sacchi di patate, su altri opelet che li porteranno all’ospedale. E se qualcuno di questi feriti avesse avuto un’emorragia interna, o un trauma alla spina dorsale ( cosa tutt’altro che improbabile )? Sicuramente per un po’ ci è passata la voglia di prendere ancora questi opelet. Il nostro autobus comunque è fuori uso e dobbiamo aspettare un tempo imprecisato tra 2 ore e tutta la notte che ne arrivi un altro.
Fortunatamente arriva un altro autobus dopo tre ore e ci carica, anche se non c’è posto e dovremo dormire nel corridoio.

La mattina seguente passiamo l’equatore e dopo un paio d’ore arriviamo a Bukittinggi, dove troviamo una buona stanza per 50 sacchi ( 5 euro ) per soli due giorni però, poi dovremo spostarci. Questa città mi è piaciuta molto, probabilmente è la più bella che ho visto qui a Sumatra: l’architettura Minangkabau è una delle più affascinanti dell’intera Indonesia e la città si trova nel cuore di una fantastica regione di Sumatra tra giungle, risaie e tre vulcani, due dei quali ( il Merapi, meno noto del suo omonimo famoso di Giava ma anch’esso molto attivo e il Singgalang ) sono vicinissimi e dominano severi il paesaggio. In più la gente è molto amichevole, la cultura interessante, le donne sono belle, c’è il mercato più grande dell’isola e il cibo è ottimo, secondo molti Bukittinggi è il posto migliore per gustare la vera cucina padang ( purtroppo poco vegetariana, ma qualcosa c’è ).
Purtroppo non ho molto tempo, e le cose da fare e da vedere nei dintorni della città sono molte. Così rinuncio a malincuore alla salita del Merapi che richiede due giorni ( per la quale avevo anche una bella mappa tipo quella dei pirati dei Caraibi trovata su internet, sono sicuro che sarebbe stata una salita molto divertente… ) e decido di dividere equamente le escursioni tra natura selvaggia e villaggi tradizionali Minangkabau. Il francese invece ha più tempo e deciderà di affittare una moto e farsi un bel giro di una settimana.

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Ma chi sono questi Minangkabau? Già il nome secondo me basta a far capire che si tratta di un gruppo etnico molto particolare, con una cultura unica ed estremamente affascinante. Ci sono varie leggende nella loro storia, alcune dicono che sono discendenti di Alessandro Magno, ma più probabilmente sono anche loro originari di altre zone del Sud Est Asiatico emigrati nell’isola tre o quattro mila anni fa. La particolarità più interessante è che sono una società matriarcale divisa in clan, e che sia il nome della famiglia che l’eredità vengono trasmesse dalla madre alla figlia primogenita. Questa cultura ovviamente sembra essere in netto contrasto con la religione islamica tradizionale praticata dai Minangkabau, che invece chiaramente favorisce da molti punti di vista gli uomini, ma in qualche modo questi due aspetti della loro vita riescono a convivere. Alcuni studiosi sostengono che però molti uomini sentendosi in qualche modo discriminati abbiano preferito in passato l’emigrazione, ma in realtà questa è sempre stata una caratteristica di questo gruppo etnico, e oggi si possono trovare dei Minangkabau in molte isole indonesiane e anche in altri paesi del Sud Est Asiatico. Sono il quarto gruppo etnico dell’Indonesia e uno dei più influenti a livello culturale, economico e politico: tra i Minangkabau si possono trovare molte figure importanti della storia di questo paese, artisti, politici, personalità religiose. E ovviamente era una Minang il primo ministro donna nella storia dell’Indonesia.

In ogni caso sono famosi principalmente per tre cose: sono da sempre degli abilissimi commercianti e hanno interessi in tutta l’Asia, le loro merci preferite sono i tessuti e i gioielli. Anche la loro cucina è molto conosciuta e si può considerare una tra quelle che più ha influenzato il gusto degli indonesiani. Si possono trovare ristoranti Minang praticamente in tutte le isole dell’Indonesia. E’ una cucina molto speziata, il piatto principale è ovviamente il riso che viene accompagnato da varie altre portate di carne, pesce e vegetali. In questi ristoranti ti portano più di una decina di piatti diversi, tu scegli quello che vuoi e alla fine paghi per quello che hai mangiato.
La terza cosa è ovviamente l’architettura, che secondo me può entrare di diritto tra quelle più interessanti ed affascinanti dell’Asia. Non si può non restare a bocca aperta quando si ammirano queste strane case Minangkabau, con i loro tetti a punta che sfidano il cielo come delle grandi corna di bufalo ( infatti nella lingua Minang vengono chiamate Rumah Bagonjong, che significa appunto “casa col tetto a punta” ).

