Che in Italia si legga poco e niente è cosa risaputa. Ma se si mettono da parte i dati e le percentuali, e si sposta la lente d’ingrandimento sui motivi per cui il popolo di Dante non legge, la questione si fa molto meno chiara. In questo articolo, cercherò di risalire alle radici del problema procedendo per logica.
Un’indagine: di chi è la colpa se nessuno o quasi legge? Fa anche un po’ giallo, se vogliamo. Procediamo con l’esame dell’alibi dei vari sospettati.
Numero 1: la mancanza di tempo.
Quante volte avete sentito dire cose del tipo: “Vorrei tanto leggere un bel romanzo, ma non ho proprio tempo!”. Io tante, troppe per riuscire ancora a sopportare una scusa così debole. Perché se uno non vuole leggere non legga, nessuno lo obbliga, ci va a perdere solo lui; ma almeno bisogna avere l’onestà di prendere posizione, di non nascondersi dietro un ridicolo “vorrei ma non posso”. Sì, perché com’è che noi lettori il tempo lo troviamo? Siamo tutti disoccupati? Non direi. Abbiamo accesso alla stanza dello spirito e del tempo di Dragon Ball? Magari… Semplicemente, se ti piace fare qualcosa il tempo per farla lo trovi. Com’è che il tempo per cazzeggiare su Facebook o per guardare Real Time lo trovate?Numero 2: il costo.
“L’altro giorno sono andato in libreria, ho visto un bel romanzo, però che diamine, 18 euro!” Altra frase ricorrente. Ok, che alcuni libri costino un po’ troppo è vero. Specialmente per chi non lavora.
Però:- ci sono le collane economiche. Non ditemi che non potete permettervi un libro da 10, 9, 8, 7, o anche 5 euro una volta al mese, o ogni due mesi, ogni tre…
- comprando sugli store online ci sono sconti anche notevoli. – si possono comprare libri usati.
- ci sono le biblioteche, che ci permettono di leggere gratis.
Insomma, magari non vi va di spendere 18-20 euro per un romanzo. Lo capisco, capita anche a me. Però, perché non comprare un altro romanzo a 9? Perché l’autore non è famosissimo? E se volete per forza quel libro, perché non comprarlo appena lo fanno in economica? Perché a quel punto sarà passato di moda?
Numero 3: lo studio.
“Eh, già leggo i libri dell’università, ci manca solo che mi metto a leggere pure i romanzi… ” Secondo questa teoria brillante, un manuale di fisica, di legge, di medicina, di ingegneria, di quelchevoletelogia è uguale a un romanzo. Non credo ci sia bisogno di argomentare.C’è poi il caso degli studenti di Lettere (la mia facoltà) che si nascondono dietro l’alibi del “Eh, ma già leggo i classici per l’università… ”. Leggi i classici? Bene. Ma sai, si presuppone che a te, studente di lettere, leggere piaccia tantissimo. Non mi dire che una decina di classici all’anno ti bastano…
Numero 4: mi annoia.
“Ci ho provato a leggere, ma mi annoia… ” Frase all’apparenza logica, corretta. Uno prova a leggere, si scoccia e amen. Eppure, anche questa scusa in realtà regge poco. Leggere ti annoia. Leggere. Non leggere i Promessi Sposi, hai detto proprio leggere. Quindi hai già letto tanti romanzi diversi, hai provato con vari generi, vari stili, diversi approcci alla scrittura.
Hai letto praticamente tutto, per poter dare un giudizio così… totale. Cosa vuoi che ti dica, a una persona colta come te non si può controbattere.Siamo arrivati al classico punto delle storie gialle in cui gli investigatori hanno abbastanza dati su cui riflettere. Quindi prendiamoci una pausa dagli interrogatori e analizziamo i punti in comune tra i casi su citati:
- qualcuno lamenta la mancanza di tempo, ma chi ama la lettura il tempo lo trova.
