Nelle scorse settimane sono avvenuti due episodi che sembrano separati tra loro, ma che invece appaiono due ulteriori esempi dei problemi che attanagliano la gestione delle nostre risorse turistiche e culturali. Non per nulla sono avvenuti in due dei luoghi simbolo del turismo italiano: il Colosseo a Roma e il Ponte di Rialto a Venezia.
Roma: la Sovrintendenza e l’Alemanno hanno deciso che in nome del Decoro Urbano i centurioni che si fanno fotografare con i turisti devono andarsene, perché non ‘decorosi’. Un manipolo di vigili ha cercato, non per la prima volta, di farli sgombrare con la forza, comminando multe pesantissime, anche se i maligni non hanno notato la stessa solerzia contro abusivi di ogni genere, dagli accattoni provenienti dai campi rom, ai vu cumprà ,ai posteggiatori e le guide abusive (per non parlare dei taxi abusivi). Probabilmente perché queste categorie di sbarcatori del lunario sono più violenti, più numerosi o hanno patroni politici più importanti. Così un paio di centinaia di persone che avevano investito in costumi da film peplum, e che erano e sono graditissimi ai turisti, si trovano con il rischio di perdere il lavoro in piena recessione. Di fronte alla proposta dei centurioni di associarsi e regolamentare il mestiere (quindi con l’esborso di eventuali tasse a fronte di un tesserino di permesso) le autorità si sono dimostrate inamovibili, manco fossero l’imperatore Commodo contro il Gladiatore.
Venezia: un’imprenditrice che ha già un negozio in zona San Marco, dopo un paio di multe salatissime chiude il negozio che aveva aperto sul Ponte di Rialto. La sua colpa? Violazione del Decoro Urbano, ovviamente. Vendeva bigiotteria di lusso e non gioielli d’oro, violando un regolamento che il Comune aveva varato nel 2001 perché sul Ponte ci fossero solo gioiellerie. Sfortunatamente, questo balordo tentativo di trasformare il Ponte di Rialto nel Ponte Vecchio di Firenze cozza contro secoli di tradizione:infatti qui sono sempre esistiti negozi di ricami e pizzi, pelletterie, vetri di Murano autentici e fasulli, negozi di souvenir di ogni genere, oltre a bar e trattorie. Il tentativo sarebbe quello, dichiarato senza mezzi termini, di far chiudere tutti i negozi che collidono col senso del Decoro Urbano del Comune, nonostante si tratti di aziende commerciali attive e gradite ai turisti, soprattutto quelli non milionari. Ovviamente la guerra del Comune contro i violatori di decoro lascerà a casa dal lavoro parecchie persone.
Questi due recenti tentativi di proteggere il cosiddetto Decoro Urbano ha illustri precedenti, di cui un importante promotore fu Alberto Ronchey (Roma, 27 settembre 1926 – Roma, 5 marzo 2010), giornalista e scrittore italiano, ministro per i Beni e le Attività Culturali nel Governo Amato I e nel Governo Ciampi. Il ministro, infatti, si imbarcò nella persecuzione dei banchetti di souvenir che deturpavano il Decoro Urbano dei muri esterni degli Uffizi e altri musei, causando sconcerto e sgomento in chi si vedeva distruggere lavoro e reddito e una vibrata protesta che però portò solo a una attenuazione dell’ukase ministeriale, che favoriva la costituzione di shop museali gestiti da grossi imprenditori. Un marketing museale in gran parte fallimentare per quel che riguarda la grande maggioranza dei musei italiani.
Che cos’è il Decoro Urbano, questo moloch cui sono stati sacrificati lavoratori e aspiranti imprenditori? A guardare solo la prima pagina del sito di Roma Notizie alle voce decoro urbano si trovano immondizie versate ovunque e discariche abusive, aree archeologiche nel degrado, marciapiedi dissestati, piazze e parchi giochi abbandonati, manifesti abusivi e quant’altro. Nel sito del Comune di Milano si parla di ‘Design urbano per prevenire la criminalità’ e si afferma che ‘parte da Milano la sfida per rendere le città più sicure coniugando design urbano ed ecologia. Il design può infatti contribuire a creare luoghi d’incontro, illuminare le strade più pericolose e arricchire le funzioni degli spazi verdi urbani’. In una vecchia polemica contro il ministro berlusconiano Sandro Bondi, nell’articolo ‘Decoro urbano – Orsoni (sindaco Venezia): “Ci adegueremo a nuove regole, ma ci diano altre risorse per i restauri” il sindaco affermava: “Non sono certo io che voglio i cartelli pubblicitari, e’ un problema di risorse”, ripete all’agenzia Ansa il sindaco di fronte all’ennesima polemica sull’argomento, innescata dalla richiesta al governo dei direttori di museo di cambiare la legge che permette le enormi pubblicità sui ponteggi dei Palazzi pubblici. ”Se una legge vieterà la pubblicità sui monumenti la osserveremo, ma mi devono dire quali possono essere le forme alternative di finanziamento dei restauri. Del resto, per fare i lavori è necessario coprire i monumenti e anche se sulle impalcature non mettessimo la pubblicità chiese e palazzi sarebbero comunque nascosti alla vista”, conclude Orsoni.’
Giusto, giustissimo, ma perché allora prendersela con chi produce reddito come il negozio di bigiotteria di lusso sul Ponte di Rialto?