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Sembra essere una serenissima festa di compleanno, con una famiglia felice e sorridente, se non fosse che la festeggiata, una bambina di undici anni, decide di suicidarsi gettandosi dalla finestra. La tragedia verrà superata con una calma disarmante, calma che è preludio del disvelamento dei segreti orrori domestici. Avranas conduce con grande maestria il valzer dell'apparenza e di quel che è celato ad occhi esterni, nel primo caso facendo muovere la camera con stile molto sinuoso e piacevole (degno di nota il lungo piano sequenza della visita degli assistenti sociali), e nel secondo caso soffermandosi con inquadrature fisse evidenziando il cinismo di ciò che accade, accentuato ancor di più da una fotografia che tende sempre ad un grigio angosciante. La storia si sviluppa intorno alla figura di un nonno/padre/padrone, e all'omertà domestica spezzata dal suicidio iniziale; il tutto ha come cornice una cisi economica, che specialmente in Grecia, preoccupa e non poco. In Miss Violence di violenza vera e propria se ne vede poca, e se per Tarantino è diegesi stessa del mezzo cinema, e per Refn è purezza estetica incontaminata ed ancestrale, qui diviene semplicemente violenza in quanto tale,non è mostrata palesemente ma c'è, e se ne sente il peso, lo spettatore viene messo a disagio divienendo parte di quella famiglia, non può far altro se non assistere inerme alla disgrazia umana che si sta consumando. L'accuratezza estetica è davvero pregevole, e alcune simmetrie nelle inquadrature lasciano piacevolmente colpiti, la narrazione è fluida e senza intoppi si infiltra negli anfratti della psiche dei personaggi, diretti egregiamente, e dove non mancano i richiami alla terribile situazione attuale alla quale prima si accennava. Un film apparentemente perfetto, ma nonostante tutto sembra ci sia qualcosa che non va, come la famiglia di cui parla, in apparenza borghesemente normale e "perbene", la sensazione è che manchi qualcosa per renderlo un capolavoro. di Antonio Romagnoli
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