- qualcuno si appiglia al costo, ma ci sono le biblioteche, le collane economiche, l’usato; e poi qui si parla di non leggere proprio, di non spendere nemmeno 10, 20 euro l’anno in libri. Insomma, cifre alla portata di tutti. Chi ama la lettura, però, i soldi li trova.
- qualcuno dice che leggendo libri per l’università non ha bisogno anche dei romanzi. Chi ama la lettura, però, al testo universitario di biochimica affianca un romanzo con piacere.
- qualcuno dice che leggere lo annoia.
Non serve essere Sherlock Holmes per capire che il punto in comune tra i quattro alibi è la mancanza di amore per la lettura. Che non dipende né dalla mancanza di tempo, né dalla mancanza di soldi, né dallo studio.
Ma quindi, da cosa dipende?
Riagganciamoci alle parole dette dall’indiziato numero 3:
“Eh, già leggo i libri dell’università, ci manca solo che mi metto a leggere pure i romanzi…”
E ora alla domanda posta al numero 1:
“Com’è che il tempo per cazzeggiare su Facebook o per guardare Real Time lo trovate?”
Il movente non può che essere questo: la lettura non viene vista come qualcosa di divertente, piacevole, ma come un qualcosa legato allo studio, un’attività utile ma pallosa.
Cos’ha causato questo trauma nella mente del nostro serial killer, che ogni anno ammazza libri su libri facendoli riempire di polvere e mandandoli al macero, ma soprattutto ammazza la possibilità di divertirsi in un modo unico?
Ecco qualche ipotesi:- a casa non ha avuto esempi positivi: se vedi papà appassionarsi al calcio e non leggere mai un libro, molto probabilmente ti appassio- nerai al calcio e non leggerai nessun libro per piacere personale. Piccolo inciso: non ce l’ho con il calcio. Potete sostituire al pallone qualsiasi altra forma di intrattenimento amata dal grande pubblico.
- a scuola gli hanno proposto sempre libri pesanti e poco adatti alla sua età. “I Promessi Sposi” a quindici anni non potrà mai coinvolgerti. E studiarlo serve a poco: solo a creare delle menti piene di nozioni, spesso incapaci di esprimersi in italiano correttamente.
Già da questo punto in poi il nostro si è allontanato abbastanza dai libri da sviluppare il germe del serial killer letterario, inconsapevole assassino di romanzi. Però, nel corso della sua vita, il nostro assassino ha qualche momento di pentimento. Va in libreria, o comunque si avvicina a un libro e prova a leggerlo. Si trova davanti delle storie mediocri e lontane dal mondo reale scritte con un linguaggio molto lontano dal parlato, perché lo scrittore deve far vedere che lui sa scrivere bene, se no mica diventava scrittore.
E allora il nostro serial killer sapete che fa: legge un paio di pagine al massimo e si dice “avevo ragione”. E torna ad ammazzare più fiero e ostinato di prima.
Ah, della serie: siamo propositivi. Lo psicologo criminale consiglia agli scrittori di sforzarsi il più possibile per avvicinarsi alla vita vera, sia nei contenuti che nello stile; dato che per quanto riguarda genitori e istruzione non possiamo fare nulla. Questo non vuol dire, sempre a detta del dottore, che non si possa scrivere roba diversa o fantastica, o che non si possa rimodellare la realtà di tutti i giorni. Conta come lo si fa, come si racconta.
Magari una buona idea potrebbe essere evitare frasi come: «Era il calco psichico di un languore immemorabile che nessuna azione avrebbe potuto riscuotere dal suo sonno comatoso», frase riportata da un romanzo vero, “Il rumore sordo della battaglia” di Antonio Scurati, citata anche nel saggio “L’importo della ferita e altre storie” di Pippo Russo.
E ancora, tanto per dirne una: avete notato qual è la caratteristica in comune tra tanti autori (non già famosi per cose che non c’entrano con la scrittura) che vendono abbastanza? Provate a indovinare…
Uno stile colloquiale, esatto. Scrivi come parli, insomma. Certo, questo tipo di approccio non basta per scrivere un buon libro, ma direi, anzi, lo psicologo criminale dice, che è un buon inizio.
Aniello Troiano