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Miti e contraddizioni delle adozioni

Da Carlas73

Oramai completato il processo di adozione, ritengo di poter procedere ad analizzare questo particolare ambito sconosciuto ai più.
Iniziamo dalle maggiori contraddizioni che balzano agli occhi quando ci si avvicina alla procedura.

  • Una volta presentata la domanda al tribunale vengono richieste una serie di analisi e visite specialistiche, che possono essere diverse a seconda del tribunale ed ASL di appartenenza. A noi fu chiesto nel lontano 2009 visita psichiatrica e visita neurologica, in ambedue i casi, i dottori delle strutture pubbliche ci rivolsero domande che ritenemmo alquanto bizzarre: “fa uso di droghe?”, “soffre di disturbi nervosi?”, avrebbe fatto l’en plein l’aggiunta di “è un alcolista?” e “è un pedofilo?”. Nel caso in cui io faccia domanda di adozione, anche se facessi uso di stupefacenti o fossi un’alcolizzata, ma lo andrei a dire ad un medico? Lo specialista non ha alcun tipo di visita o strumento accurato per verificare che io stia dicendo baggianate, si va a fidare sempre così di tutte le persone che gli capitano davanti?
  • Dopo due anni da quelle visite siamo stati abbinati al Paese Colombia, che richiede nuovamente una certificazione medica, che deve essere anche poi legalizzata con l’Apostille de l’Aja: una volta tornati alla ASL a chiedere sulla base delle visite precedenti una certificazione di “sana e robusta costituzione”, ci hanno chiesto di fare tutte le visite ed analisi precedenti. Per ovviare al problema la soluzione è stata quella di farsi fare un certificato dal medico di base, e farne autenticare la fotocopia al Comune. Condivido il fatto che la situazione sanitaria si possa essere modificata nel frattempo, ma è pur vero che a quel punto potrebbe anche essere in forse la dichiarazione di idoneità ad adottare: quindi, o si restringono notevolmente i tempi tra i diversi passaggi, oppure deve fare fede la visita iniziale e non dovrebbe essere richiesto nuovamente uno spreco di tempo ed attività superiore a quanto necessario.
  • Non appena si cercano informazioni sull’adozione, sia nazionale che internazionale, vengono immediatamente fornite statistiche e percentuali alquanto deprimenti: il numero di adozioni nazionali copre solo una percentuale minima delle domande, e nel caso della adozioni internazionali i numeri sono comunque più alti, ma è anche più alto il numero dei casi “speciali”, di bambini che hanno problemi fisici oppure sono vittime di maltrattamenti (anche la semplice mancanza di cibo viene configurata in tale fattispecie) o abusi. In Italia ci sono parecchi minori affidati a case famiglie che magari non sono adottabili perché un qualche lontano parente li va a visitare una volta l’anno, mentre all’estero i bambini bisognosi di famiglia sono numerosissimi, per svariati motivi socio-economici del Paese specifico: le domande sono comunque elevate, ma spesso non si riescono ad incontrare con il numero dei minori, e talvolta il processo si dilunga talmente tanto e richiede un tale dispendio di risorse emotive innanzitutto, ed economiche in seconda battuta ma non meno rilevante, che le percentuali di rinuncia a posteriori, ma anche a priori, sono indubbiamente notevoli.
  • I tempi, d’altronde, sono piuttosto elevati, non solo a causa dell’organizzazione amministrativa straniera, ma anche della burocrazia italiana: noi per arrivare alla sentenza di idoneità all’adozione da parte del Tribunale, abbiamo dovuto attendere un anno e 3 mesi, dopo di che abbiamo impiegato circa un altro anno per dare il mandato ad un ente (poiché dopo tutta l’analisi e gli incontri con i servizi sociali locali, bisogna ripetere la stessa identica procedura o quasi anche con gli specialisti dell’ente), mentre l’abbinamento con nostra figlia è avvenuto dopo un altro anno circa, che comunque è sembrato veramente pochissimo.
  • Vorrei, inoltre, sottolineare che esiste tuttora una distinzione di trattamento tra adozione nazionale ed internazionale: l’adozione nazionale risulta completamente gratuita, mentre i costi di quella internazionale sono piuttosto onerosi, poiché ai costi amministrativi degli enti riconosciuti dalla CAI ed accreditati nei diversi paesi si devono sommare i costi di viaggio, vitto ed alloggio nel paese straniero del bambino, e per esempio nel nostro caso la permanenza in Colombia si è protratta per 45 giorni. Ci sono dei movimenti d’opinione che tentano di equiparare i due casi, così come sono parecchi anni che all’interno delle leggi finanziarie dello Stato, viene garantito un certo livello di detrazione al momento del pagamento delle tasse, ma come tanti altri benefici potrebbe essere soppresso negli anni a venire.

