Ispirato alla canzone “Minuetto” di Mia Martini
Il cuore mi accelera in petto. Può essere un capello bianco? No. Mi allontano di un passo dallo specchio, rifiutando di controllare. Esamino l’immagine riflessa dalla vita in su, la donna priva di sorriso che mi guarda è bella da far male.
Allora perché? Perché? Mi riavvicino e appoggio le mani sul lavabo, il freddo del marmo mi arriva fino ai gomiti. Affondo nei miei occhi verdi e leggo la domanda, sempre quella, che li rende scuri, dolenti. Lui verrà? Poi un’improvvisa rabbia mi prende e spalanco l’armadietto dei trucchi cercando il latte detergente, lo passo maldestramente sul viso, poi mi spoglio e mi fiondo in doccia. Meno di cinque minuti e sono a letto, non sono ancora le dieci di sera e, testarda, mi rifiuto di piangere.
Non voglio uscire dalla nebbia del sonno, ma un rumore mi raggiunge, fastidioso. Poi smette. Mi volto pancia sotto e la coscienza sparisce. Mi svegliano i suoi baci leggeri, piume umide che cadono sulla mia nuca. Mi giro, nuda come ho sempre dormito, e lo allontano coi residui di rabbia della sera.
Lui torna, lento, sicuro, le mani calde e lievemente ruvide. Sono un guscio nello schiaccianoci: mi faccio male ad accoglierlo, mi faccio male a respingerlo.
L’altra parte del letto è già fredda quando mi alzo, cerco di non guardare in quella direzione perché la tristezza mi travolge spesso al mattino, quando sono indifesa.
La giornata si trascina lenta.
Esco dal lavoro e non salgo sul tram, il rumore della città mi fa sentire meno sola, mi accontento delle apparenze e quando passo davanti all’edicola vicino a casa, mi ferma Alessio.
«Ciao, come stai?» Niente di più innocuo, eppure vedo nei suoi occhi il residuo di una speranza che fatica a morire. Sorrido, cosa rara. Il suo collo si colora di rosa.
«Non male, tu?» Rispondo con il fiato un po’ corto per la camminata veloce.
«Aperitivo?» Mi lancia fintamente disinvolto.
Faccio sì con la testa, sorprendendomi.
Siamo in un bar, seduti a un tavolino vicino ai vetri. Mi sforzo, lo ascolto, è un ragazzo simpatico. Ma è come se l’aria attorno a lui fosse ferma. E io sono malata.
Cerco il vortice che mi prende, mandando i miei capelli in aria come un vento di marzo. Morirò di freddo, lo so, ma per ora non mi importa.
Ci lasciamo con la promessa di un cinema o di una cena, tento di convincermi che stare in piedi non è difficile dopo i primi passi, che potrei riuscirci. Poi l’ammirazione velata che vedo negli occhi di Alessio mi fa sentire in colpa e torno a passo svelto sulla via di casa.
«No, domani non ci sono.» Lui alza la testa dal piatto, improvvisamente.
«Ah no? Dove vai?» Chiede prudente.
«Mi ha invitato un amico a cena.»
«E… » Mi guarda come da lontano.
«E niente. Non mi va di vederti se esco.»
«Passo a mezzanotte.»
«Non ascolti?»
«Ci vediamo domani.» Lui si alza e va via.
Alessio mi ha fatto divertire. Gentile, allegro. Non si mostra seccato di accompagnarmi a casa alla stessa ora di Cenerentola.
Adesso mi godo le luci della città, il panorama dal mio piccolo terrazzo è fantastico e il gelsomino, con l’oscurità, profuma da stordire; lo aspetto con ansia, mi passa un fremito tra le scapole quando penso alla sua pelle, a quando vi appoggio le labbra e ne sento il sale.
È quasi l’una.
Alle due vado a cercare le sigarette che avevo nascosto un anno fa, apro il pacchetto lentamente, togliendo il cellophane con cura. Mi sfiora il dubbio, ma l’aroma è già uscito dalla confezione e io sono impotente.
