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Moda italiana: emigrata pure lei

Creato il 09 aprile 2013 da Elenatorresani
partenza

by Valentina Fontanella

Ieri sera stavo giusto leggendo (e condividendo) l’articolo “Se hai vent’anni vattene dall’Italia” quando mi capita sotto gli occhi un pezzo che il FashionCamp ha dedicato a Veronica Crespi, una delle nostre  connazionali che è espatriata, andando ad occuparsi di moda etica oltralpe: Londra, per l’esattezza.
Una delle riflessioni di Veronica:

E’ un vero e proprio paradosso: l’Italia sarebbe il territorio ideale per un tipo di moda incentrata sulla qualità della fattura, e che ha il vantaggio (economico per chi produce, ed ambientale) di una filiera molto corta. Invece proprio noi, creatori dello stile, ci facciamo invadere dalla moda cheap & trendy delle grandi catene, che sono tutte straniere. Certo, ci sono sempre le grandi firme italiane, ma ormai ciò che importa è solo la griffe, che non è più necessariamente sinonimo di qualità, e soprattutto – la cosa peggiore, questa – non è più garanzia di Made In Italy. Proprio i nostri stilisti hanno portato la maggior parte della produzione all’estero e stanno così contribuendo all’avvizzimento della nostra industria manifatturiera. E’ qui che io insisto che siamo noi consumatori a dover reclamare il ritorno a ciò che il Made In Italy è stato e può ancora essere – per esempio smettendo di comprare cosette da poco da Zara & Co.”

Purtroppo qui in Italia ormai la situazione economica è talmente tragica che spesso non ci si può nemmeno permettere Zara. A fronte del tasso di disoccupazione e dell’infimo potere d’acquisto delle buste paga che rimangono, lo shopping ha assunto tutta un’altra faccia: quella che non ci saremmo mai aspettati e che ci costringe ad evitare i negozi.
Ma a parte l’importantissima questione etica che sta alla base dei brand low cost come Zara, H&M e molti altri e che riguarda lo sfruttamento del lavoro e l’inquinamento ambientale, vogliamo parlare del fatto che la maggior parte dell’eccellenza italiana del settore moda ha spostato all’estero le produzioni senza nemmeno far finta di abbassare i prezzi? Certo, il prezzo fa parte dell’identità aziendale e del posizionamento, ma se proprio dobbiamo puntare il dito, facciamolo anche contro chi, oltre a danneggiare il mercato del lavoro interno, aumenta i propri profitti senza comunque rispondere all’elemento etico. Dal punto di vista del danno ambientale, ad esempio, l’unico ad avere preso impegni formali di fatto è Valentino.

Se proprio bisogna comprare da dei poco di buono, tanto vale comprare a basso costo.
Il vero Made in Italy, quello di filiera corta a basso impatto e che usa manodopera locale, in alcuni casi campa grazie alle esportazioni, quando può e ne ha i mezzi: il lusso vive quasi esclusivamente di etichette con nomi altisonanti, e poco importa cosa c’è dietro.

Veronica, hai fatto bene ad andartene: un conto è la lotta dura, un conto sono i mulini a vento.


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