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Mino e L’uomo delle pietre

Creato il 15 ottobre 2011 da Cultura Salentina

Soleto, 5 giugno, come qualche anno fa.

Mino e L’uomo delle pietre

© Foto Titti De Simeis

Tornai in quel posto, dove lo incontrai, per la prima volta.

Era trascorso un po’ di tempo, ma ricordavo tutto di lui, il suo volto, la sua voce, la sua tenerezza, la saggezza di un uomo che aveva riversato in me gran parte della sua esperienza, rivedendosi, forse un po’, nella mia innocenza.

Non conoscevo il suo nome, per me era stato ‘l’uomo delle pietre’, conosciuto in un pomeriggio estivo mentre, da solo, camminavo per le strade della campagna di Soleto, in cerca di ‘cose nuove’, come amavo chiamarle, che mi dessero emozioni da scrivere e di cui provare stupore.

Me lo ritrovai di fronte, mentre tentavo di tirare un calcio ad un sasso, che si era incagliato sotto la ruota della mia bicicletta.

-   Fermo! – mi urlò.

-   E tu chi sei? – gli chiesi.

-   Non scalciare quella pietra e ti racconterò una storia – così mi rispose, conquistandosi la mia curiosità.

-   Cosa vuoi dire? –

-   Sediamoci, ne hai voglia? – mi fece.

-   Sì -

Ci sedemmo per terra, tra le piante selvatiche e i papaveri, mentre il sole si abbassava, in nuvole azzurre di cielo.

-   La pietra è importante per la storia dell’uomo, è da anni che abbiamo perso il contatto con le nostre radici, inseguendo falsi ideali ed un progresso che ci ha fatti retrocedere alla ricerca dell’effimero, dell’inutile. Stavi per tirare un calcio a qualcosa di prezioso, un concentrato della vita del mondo. Se quella pietra potesse parlare ti direbbe tante cose –  Così, iniziò.

-   Vuoi dirmi che tu ascolti le pietre? – lo guardavo con occhi increduli ma con la fantasia in moto.

-   Cerco di ascoltarle, sì, come tutto quello che può avere una voce. E ascolto anche il silenzio

Abbassò lo sguardo e strappò un filo d’erba.

-   Il silenzio non ha una voce – gli risposi.

-   Invece sì, tu resta in silenzio ed aspetta, sarà lui a venirti a cercare, ti parlerà e farà molto rumore –

-   Così mi metti paura – lo guardai di traverso, come intimorito dai suoi discorsi.

Se ne accorse e mi mise una mano sul braccio, stringendomi in una carezza. Ma continuò a parlarmi, con voce pacata, come in una fiaba.

-   Sai, quella pietra potrebbe raccontarti la vita, la storia di questo posto, la strada che ha fatto per arrivare qui e quanto lavoro ha sentito passare in questi grandi fossati che vedi intorno –

-   Cosa sono? – facevo domande piccolissime, non volevo toglierli tempo, impaziente dei suoi racconti.

-      – Sono delle cave. Da molti, moltissimi anni qui si estrae una pietra utilizzata nei paesi vicini. -

Parlava e, con il braccio, mi guidava all’orizzonte.

Lo guardai. Vestiva un berretto color corda e si passava, spesso, un fazzoletto sulla fronte per asciugarne il sudore. Mi sorrise, scompigliandomi i capelli.

-   Cosa vuoi chiedermi, bimbo? – Lesse, forse, tra le pieghe dei miei pensieri, intimiditi ma scalpitanti.

-   Vorrei che mi raccontassi come si fa a portare fin quassù quella pietra – risposi sorridendo, anch’io

Raccontando, faceva dei disegni per terra con un rametto di legno, gli occhi socchiusi e la voce bassa.

- Vedi, tanto tempo fa, la pietra si estraeva a mano, venivano usati degli esplosivi per creare delle fratture nella roccia e poi con dei ‘palanghini’, cioè delle travi di ferro, a mo’ di leve, veniva sollevata e staccata dalla parete. Dopo essere stata ridotta in pezzi piccoli, veniva lavorata con degli attrezzi quali lo ‘sciamarro’ (una sorta di piccone) e la ‘busciarda’ (un piccolo martello), per poi essere trasportata laddove si sarebbe dovuta utilizzare. Pensa che, quando, per strada, non c’era tutto il rumore di oggi, soprattutto nelle ore più tranquille, si sentivano battere gli scalpelli dei cavamonti fin dal paese, a circa due chilometri di distanza da qui,  un rumore indimenticabile che faceva eco e compagnia, e ci ricordava il pesante lavoro degli uomini quaggiù. Te l’immagini che fatica? -

Un raggio di sole faceva capolino dietro gli alberi ed il profilo del mio amico era proprio in controluce. Gli feci cenno di sì, con la testa.

- Ma la pietra laggiù era di una sola misura? O c’erano diverse grandezze? – Ero curioso di come, da quei luoghi sottoterra, si riuscisse a tirare fuori qualcosa di così pesante, in tempi in cui l’uso dei macchinari era impensabile.