Quando vado a dormire sono le quattro e ho dimezzato il pacchetto. La testa mi martella e giuro che non lo vedrò più.
Il giorno dopo mi trascino al lavoro con sottili rughe ai lati della bocca, ma ho già cambiato idea, mi manca. Non mi capisco. Sono furibonda e mi manca lo stesso. Tiro un respiro profondo con la voglia di arrivare presto a casa e sentire sul cuscino il suo odore. Verrà?
Sono di nuovo a fumare sul terrazzo. Lo aspetto per le nove, ha chiamato e il tavolino all’esterno è già pronto con il tralcio di roselline nel vaso, nel forno le lasagne agli asparagi. Entro in casa assetata di musica, metto la canzone che, senza sapere, qualcuno ha scritto per me. La voce di Mia si alza pura e corposa.
Quando arriva guarda la mia sigaretta, serio.
«Che fai?»
«Ti importa?»
«Avevi smesso.»
«Ti ho aspettato ieri, fino a tardi.»
«Per favore… ora sono qui.»
Improvvisamente le forze mi abbandonano.
«Basta.» Lo dico piano, lo sussurro.
Tra le sue qualità c’è la furbizia, non mi lascia il tempo, si avvicina abbracciandomi stretto e il suo odore copre quello del gelsomino. Le poche ore che mi concede si dilatano, ma non si diluiscono. Posso toccarlo, vedere i suoi occhi che perdono il controllo. So di farlo felice, ma è come se avesse paura di rinunciare a se stesso stando con me.
Torno dal parrucchiere insoddisfatta della tonalità che rende i miei capelli innaturalmente lucidi, ma ci sono costretta. Un vento freddo li spettina mentre cammino sotto il cielo scuro di ottobre. Vorrei tornare a casa e avere qualcosa di caldo a cui appoggiarmi che non sia il termosifone sotto la finestra, ma non ce l’ho.
Lui non è arrivato. Entro in camera mia e mi stendo con la voglia di averlo vicino, sola, come un’isola stanca del mare.
I racconti commemorativi di È scrivere
Evento: 12 maggio 1995 morte di Mia Martini
Biografia (da Wikipedia):
Mia Martini, pseudonimo di Domenica Rita Adriana Berté detta Mimì (Bagnara Calabra, 20 settembre 1947 – Cardano al Campo, 12 maggio 1995), è stata una cantautrice italiana.
Sorella maggiore di Loredana Berté, con la quale curiosamente condivide giorno e mese di nascita, donna tormentata, considerata in Italia tra le più intense e raffinate interpreti, è riconosciuta come una delle voci più belle e significative che abbia espresso la musica italiana; vantò una lunga carriera artistica che ebbe inizio nel 1963, semplicemente come Mimì Berté. Il produttore discografico e autore Carlo Alberto Rossi la volle lanciare come ragazza yè-yè; tuttavia, il successo che trovò in questa veste, sebbene molto lusinghiero per una debuttante, durò ben poco, e dopo alcuni anni di oblio riapparve sulle scene, nel 1971, col nuovo pseudonimo di Mia Martini.
La sua carriera e la sua vita privata furono segnate da una serie di maldicenze a sfondo superstizioso in seno allo stesso mondo dello spettacolo e addetti ai lavori che la ostacolarono ed emarginarono per diversi anni.
Morì a soli quarantasette anni in circostanze mai del tutto chiarite. Fu trovata priva di vita nella sua abitazione dopo almeno due giorni dal decesso.
L’autore:
willy
Chi sonoSono una a cui piace scrivere, che discorsi, non sarei qui altrimenti…leggere (e se potessi allungherei le giornate per questo).Mi piace usare la fantasia e ho all'attivo un romanzo, ma sono poco obiettiva con me stessa, quindi sempre in cerca di opinioni, critiche…pensare che dovrei fregarmene, non è forse libero il pensiero?
Questo particolare racconto commemorativo nasce dal progetto Musica in storie che si propone di unire la passione della musica con quella della scrittura.
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