Quando nasce il giornalismo femminile in Italia? Quali sono le prime riviste dedicate alle donne? Quali sono gli argomenti di dicussione?
Quali sono le mode dell'Ottocento? Qual è il filo che lega moda e politica?
di Sandra Bardotti
"L'affermarsi delle riviste femminili in Italia è collegato alla diffusione della cultura e della moda nelle fasce sociali medio-alte del tessuto cittadino delle principali città europee, in primis Parigi. La moda, che inizia a diventare accessibile anche alle fasce della media borghesia soprattutto a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, comincia a essere vista come stile di vita ed espressione di distinzione individuale. La Francia è sicuramente all'avanguardia nel campo: tra i periodici più originali e duraturi è da citare Le Journal des Dames, fondato da Madame de Beaumer nel 1759, e completamente rinnovato nel 1897 da Pierre Antoine Leboux de la Mésangère, prendendo il nome di Journal des Dames et des Modes. Dal 1785 inizia a uscire Le Cabinet des Modes, che nel 1789 prende il nome di Magazin des Modes Nouvelles Francais et Anglaises.
giornali di moda parigini inizialmente avevano al loro interno solo le pregiate incisioni di figurini, alle quali si aggiunsero in seguito brevi didascalie descrittive. Poi con il passare del tempo queste didascalie iniziarono a svincolarsi dalle immagini assumendo la fisionomia di articoli, anche se sempre piuttosto contenuti. Il tipo di notizie si sviluppa nel tempo parallelamente ai progressi tecnici, scientifici, politici, del tempo. Così presto troviamo notizie sulle ultime invenzioni della tecnica, la cronaca cittadina, l’arte, la letteratura, testi consigliati di vario contenuto, dalla scienza, alla filosofia, al romanzi.
Tra le prime pubblicazioni italiane le più popolari sono Il Giornale delle nuove mode di Francia e d’Inghilterra, stampato a Milano dal 1786 al 1794, e La donna galante ed erudita pubblicato a Venezia tra il 1786 e il 1788. Queste riviste traggono ispirazione dai periodici francesi, rifacendosi in particolare al parigino Cabinet des Modes e soprattutto al Journal des Dames. In pochi anni la diffusione dei periodici femminili si fa più ampia e, sempre su imitazione dei modelli francesi, nascono a Milano La Moda e Il Messaggero delle Mode. Ma sarà il Corriere delle Dame a riscuotere un enorme successo, grazie anche a redattori autorevoli e all'attenzione dimostrata nei confronti di tematiche di attualità, storia e letteratura.
Il Corriere delle Dame
Il Corriere delle Dame nasce a Milano, nel 1804, per opera di Carolina Lattanzi, moglie del giornalista romano Giuseppe Lattanzi. È un periodo particolarmente vitale e importante della storia di Milano, e durante gli anni della pubblicazione della rivista, che andrà avanti fino al 1874, si verificano avvenimenti storici determinanti: in primo luogo, il processo di unificazione del Paese, che il giornale attraversa e registra in modo puntuale e approfondito. All'inizio la Lattanzi dà al Corriere una decisa impronta filo-rivoluzionaria, sulla scia dell'entusiasmo per il sogno di una Milano libera dalla dominazione straniera. Poi dal 1815 le conseguenze della venuta di Napoleone e della formazione della Repubblica Cispadana, segnano un certo cambiamento di rotta anche nella redazione del giornale. Ad articoli inneggianti l'emancipazione femminile si affiancano sonetti ed epigrammi in lode di Napoleone, di Giuseppina e dei napoleonidi. La cronaca politica e le notizie sulla situazione internazionale trovano invece posto nella rubrica intitolata Il termometro politico, accurata sezione che non trova eguali tra le pagine delle altre testate femminili. Le donne sono chiamate a partecipare alla formazione della nuova società e così il Corriere, ormai apertamente schierato con il regime napoleonico, si preoccupa di dispensare le proprie lezioni di morale, attraverso quelle che chiama "lezioni politico-morali", distribuite all'interno del giornale.