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Ho solo tre giorni e un sacco di cose da vedere in programma, ma qui siamo praticamente in mezzo alla foresta pluviale a due passi dall’equatore e come è facile intuire piove moltissimo, quindi tutti i progetti vanno sempre subordinati al tempo. Comunque anche qui come ad Aceh sembrerebbe che la pioggia sia soprattutto pomeridiana e notturna, quindi svegliandosi presto si hanno buone possibilità di trovare qualche ora di sole nella prima parte della giornata.

Il primo giorno ero indeciso se andare a vedere il lago vulcanico Danau Maninjau oppure farmi un giro di villaggi tradizionali tra Batu Sankar, l’altro lago Singkarak e Padang Panjang Barat, facendo un bell’anello attorno all’enorme vulcano Merapi. Alla stazione di Bukittinggi c’è un gran casino, e solo dopo un po’ riesco a capire che per Maninjau c’è da aspettare più di un’ora, mentre per Batu Sankar ci sarebbe un opelet in partenza. Decido così di farmi il giro di villaggi che avevo in mente, a Batu Sankar cercherò un mototaxi in affitto per una mezza giornata. Il paesaggio è straordinario, e infatti dopo pochi chilometri decido che il giorno seguente affitterò una moto per farmi un bel giro in completa libertà, magari nella Harau valley che dovrebbe essere uno dei posti più belli di questa zona. In ogni caso trovo un simpatico tizio come autista e malgrado qualche difficoltà con la lingua riusciamo ad organizzare un bel giro tra campagne e villaggi Minangkabau. Come prima tappa però andiamo a vedere il palazzo del Re, che si trova a soli 5 chilometri nel villaggio di Silinguang Bulang ed è una classica “cartolina” della terra dei Minangkabau. In realtà malgrado da lontano sia realmente una vista mozzafiato non si tratta di un edificio storico ma di una replica piuttosto moderna e inoltre era in restauro e all’interno stavano lavorando. Passeggiando attorno al palazzo comunque ho conosciuto varie persone interessanti: dopo un mese e mezzo qui in Indonesia riesco a dire qualche parola in bahasa indonesia e questo è molto utile per rompere il ghiaccio e abbozzare una mezza conversazione. In particolare conosco una bella famiglia di Padang in gita, che vuole farsi fare una foto con me, dei simpatici studenti e alcuni militari in licenza.

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Ci fermiamo quindi in un paio di villaggi molto belli, mentre come previsto nel primo pomeriggio il tempo volge al peggio e grossi nuvoloni neri appaiono minacciosi all’orizzonte. Tra questi il più bello è Belimbing, che in effetti è quello più noto e vagamente ( molto vagamente ) “turistico”, ma turisti non ce ne sono e anzi per me non ne vedono da un bel po’. Ci sono varie case tradizionali , alcune in buono stato e altre lasciate andare in rovina, tra queste quella del capo villaggio che dovrebbe avere circa 400 anni, dove quando arriva qualche tour organizzano anche delle danze.
Potrebbe iniziare a piovere da un momento all’altro ma convinco l’amico del mototaxi a portarmi anche a vedere il lago, che in effetti è molto bello e grande, l’acqua è blu cobalto e intorno ci sono verdissime colline. Per tornare saliremo proprio su una di queste, seguendo una stretta stradina a tornanti che si snoda tra la vegetazione lussureggiante. Arriva quindi la pioggia, ci fermiamo per un po’ in un primo villaggio e poi l’autista mi chiede se posso fermarmi a casa sua ( che ha il tetto normale, ma nel villaggio ce ne sono altre con quello canonico a punta ), che è di strada, vuole farmi conoscere la sua famiglia. Mi offrono un caffè, scambio qualche parola in inglese con le figlie e qualcuna in bahasa indonesia con la madre, poi dopo un po’ smette di piovere e ci avviamo alla fermata dell’autobus. Davvero una bella giornata “indonesiana”.

