Magazine Lifestyle

Moda italiana made in china

Creato il 16 marzo 2010 da Valeria

Sono rimasta molto colpita da un articolo di Stefano Lorenzetto, scritto per il Giornale, riportato sul sito http://vivianamusumeciblog.wordpress.com/ sul Made in Italy che tanto Italy non è più. Il  giornalista racconta la storia dell' azienda Harry's confezioni di Giancarlo De Bortoli, un terzista di Pramaggiore (tra Veneto e Friuli) che ha dovuto dichiarare fallimento.

Quando vediamo un abito Prada, quando sogniamo di indossare un Versace, quando risparmiamo un anno per comprare un Gucci raramente ci soffermiamo a pensare al lavoro che c' è dietro. Il caso di De Bortoli ha portato all' attenzione dei media il mondo dei manufatturieri che ha visto fallire solo lo scorso anno, 240 laboratori tessili per la concorrenza dei laboratori clandestini realizzati nei seminterrati, che grazie al lavoro nero di veri e propri operai schiavizzati hanno abbattuto i costi.

De Bortoli, racconta Lorenzetto, "sa fare come pochi il suo mestiere, ha sempre sgobbato 12 ore al giorno, praticava prezzi concorrenziali, era arrivato a produrre 20.000 capi l'anno, non contraeva debiti, non s'era arricchito, era oculato, pagava regolarmente gli stipendi, versava i contributi previdenziali, non evadeva le tasse, nello stabilimento aveva messo per le sue operaie il climatizzatore e l'impianto stereo" ,insomma,  era un imprenditore serio che sapeva fare bene il suo mestiere.

"Io lo conosco bene Giancarlo De Bortoli. Era uno dei migliori su piazza, fidatevi" continua Lorenzotti, " pochi riuscivano a lavorare la seta, il raso, lo chiffon, la crepe georgette come lui. Ma nessuno doveva sapere che dalla sua fabbrica uscivano capi d'alta moda per signora con cucite sopra le etichette delle più grandi maison d' Italia: GUCCI, PRADA, MAX MARA, MIU MIU, ETRO, SPORTMAX, COSTUME NATIONAL, DUCA D'AOSTA, CIVIDINI."

Oggi questo non succede più perchè De Bortoli ha fallito a causa del fatto che terzisti extra-comunitari, grazie all' impiego di schiavi (che vivono 24h su 24h nei laboratori, dove mangiano, dormono e lavorano  senza avere idea di cosa siano le ferie o i giorni festivi e accontentandosi di un salario da fame) operano una concorrenza sleale a costi bassissimi, impossibile da vincere per le aziende che vogliono lavorare nella legalità. Racconta De Bortoli: " gente che ai Re Mida dell' ago e del filo fornisce un paio di jeans a una cifra oscillante fra i 4 e i 6,50 euro, quando il prezzo minimo, per chi lavora con tutti i crismi, non può mai scendere sotto i 25-30 euro, gente che per una camicia accetta 16-22 euro, mentre a me costava non meno di  30-36."

Il Questore di Treviso, Carmine Damiano, promette: "daremo la caccia ai committenti italiani dei laboratori cinesi non in regola: questo non è affatto made in Italy" anche se, avverte il colonnello Claudio Pascucci  "provare  un collegamento diretto è difficile: nessun committente affida direttamente  i propri lavori , ma si avvale di contoterzisti a cui fa firmare un contratto di fornitura che vieta il subappalto".Non si può escludere la responsabilità delle grandi griffe perchè, come suggerisce anche  De Bortoli, parlando con il giornalista, uno stilista famoso che pretende certi prezzi si rende conto benissimo che un imprenditore italiano, rimanendo nella legalità, non glieli potrà mai fornire.

Questa è la tanto rinomata moda italiana. Questo c' è dietro l' immagine patinata delle grandi griffe.

MODA ITALIANA MADE IN CHINA

Operaie cinesi al lavoro

MODA ITALIANA MADE IN CHINA

un abito Versace.....


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :