:::: Matteo Simonetti :::: 9 gennaio, 2012 :::: Dietro le grandi tragedie di quest’ultimo cinquantennio si scorge quasi sempre, purtroppo, la mano statunitense. Solo per riferirci al recente passato, Iraq, Afghanistan, Serbia, Libia…e ora si prepara l’attacco all’Iran, previo isolamento forzoso dai suoi possibili alleati, almeno quelli abbordabili, leggi Siria.
Si tratta di un’opzione geopolitica che gli Usa hanno intrapreso ormai da tempo, per esattezza dal 2003, quella di muoversi nel Vicino e Medio oriente creando un arco di instabilità organizzata, a fini espansionistici. Lo hanno fatto senza nemmeno preoccuparsi di mascherare le loro intenzioni. Secondo alcuni questo piano, denominato “Grande Medio Oriente”, sarebbe oggi agli sgoccioli per un fallimento su tutta la linea. Secondo altri invece, anche a causa della crescita cinese alla quale occorre mettere almeno un freno geopolitico, è giunto al momento di massima accelerazione.
Personalmente propenderei per la seconda ipotesi, visto che la nuova arma adottata, cioè l’importazione nell’area di una democrazia fittizia, si è arricchita di un nuovo strumento tattico, o se non nuovo certamente aggiornato, cioè l’infiltrazione mediatica (e insieme fisica) nel tessuto sociale del paese da colpire, la creazione ex novo di una resistenza interna, la manipolazione delle opinioni del cosiddetto “occidente” tramite dei veri e propri “falsi mediatici”, la creazione di un casus belli umanitario e infine il bombardamento e l’invasione, mascherate da liberazione nazionale. Quando si mette a punto una nuova arma e la si usa con così grande prevedibilità e puntualità, anche forzando così tanto i tempi da sfidare l’imbarazzo, certamente si è in fase di preoccupata e preoccupante accelerazione.
C’è poi un ulteriore motivo per credere che l’azione in medio oriente non si arresterà: l’influenza sionista sugli Usa non è scemata con l’amministrazione Obama, come era prevedibile se solo si fossero scorsi i nomi dei suoi collaboratori governativi, economici e militari. La “doppia fedeltà” degli ebrei americani, che agiscono sul palco e dietro le quinte, personalmente e con i vari gruppi sovranazionali di pressione e controllo, non mancherà di esercitarsi a danno del popolo statunitense, come è sempre stato. Sottolineo questo aspetto “ebraico” della politica estera americana perché, come vedremo, sarà centrale nel discorso che affronteremo.
Premesso ciò, occorre ancora una volta, se vogliamo capire ciò che sta per accadere, dare un’occhiata a ciò che succede oggi in America per quanto riguarda le primarie del partito repubblicano. Quali saranno gli attori che contenderanno il potere (si fa per dire, dato che è il potere economico occulto che sceglie i politici-camerieri) al Premio Nobel più assurdo della storia, dinanzi al quale anche quello assegnato a Dario Fo appare sacrosanto?
In vantaggio in questo momento, grazie alla vittoria nello Stato dell’Iowa, sembra esserci il mormone Mitt Romney. Diamo uno sguardo attento al profilo di questo personaggio, alla sua storia, alle sue parole, per capire cosa ci si può attendere da lui se vincerà le primarie.
Si tratta di un banchiere miliardario, un professionista della politica, che coniuga alla perfezione la sua forte fede mormone (quindi di ascendenza protestante, quindi di matrice ebraica) con lo spirito capitalistico più estremo, come la tesi weberiana insegna.
Per quanto riguarda lo stretto legame tra ebraismo e puritanesimo americano esistono studi di vari autori, ad esempio quelli di Luigi Copertino, una sorta di valido “aggiornamento” del lavoro di George Batault. La fratellanza tra questi due “comportamenti” religiosi è riscontrabile anche nel filosionismo dei vari predicatori televisivi americani, oggi visibili anche da noi, comodamente, grazie al satellite. Nelle loro prediche, tra un’ammonimento all’imminente apocalisse e uo al necessario pentimento, è tutto un accennarsi alla terra promessa, a Sion, alla difesa di Israele dall’assalto dei miscredenti e via discorrendo.