Molti degli inserti sul Corriere delle Dame sono, com'è ovvio, dedicati alla moda. Con le pagine intitolate "Colpo d'occhio giornaliero della città di Milano, ossia annunzio di economia, arti e commercio" il Corriere propone anche una serie di informazioni di carattere commerciale relative a botteghe artigiane e sartorie milanesi. Questo accorgimento consente alla rivista di trarre guadagno dalle inserzioni a pagamento di quanti vogliano far apparire il nome della propria attività sulle pagine della rinomata rivista. Un servizio di "Vendita di abiti per corrispondenza" è inoltre reso disponibile per le lettrici abbonate, che ne potranno usufruire fino al 1814, e poi di nuovo a partire dall'ottobre del 1816. Pubblicazione ininterrotta hanno invece i numerosi bozzetti di moda, che spesso risultano presi in prestito dalle affermate riviste francesi. A questi figurini il direttore del Corriere delle Dame decide di accostarne altri, realizzati in Italia per opera di modiste e sarti di Milano. Questa scelta consente però una maggiore visibilità alla moda locale, tanto che nel 1819 il Corriere pubblicherà una raccolta interamente dedicata alla moda milanese, acquistabile separatamente dalla rivista.
Anche dopo la morte di Carolina Lattanzi, l'attenzione per gli avvenimenti socio-politici dell'Italia prosegue inalterata. Durante il periodo risorgimentale, di cui Milano fu fervente protagonista, il Corriere delle Dame intensificò il proprio impegno nei confronti della cronaca cittadina e internazionale, proponendo alle lettrici elaborati spunti di riflessione e punti di vista critici. Nell'inserto dedicato ai figurini di moda pubblicato il 23 marzo 1848 si legge che "Il Corriere delle Dame darà ogni numero un breve sunto de’ principali avvenimenti politici che raccoglierà dalle fonti più esatte e specialmente dal Giornale Officiale del Governo Provvisorio". Nel numero dell'8 aprile dello stesso anno si apprende che "Milano non è più riconoscibile, tanta è la gioia, il brio, la concordia dopo la cacciata degli Austriaci". Altra nota importante è che "Anche le signore hanno mezzo di distinguersi in questo nuovo ordine di cose. La principessa Belgiojoso, i cui scritti e le idee politiche tenevano lontana dalla Lombardia, si è rimpatriata seco conducendo circa duecento volontari calabresi da lei assoldati. Molte signore, oltre a concorrere con soccorsi pecuniari al sostegno della guerra per l’indipendenza italiana, si adoperano col prestare alloggio e assistenza ai feriti" .
Il collegamento tra gli avvenimenti politici e la moda non è per nulla singolare, come potrebbe sembrare in apparenza, e non solo per il fatto che un giornale femminile come il Corriere delle Dame ne parlasse ampiamente. I fatti politici e i grandi mutamenti sociali hanno determinato vere e proprie rivoluzioni in fatto di abbigliamento. Fu, infatti, proprio grazie ai moti del 1848 che l’Italia, succube per tutto l’Ottocento delle mode francesi, riuscì a svolgere un ruolo creativo, elaborando nuove tendenze molto particolari e molto seguite. I fermenti politici e gli aneliti di indipendenza, effettivamente, diedero vita al tentativo di una nuova moda, tutta italiana, quale testimonianza della rinnovata coscienza nazionale.
Questo collegamento tra moda, ideologia e politica, fu percepito anche dai contemporanei. Il 20 luglio 1848 il Corriere pubblicava una dissertazione per spiegare chiaramente il concetto, portando ad esempio i fatti storici dalla Rivoluzione francese in poi, e concludendo con la constatazione che "il potere della moda esercitò sempre la sua influenza; ebbe vita attiva nei grandi movimenti politici, si mischiò nei partiti, si mostrò come l’espressione del pensiero, ora adottando le fogge di una nazione guerriera, ora i colori della libertà, dell’indipendenza, or quelli di una nazione prospera e tranquilla. […] Che la moda sia collegata cogli avvenimenti sociali e politici… è provato anche dai recenti avvenimenti in Italia. Abbiamo visto lo scorso carnevale le signore presentarsi al teatro colle cuffie guarnite di nastri di tre colori, presenti i dominatori della casa d’Austria; abbiamo visto la moda dei vestiti di velluto proposta per danneggiare le case commerciali della Germania; poi i cappelli acuminati, simbolo della rivoluzione napoletana, calpestati al loro apparire dal bastone della polizia; ma risorti più tardi a nuova e gloriosa vita, accompagnarsi con le fogge svelte e marziali dei popoli della Calabria" .
