Miron Bialoszewski
Poeta, prosatore e drammaturgo, una delle figure più rappresentative della letteratura polacca del XX secolo. Nacque a Varsavia il 30 giugno 1922. Durante la guerra studiò filologia polacca presso l’Università clandestina di Varsavia. Debuttò nel 1956 all’età di 34 anni con la raccolta di poesie “Obroty rzeczy” (Circolazione delle cose), curata dal noto critico Artur Sandauer. Fu subito accolta come una delle opere più importanti in quegli anni di svolta politica e letteraria. Essa rivelò infatti un poeta maturo e originale, affascinato dalla vita corrente, dal grigiore quotidiano, dalle semplici consuete cose. E’ l’opera più significativa di Miron Białoszewski, assieme a “Mylne wzruszenia” (Ingannevoli emozioni) e al “Diario dell’Insurrezione di Varsavia” (1970), scritto in prosa dove, 23 anni dopo quello storico e drammatico evento, egli descrive la sua esperienza di insorto.
Un avvenimento importante nella vita del poeta fu la creazione nel 1955 del teatro sperimentale “Teatr na Tarczyńskiej, con Ludwik Hering e Ludmiła Murawska, dove egli rappresentava i suoi testi teatrali e si esibiva anche come attore. Questo teatro cambiò poi il suo nome in “Teatro a sé stante” e operò fino al 1963.
Insieme con Tymoteusz Karpowicz (1921-2005), Zbigniew Bieńkowski (1913-1994) e Witold Wirpsza (1918-1985), Białoszewski è considerato il creatore della cosiddetta “poesia linguistica”, nella quale la lingua agisce come strumento di comunicazione ad ogni livello, allo scopo di attirare l’attenzione del lettore sulla pluralità del senso delle parole e sulla loro combinazione, creando nuovi sorprendenti significati.
Lo attiravano fenomeni quali il linguaggio deviato, alterato dall’errore, la chiacchiera balbettante, i lapsus, le coincidenze linguistiche accidentali, l’inerzia e l’automatismo. Si richiamava alla lingua parlata, corrente e infantile, verificando incessantemente i limiti del sistema linguistico. I giochi di parole nella sua creazione non sono fine a se stessi, ma rappresentano sempre la ricerca di un modo di descrivere appropriatamente la realtà.
La sua poesia suscitava stupore. Alcuni lo ammiravano, altri lo criticavano. Figura controversa ed eccentrica, viveva “di tè e pasticche”, nichilista, sregolato, satanista della lingua, tossicomane che per scrivere aveva bisogno di stupefacenti – ecco alcuni degli epiteti usati nei suoi confronti. Il suo linguaggio è semplice, quasi di strada. Le finestre dell’appartamento sono coperte da un panno nero, per non far filtrare la luce del giorno. Non c’è il frigorifero, né la lavatrice, né il telefono, solo le cose più necessarie: un tavolo, una sedia, un armadio, il letto e un giradischi. Adorava la musica ed essa gli fu compagna per tutta la vita. Socievole, ma anche capace di scomparire senza traccia per settimane intere, per poi bussare inaspettatamente alla porta di un amico nel cuore della notte. Artista scomodo che non si adattava ai canoni. Aveva le sue idee sulla letteratura, che coerentemente realizzava. Non si curava dei soldi, anche se a volte gli bastavano appena per un piatto di riso e un bicchiere di latte. Diceva che quello era il prezzo della libertà. Non permetteva a nessuno di leggere le sue annotazioni intime. Soltanto oggi, dopo quasi 30 anni dalla sua morte, è stato pubblicato il suo “Diario segreto” – uno specchio fedele e suggestivo del poeta che con la sua creazione superò la sua epoca di alcune decine di anni.
Morì d’infarto a Varsavia il 17 giugno 1983.
5 poesie di Miron Białoszewski tradotte da Paolo Statuti
Autoritratto sentito
Mi guardano,
dunque forse ho un volto.
Dei volti conosciuti
meno di tutti ricordo il proprio.
Spesso le mie mani
vivono completamente a parte.
Meglio allora non includerle in me stesso?
- - -
Dove sono i miei confini?
- - -
Eppure sono ricoperto
di movimento o di semivita.
Sempre però
striscia in me
piena o anche non piena,
ma pur sempre l’esistenza.
Porto in me stesso
un qualche mio proprio
posto.
Quando lo perderò,
significherà che non ci sono.
- - -
Non ci sono,
dunque non dubito.
Bussato con un dito
Sul fondo delle pentole
scorrazzano
i ramarri delle vecchie mani.
I cornicioni degli chignon
sotto i cornicioni degli armadi.
I boccioni delle finestre
turati coi tappi dei volti.
Le pietre
guardano
porosamente
dalle diverse rughe
sopra al mento violaceo.
Nella terra –
l’ammonite delle bare.
– -
Le rose dei flussi sanguigni
s’inerpicano per le scale
fino al tetto
sulle antenne del gotico.
Le mosche
attorno ai fondali delle lampade
e quelli che verso l’orizzonte
si allontanano
e autunneggiano
nei rametti d’un bozzetto.
Studio della chiave
La chiave
ha
l’odore dell’acqua chiodosa
il gusto dell’elettricità
e come frutto
essa è acerba
non matura
essendo in sé tutta
nocciolo.
Ragionamento dell’io sono
sono me stesso
sono stupido
che devo fare
e che devo fare
come posso sapere
e che so forse
cosa sono
so che sono
come sono
ma forse soltanto perché so
che ognuno per se stesso è il più importante
perché anche se non accetta se stesso
lo stesso è come è
E’ fatta
guardo Janek col tubo dell’ossigeno
si addormenta
che sarà?
ancora ancora
penso
quando sarà
arrivo
guardo col tubo dell’ossigeno
si addormenta
quando sarà
ancora ancora
vado via per un attimo
tornerò ancora
chiedo al telefono
– come va Janek?
è fatta
(C) by Paolo Statuti