- In effetti c’erano, e ci sono, diverse misure: la piccola, quella dei ‘basuli’ viene usata per pavimentare i centri storici. (il nome di Soleto, infatti deriva dal greco ‘syllithos’ che vuol dire ‘pavimento lastricato’) Questo tipo di pietra si usa anche per fare i muri a secco, quelli che vedi qui intorno e che delimitano i vari terreni: viene spaccata, ridotta a pezzature più piccole con cui, poi,  si compongono i muretti. Con la parte più sbriciolata si costruisce il muretto nell’interno, mentre con la parte più integra si rifinisce l’esterno, la parte cioè, a vista. Da un po’ di tempo ad oggi, con l’arrivo della tecnologia, si sono utilizzati dei macchinari, sia per l’estrazione che per il taglio, risparmiando all’uomo i lavori più pesanti. Con i tagli di pietra più grandi, invece, si rivestono i davanzali e le soglie delle case. Se ti guardi intorno puoi vedere da te i tanti utilizzi che se ne fanno: la si usa per costruire delle fontane, dal momento che la nostra pietra non ha paura dell’acqua, non viene rovinata dall’acqua, anzi spesso diviene più bella, sembra quasi erosa, come quella dei ciottoli di un fiume. Si costruiscono persino delle vasche da bagno, perché la sua superficie è porosa e non si scivola, fa attrito in modo naturale. Oggi si usa anche per creare degli oggetti come, ad esempio, dei portapenne che tu potresti dipingere e colorare come più ti piace -

Mino e L’uomo delle pietre

© Foto Titti De Simeis

Mise a posto una ciocca dei miei capelli chiedendomi se mi fossi stancato. Gli risposi di no, e di continuare a parlarmi ancora di un mondo che non avevo mai conosciuto e che avrei, poi, passato avanti, ai  miei amici.

- C’è ancora qualcosa che ti piacerebbe sapere? -

- Sai a cosa pensavo? Chi è stato il primo a scoprire che qui sotto c’era la pietra? -

Si accese una sigaretta, appena due boccate, si inumidì le labbra e ricominciò a raccontare.

- In passato queste erano zone incolte, non erano edificate, erano delle zone quasi inutilizzate; in quel periodo c’era bisogno di lastricare le strade sterrate,  quindi si è cominciato a scavare, pensando, appunto di trovare, sottoterra del materiale che potesse essere utile a risolvere quest’esigenza. L’uomo è sempre alla ricerca di qualcosa, lo sai, e, quasi sempre, riesce a trovare la soluzione. E’ così che si è scoperto un tesoro come questo -

Il tramonto stava prendendo sempre più spazio. Avevamo trascorso lì tanto tempo. Ci guardammo, quasi leggendoci nel pensiero: era ora di andar via. Ripresi la bicicletta e mi misi a camminare accanto a lui.

-   Sai che non ti ho nemmeno chiesto come ti chiami? – mi fece.

-   Dammelo tu un nome – gli risposi.

Restò a pensare un attimo poi disse: – Luminoso, tu sei “luminoso”. Fai luce tra i tuoi pensieri e con le tue domande fra i tuoi dubbi. Ti chiamerò così, anzi per far prima ti chiamerò Mino, che ne dici piccolo? -

Mi piacque quel nomignolo tanto che non gli rivelai mai il mio vero nome.

Camminavamo per quella stradina radente la cava quando, inavvertitamente, un piccolo sasso scivolò giù, e rimbalzò nel fondo, provocando dei suoni nuovi, per me, quasi metallici ma molto caldi, che riecheggiarono fin su, dove eravamo noi.

Guardai il mio amico, meravigliato. Mi prese la mano, si accovacciò e mi indicò il punto esatto dove il sassolino era andato a finire.

-   Hai appena scoperto un’altra cosa, mio giovanissimo compagno di strada –

-   Davvero? E cosa? – Gli chiesi, ancora più stupito.

-   Questa pietra ha una voce! Questa pietra è capace di emettere dei suoni, quasi di parlare, e te lo ha dimostrato proprio ora. Sai come viene, anche, chiamata?

-   Come? –

-   ‘Pietra viva’. Sì, proprio così. Io l’ho sentita sai? In un posto lontano da qui, c’erano delle lastre di pietra che venivano sfiorate in modo tale da provocare dei suoni, appunto, uno diverso dall’altro, quasi una musica, somigliante a sonorità orientali. Una sorta di melodia, dolce, intensa, delle vibrazioni quasi magiche, da gustare in silenzio, lasciandole penetrare fin dentro di noi. Mi piacerebbe che tu le ascoltassi, che ti capitasse di ‘vivere’ insieme alle voci della pietra le emozioni che essa racchiude in sé, e che sono così preziose, indescrivibili, rare.

I suoi occhi si erano illuminati, o erano diventati lucidi. Li allontanò dai miei, cercando nelle tasche le chiavi della sua auto.

- Sai, Mino, la pietra è al centro della nostra vita, essa è quasi materna con noi, è la nostra stessa origine. Fanne tesoro, tienila da conto, ascoltala, vivila, essa penetra l’esistenza dell’uomo fino a diventarne nutrimento dello spirito. Un giorno capirai, e ti ricorderai di queste mie parole. Fino a quel giorno custodiscile, dentro di te, e fanne raggi di conoscenza, se puoi -

Si chinò a darmi un bacio sulla guancia. Io lo abbracciai forte. Mi scompigliò ancora una volta i capelli e salì sulla sua auto.

Lo guardai allontanarsi.

Salii sulla mia bici e ripercorsi quel viottolo fino al punto in cui ci incontrammo.

Raccolsi il sasso che stavo per scalciare all’inizio di questo racconto, lo pulii per bene e lo portai via con me.

Da quel giorno divenne parte della mia vita, dei miei giochi, dei miei pensieri, dei miei mille dubbi e delle tante risposte, sulla mia strada.


Ringrazio la ditta “ROMANO PIETRA” di SOLETO per le notizie tecniche fornitemi ed il dott. Lorenzo Romano per la disponibilità e la condivisione della sua cultura e del suo pensiero che sono parte integrante di questo ‘racconto’.

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