Al di là delle affinità di carattere storico e storico-religioso, c’è un ottimo articolo di Timothy Stanley su “The Atlantic”, intitolato Potrebbe essere Mitt Romney il primo presidete ebreo?, che svela le parentele più legate, invece, all’attualità. Vi si legge che qualche giorno fa il pretendente alla Casa Bianca ha incontrato i rappresentanti ebrei dei repubblicani, dissertando sulle affinità tra queste due minoranze religiose americane, riscuotendo vivi e prolungati applausi, soprattutto quando ha affermato di credere in “uno stato israeliano ebraico”, quando ha criticato la debolezza di Obama nel Medioriente e quando ha detto che i “legami tra Usa e Israele sono indissolubili”.
Anche la moglie di Romney, nell’Aprile 2011, ad un incontro con un’altra confederazione di ebrei repubblicani, sottolineò le affinità delle esperienze “separatiste” dei mormoni con quelle degli ebrei e fu molto apprezzata. In effetti i sondaggi danno il gradimento di Romney tra gli elettori ebrei al 32% contro il 21% che aveva McCain, per fare un esempio.
Ci sono altri motivi che accomunano mormoni ed ebrei: entrambi si dichiarano “scelti” da dio; entrambi giungono dall’Israele biblico; entrambi chiamano gli altri “gentili”, hanno diete particolari, si oppongono ai matrimoni misti… Ma l’affinità più importante tra i due gruppi è che provengono da storie di sofferenza: anche i mormoni, soprattutto verso la metà dell’800 furono perseguitati, costretti all’esilio ed uccisi. David Ben Gurion disse: “nessuno più dei mormoni può capire gli ebrei”.
Queste ed altre considerazioni portano alla conclusione che, se eletto, Romney potrà essere un buon presidente sionista, forse il migliore. Tra l’altro si troverebbe in buona compagnia, sia tra i repubblicani che tra i democratici, visto che tutti, tranne Ron Paul che non sembra navigare in buone acque, potrebbero fregiarsi di tale titolo.
Questo perché chi finanzia i politici, l’elite economica, foraggia a pioggia tutti e piazza i suoi uomini nelle posizioni chiave di entrambe gli schieramenti. A tal proposito è utilissima la lettura di un altro articolo, questo di Bob Adelman per la Charleston Voice, intitolato “I consulenti di Romney sono le elites di estrema sinistra”. In esso sono riportati i nomi di coloro che Romney ha messo tra i propri “advisors”: oltre ad essere persone “di sinistra” (il che non sarebbe un male se solo destra e sinistra esistessero), basta dare un’occhiata ai cognomi per notare la provenienza ebraica: Joseph, Lehman, Zackheim, Kagan. Sì,si tratta proprio del famigerato Robert Kagan che sotto Bush teorizzò varie amenità: la legittimità machiavellica dell’uso della forza per costruire il diritto, l’uso dell’attacco preventivo e via dicendo.
Adelman conclude affermando che sotto la pressione di tali elites, Mittney non potrà fare a meno di continuare a “costruire l’impero Usa con il sangue degli americani”, tanto per ricollegarci alle riflessioni circa la politica estera di cui sopra.
Per finire con questo breve profilo del più probabile candidato repubblicano, dobbiamo riportare alcune frasi dette durante un incontro presso un’importante scuola militare, nell’Ottobre 2011: “Dio ha creato gli Usa per dominare il mondo”, “rivedere i tagli massicci alla difesa operati da Obama”, “ci riserviamo il diritto di agire da soli per proteggere i nostri interessi azionali” contro “le visioni statunitensi di Iran, Corea del Nord, Venezuela e Cuba”.
I neocons sono tornati alla ribalta? Nel qual caso aspettiamoci subito un nuovo Afghanistan, questa volta in Iran.
Fonti e approfondimenti:
Robert Kagan, Il diritto di fare la guerra, Mondadori 2004
Matteo Simonetti, Hannah l’antisemita, Edizioni all’insegna del Veltro 2011
http://www.theatlantic.com/politics/archive/2011/12/could-mitt-romney-be-the-first-jewish-president/247882/
http://chasvoice.blogspot.com/2011/10/romneys-advisors-are-leftist-elites.html