Democrazia, rete, rappresentanza Nel 1995 la rivista Time pubblicò una copertina dell’edizione internazionale con un ritratto di George Washington con due auricolari: wired democracy, recitava il titolo. Wired come connessa, ma anche come recintata: processi decisionali basati sull’informatica che possono escludere più che includere. La rivista già parlava di un “populismo elettronico” , che, in polemica opposizione alla distanza tra eletti e cittadini, spingevai politici a prendere in considerazione ogni sondaggio, ogni telefonata o fax, ogni iniziativa promossa da talk show televisivi o radiofonici, con il rischio di creare un corto circuito tra media e democrazia rappresentativa. Che ne è del processo decisionale esperto se esso si fa condizionare da umori e passioni che non trovano un momento di elaborazione e confronto con visioni opposte? Dunque l’ambivalenza dei media e di internet in rapporto alle forme di partecipazione popolare non è cosa nuova a chi se ne occupa. All’ambiguità dei media e ancor di più di internet si aggiunge anche l’ambiguità del concetto di democrazia, parola che sembra inequivoca, bella e lucente, usata, quasi sempre a sproposito e sulla base di un equivoco, per rendere inattaccabile ogni frase in cui la si cita o la si celebra. Ma cosa si intende quando si parla di democrazia? Si crede comunemente che tale concetto sia nato nella Grecia classica ma si tratta di una mera assonanza fonetica. Democrazia era un termine usato spregiativamente dai nobili per indicare letteralmente “lo strapotere brutale del popolo” e Tucidide fa dire a Pericle che “La parola che utiliziamo per definire l’organizzazione del potere cittadino è democrazia per il fatto che essa, nell’amministrazione, si qualifica non rispetto ai pochi ma rispetto alla maggioranza”. E la maggioranza che aveva diritto di partecipare alle assemblee dell’agorà era costituita in effetti da una minoranza, composta solo dai maschi adulti che possedevano abbastanza risorse per pagarsi l’attrezzatura militare. Lo stesso Tucidide afferma che ad Atene non c’era la tanto vituperata democrazia (strapotere del popolo) ma un principato, inteso come governo di un protos aner, lo stesso Pericle, appunto. (Cfr. Luciano Canfora, La democrazia, storia di un’ideologia). Da queste ambiguità duplici e tra esse intrecciate discendono oggi tutte le idee e le false metafore che parlano di internet come la nuova “agorà”, meglio come di un’agorà digitale”. Siamo costantemente vittime di giustapposizioni logiche che quando riescono a diventare metafore finiscono per confonderci e per spingerci a non interpretare i fenomeni “iuxta propria principia”. La democrazia moderna è un’agorà greca oppure è un governo del popolo, dal popolo, per il popolo, come la storica definizione di Lincoln? Quali aspetti della democrazia modernamente intesi vengono toccati da internet? Per arrivare al tema del momento: l’uso che Grillo fa della rete è davvero “democratico”? Tra le tante declinazioni moderne della democrazia ce ne sono due che approfondirò: democrazia come diritto d’accesso (a informare, informarsied essere informati) e democrazia come “governo in pubblico”. Vediamo il primo caso. Checché ne scriva Serena Danna il blog di Beppe Grillo è stato in questi anni il principale luogo di informazione su fatti e iniziative spesso volutamente ignorati dai media mainstream in Italia. Una serie di tematiche che il sistema dei media rifuggiva, minimizzava o censurava ha trovato spazio sul blog di Grillo. Ricordo a memoria il dramma di Federico Aldovrandi, i danni causati dagli inceneritori e dai ripetitori, il movimento No Tav. Il blog ha offerto la possibilità a tanti cittadini di dire la propria tramite un commento quando questo costume era ritenuto eretico dai principali quotidiani online. Inoltre ha consentito lo sviluppo di dibattiti tra i partecipanti attraverso i lunghi thread che si sviluppavano, ha creato degli opinion leader (alcuni di essi oggi in parlamento) che partecipavano più costantemente e con maggiore acume e preparazione alle discussioni. In questo senso sbaglia la Danna a parlare di un utilizzo vecchio del blog. Il web sociale non è dato dall’uso di piattaforme banalmente intese come social quali Twitter o Facebook ma dalla logica di utilizzo del media stesso. Se utilizzi un blog per aggreggare sei più “2.0” di un’azienda che sulla sua pagina facebook spara aggiornamenti in una logica meramente broadcast.Se non è sociale un blog che riesce ad aggregare persone in migliaia di incontri reali sul territorio e finisce per essere votato da 8,7 milioni di italiani non so cosa possa esseredefinito “social”. Ecco quindi che il blog di Grillo (che si definisce, non a caso, “il primo magazine solo in rete”) ha creato una zona franca di discussione che oltrepassava l’agenda setting dei media predominanti. La diffidenza se non il disprezzo verso i media tradizionali non è stata dunque una strategia elettorale ma nasce da scelte editoriali e da una critica di fondo ai media tradizionali elaborata su numerosi episodi di censura o di distorsione dei fatti denunciati per anni da Grillo.
Il secondo elemento democratico è quello del “governo in pubblico”. In questo senso il blog di Grillo si inserisce in una corrente molto più ampia che ha avuto il suo apice in Wikileaks. I rimborsi elettorali sono quasi folclore rispetto all’idea di portare le telecamere dei cellulari dentro le Camere e dentro le Commissioni parlamentari. In questo vi è una radicalità che trovo difficile non definire democratica, nel senso appunto di una costante scrutinabilità del potere da parte del cittadino informato. Quindi una rete intesa come strumento di governo in pubblico, questo sì considerato dai grillini come un elemento di rottura rispetto all’opacità che caratterizza i processi decisionali italiani. Ovvio che questo principio, praticato da sprovvedute come Gessica Rostellato, porta a situazione patetiche e ridicole. Facile prevedere che ve ne saranno altre: la profondità di comprensione delle dinamiche della rete tra i promotori del Movimento e alcuni eletti in Parlamento è abissale. Questo ci porta a ragionare nel prossimo post sul modello di governo della rete. Se non vi è un centro e la rete è per sua natura acefala, la leadership non è in un punto della rete (dove al massimo ci può essere un'aggregazione di attenzione e di reputazione), ma dietro o sopra di essa, ovvero che crea le condizioni e l'architettura logica e ideologica della rete.