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Il giorno seguente come previsto vado nel ristorante che mi ha consigliato il francese ad affittare la moto e parto di buon’ora alla volta della Harau valley. La strada nella prima parte è bella ma molto trafficata, e solo dopo Payakumbuh diventa realmente godibile, tra risaie verde smeraldo e piccoli villaggi dove tra le palme emergono i tetti a punta di case Minangkabau dai colori accesi. Ad un certo punto si abbandona la strada principale e si prosegue all’interno della valle, dove non si può evitare di rimanere affascinati da questo luogo straordinario di una bellezza senza pari. Mi fermo ogni 100 metri a fare delle foto, mentre le tante donne che lavorano nelle risaie mi salutano e mi sorridono. Non è facile descrivere questa valle, né spiegare il perché è così affascinante: è uno dei quei luoghi magici dove tutto sembra perfetto, dove la natura è riuscita ad esprimersi al suo meglio, dove vorresti semplicemente stenderti sotto una palma e restare ad ammirare questo paradiso per sempre.

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In serata mi fermo sulla terrazza dell’hotel a parlare con il simpatico proprietario, che è un vecchio giramondo tedesco che si è sposato un’indonesiana ( anche lei molto simpatica ) e si è accasato qui a Bukittinggi. Mi parla delle sue avventure e di quanto siano ancora selvagge le giungle di questa zona di Sumatra. In particolare mi indica quella attorno al vulcano Sago, dove non ci vanno nemmeno i locali perché hanno paura delle tigri che a quanto pare sono molto aggressive e non disdegnano di attaccare l’uomo. Più tardi ci raggiunge la moglie e mi dice che se voglio vedere una rafflesia in fiore ce n’è una nel parco di Batang Palupuh, che si trova poco fuori città e si può raggiungere facilmente con delle auto collettive. Certo che la voglio vedere!! Tra le mie passioni c’è anche la botanica e malgrado sia specializzato in piante grasse sono una amante di tutte le piante, e vedere una Rafflesia Arnoldii ( che per chi non lo sapesse è la pianta con il fiore più grande del mondo ) in fiore è un po’ il sogno di tutti gli amanti della botanica ma anche della natura in generale. Così il giorno dopo prendo una bella auto collettiva piena di massaie locali che tornano nei villaggi dopo aver fatto la spesa al mercato e mi fermo all’ingresso del piccolo parco di Batang Palupuh, dove vengo subito approcciato da un ragazzo che si propone come guida. Lo qualifico subito come un tout, e decido di farmi un giro del villaggio per capire se poi una guida è proprio necessaria. Una donna sorridente mi saluta e mi chiede se voglio assaggiare il caffè locale ( Kopi Luwak ), a quanto pare fatto con gli escrementi del zibetto, un simpatico animaletto selvatico che vive in queste fitte giungle e si ciba appunto di bacche di caffè. Accetto e quindi un’altra simpatica donna mi prende in consegna e mi recita come un rosario tutta la storia del caffè, le caratteristiche, la procedura per farlo e poi mi mostra anche un video sul laptop. Ovviamente alla fine del rosario c’è anche la proposta di acquistare un po’ di kopi, che però declinerò visto che questo è il caffè più caro del mondo, costa circa 300 euro al chilo. Preferisco il buon vecchio Illy, o al limite un Lavazza. Però una tazza l’assaggio volentieri, e in effetti è buono e piuttosto diverso da quello normale. Ma non sono qui per bere caffè, e chiedo informazioni sulla rafflesia. Anche le donne mi dicono che è necessaria una guida, bisogna camminare nella giungla per circa mezz’ora e se non sai dov’è la pianta non la puoi trovare e in più molto probabilmente ti perderesti. Telefoniamo quindi al ragazzo che avevo incontrato all’arrivo, ci mettiamo d’accordo sul compenso e infine ci avviamo tra le risaie verso la foresta. Dopo un breve tratto tra le risaie ci inoltriamo subito nella fittissima e umidissima foresta pluviale, c’è anche da fare qualche tratto ripido nel fango tutt’altro che piacevole. Raggiungiamo quindi una piccola cascata e finalmente la vedo! Un piccolo bottoncino rosso fuoco che emerge in lontananza tra la verdissima vegetazione. Ci avviciniamo e malgrado la rafflesia sia un po’ sfiorita è stata una bella emozione trovarsi vicino a questo “fiorone” . La guida mi propone di andarne a vedere un’altra che sta per sbocciare, che si trova in un posto ancora più impervio, ma alla fine ne è valsa la pena soprattutto per vedere gli straordinari colori della pianta.

Il mio viaggio a Sumatra si conclude praticamente qui a Bukittinggi, il giorno seguente mi rifarò la Trans Sumatran Highway fino a Medan ( 22 ore di autobus ma senza incidenti ) dove mi aspetta un aereo per la modernissima Kuala Lumpur.

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