Adesso, passiamo a quelli che ritengo i miti dell’adozione, che talvolta fanno anche un po’ sorridere: quelle cose che implicitamente passano di sottecchi o vengono dette a bassa voce o vengono sottintese negli sguardi o in battute.

  • “Avete fatto una cosa bellissima!” oppure “com’è fortunata/o!”: chi lo dice che l’adozione viene fatta solo ed esclusivamente a scopo umanitario? anzi, se vogliamo dare indicazioni statistiche è sicuramente prevalente lo scopo puramente egoistico di chi non riesce o non può avere figli ma ha un desiderio di genitorialità molto forte. Perciò, non sono solo i bambini ad essere fortunati, ma soprattutto i genitori che hanno soddisfatto il loro bisogno di avere figli. Comunque, si tratta di due bisogni che si sono incrociati e soddisfatti a vicenda.
  • Solitamente, le coppie che hanno già figli naturali vengono guardate o si sentono come se usurpassero il diritto delle coppie senza figli: troppo complicato raccontare la storia che c’è dietro certe scelte, che può magari anche essere solamente il bisogno di aiutare bambini in difficoltà, e comunque non toglie niente agli altri, ma anzi è una risorsa in più per tutti quei bambini bisognosi di una famiglia.
  • “Ma capisce tutto?”: la cosa che stupisce è quanto questa domanda venga rivolta in uguali percentuali da single così come da genitori, come se non ricordassero più quanto i bambini siano delle spugne capaci di apprendere ed imparare tutto in brevissimo tempo, e questo indipendentemente dall’età, anche se ovviamente più sono piccoli meno saranno soggetti a sovrastrutture linguistiche e culturali.
  • La battuta precedente fa il paio con “ma dice qualche parolina in italiano?”: quante volte ci è stata rivolta questa domanda, e non solo all’inizio tornati da poco in Italia, ma anche adesso che sono sei mesi che sente parlare italiano. Nel nostro caso, guardiamo sempre l’interlocutore bene in faccia per capire se ci fa o ci è, visto che una bambina di 20 mesi, che sta cominciando a parlare nella sua lingua natale, comunque spagnolo, quindi con notevoli affinità linguistiche con l’italiano, non ci metterà molto a parlare in italiano, in un ambiente familiare in cui si dialoga parecchio. Ricordo che mio figlio ha cominciato a formulare le sue prime frasi a 2 anni e mezzo, la piccoletta già adesso dopo sei mesi con noi cerca di mettere insieme più parole per compilare una frase di senso compiuto, seppur limitandosi ad esplicitare i suoni delle ultime due sillabe di ciascuna parola.
  • “Però, è chiara/o!”: perché quando si parla di adozione in testa ci si crea l’immagine di un bambino/a di colore, infatti gli incontri con le psicologhe del nostro ente erano incentrati principalmente sulle problematiche vissute dai bambini “colorati”, e per due anni ci è stato detto che i loro bambini erano prevalentemente bambini colorati e scuri, per poi presentarci la foto di una piccoletta castana dalla carnagione chiara. Ed è ancora recente la sentenza che nega il decreto di idoneità a chi effettua discriminazioni in base al colore della pelle.

In ultima analisi, l’adozione è un viaggio bellissimo ed impressionante: perché si tratta di un viaggio dentro sé stessi e dentro la propri famiglia, di origine ed in fase di sviluppo, è un viaggio in posti sconosciuti e lontani dalle rotte del turismo, è un viaggio dentro l’infanzia negata e disattesa da parte di adulti che dovrebbero essere sostegno e colonne portanti della crescita dei minori, è un viaggio dentro i meandri di amministrazioni e burocrazie che ancora devono lavorare molto per avvicinarsi ai diritti delle famiglie e dei bambini, è un viaggio nei tabù e pregiudizi della nostra società che ancora non sanno accettare la diversità in tutte le sue sfumature.


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