Il costume alla Lombarda
Il Corriere delle Dame registra anche la nascita del costume alla lombarda, a seguito dei moti rivoluzionari, nel clima teso, poco incline a lussi e vanità, che si respirava a Milano.
Da un lato, le fogge dei costumi popolari assurgono a vessilli di libertà (richiamandosi ai costumi dei rivoltosi calabresi o del bandito romantico Ernani), dall’altro, utilizzando il velluto di fabbricazione locale, si mettevano al bando le stoffe di lana germaniche. Già negli anni precedenti comparvero barbe e pizzetti come simboli carbonari; dal 1847, a seguito dei moti in Calabria, venne adottato il cappello alla calabrese, come simbolo di liberalismo, quello alla puritana (da I Puritani del Bellini) o anche quello piumato all’Ernani (il bandito protagonista dell’omonima opera verdiana). Nel febbraio del 1848 un decreto della polizia austriaca proibiva l’uso di questi copricapo, richiamandosi al divieto "di portare qualsiasi segno distintivo politico simbolico o segno di riconoscimento", e i patrioti adattarono i normali cappelli con la fibbia davanti e il pelo del feltro sollevato tutto da una parte, che ricordavano vagamente quelli proibiti.
L’utilizzo del velluto diede poi vita al costume alla lombarda, divenuto in via informale quasi l’uniforme dei combattenti delle Cinque Giornate: "un camiciotto o blouse di velluto nero, di fabbrica nazionale, stretta alla vita da una cintura di pelle da cui pendeva una daga o spada: colletto bianco grande rovesciato sulle spalle: calzoni corti di velluto nero, stivali che arrivavano al ginocchio, cappello alla calabrese con pennacchio e una collana che scendeva sul petto e da cui pendeva un medaglione, ch’era di solito il ritratto di Pio IX", come la ricorda Giovanni Visconti Venosta.
Anche le donne milanesi adottarono il vestito alla lombarda: un amazzone di velluto talvolta aperta davanti su una sottana bianca di raso o di lana, rifinito da "fusciacche tricolori, cappelli alla calabrese, pistole e persino, Dio glielo perdoni, spade e sciabole di cavalleria", riporta ancora Venosta. Talvolta indossavano anche lunghe sciarpe tricolorate. Il capo veniva coperto, se non con il cappello alla calabrese, con "un gran velo nero o una mantiglia di pizzo trattenuta da uno spillone e ricadente a coprire le spalle e la vita". La consacrazione ufficiale dei vestiti all'italiana maschili e femminili viene data dal Corriere delle Dame, che ne pubblica a più riprese graziosi figurini.
La divisa garibaldina
Con il risveglio del patriottismo l'uniforme piemontese diventa molto ambita tra i milanesi, insieme a quella garibaldina, che allora non consisteva nelle camicie rosse adottate poi dai Mille, ma in un modesto cappotto grigio. Solo gli ufficiali arrivati da Montevideo con Garibaldi vestivano un'elegante tunica rossa con paramani e risvolti verdi, ornata di bottoncini d'oro.
Nel 1848 a Milano, durante i primi giorni delle rivolte, le guardie portavano semplicemente una fusciacca tricolore sul vestito alla lombarda per distinguersi dagli altri cittadini. Ma tra i primi atti del Governo Provvisorio vi sarà quello di fissare le uniformi regolari della Guardia Civica, ispirate alle divise piemontesi. Nel 1859, poi, il movimento dei volontari lombardi in Piemonte si inquadra in parte nei reggimenti regolari nell'esercito piemontese. Anche Garibaldi allora veste la divisa di generale piemontese, che porta sbottonata e con un fazzoletto di seta intorno al collo.
L'8 giugno di quell'anno il Corriere delle Dame scriverà: "Ormai per la toeletta di un giovane elegante è indispensabile l'uniforme militare, colla virtù e la coscienza di ben portarla". Sono sicuramente parole notevoli per un giornale di moda."