Magazine Rugby
Andiamo con ordine: ci sono due notizie in sequenza, fondamentali sul piano organizzativo del rugby in Europa con effetti mondiali, a nostro avviso solo apparentemente divergenti, nella realtà accomunate negli intenti, legati ai tempi "austeri" che il Mondo sta attraversando.
Prima, la decisione del Regional Rugby Wales RRW – una sorta di Lega dei quattro club gallesi d'Elite: Llanelli Scarlets, Cardiff Blues, Newport-Gwent Dragons e Ospreys – di stabilire un salary cap nei quattro club/franchigie. Un monte salari massimo di 3,5 milioni di sterline (circa 4 milioni di euro) per coprire i 38 ingaggi dei giocatori nelle liste del campionato celtico e delle Coppe Europee.
Seconda arriva la decisione della Federazione Irlandese IRFU di limitare il numero di stranieri nelle tre franchigie maggiori - Leinster, Munster, Ulster - con un meccanismo posizionale "across the Region" che in buona sostanza impone un solo giocatore straniero per ruolo tra le tre: ad esempio, se Ulster ha un pilone sinistro straniero, Leinster non potrà reclutarne un altro per sé.
Decisioni quasi contemporanee ma un bel po' diverse. A nostro avviso però rappresentano risposte al medesimo problema, diverse per via del diverso stadio dei due movimenti, leggi del diverso livello di controllo federale sui team d'Elite.
Il caso Galles
Il senso della iniziativa gallese è lampante ed esplicito: nonostante i recenti successi della nazionale e il peso reale e sentito dello sport nazionale nella (passionale) cultura locale, i numeri degli spettatori nel piccolo Paese (tre milioni di abitanti, uno meno del Veneto) sono limitati, quindi lo sono anche i contributi degli sponsor, giocoforza ai direttori dei club non resta che fare i realisti sul piano finanziario.
Segnali di difficile sostenibilità finanziaria del modello gallese arrivavano a fine della stagione scorsa, con il rilascio alle sirene francesi del trio dei "belli" Ospreys sopra menzionato; seguiti da altri alle viste, i "Go South" annunciati di Luke Charteris, Adam Jones e Gethin Jenkins . Il salary cap difatti non frena gli esodi, ne prende semplicemente atto, quasi li incoraggia. E' una iniziativa volta a proteggere, mettere in sicurezza la struttura finanziaria del rugby domestico professionistico, cioè club e franchigie, da eventuali "follìe" negli ingaggi imposte da fan o da direttori ambiziosi modello calcio.
La Union gallese WRU (la Federazione) ha dichiarato il suo pieno sostegno alla decisione dei club: sui 14 milioni di sterline previsti solo di monte salati, riesce a contribuire ai costi dei club solo con sei milioni di sterline l'anno in tutto (contributi alle Accademie a parte, che intelligentemente sono dei quattro club e non della Federazione).
Il monte salari a disposizione di tutti i club del Galles è circa uguale a quello di un solo club francese, nemmeno di prima fascia: Lyon ha un budget attorno ai 14 milioni l'anno. Anche in Francia esiste una sorta di salary cap, nell'intorno dei 7 milioni di euro, ma viene "rilassato" da eccezioni per i giocatori di formazione locale; così i top club francesi sono in grado di offrire ingaggi anche tripli di quelli che gli atleti potrebbero strappare nell'altro campionato "ricco", l'Aviva Premiership, dove è in vigore un salary cap di £4.2 milioni per club.
Chi contento non è del rassegnarsi alla diaspora implicito nella decisione, è il coach della nazionale Warren Gatland. Non gli restano che le minacce: ha annunciato che chi salterà per impegni di club il training previsto in Polonia due settimane prima del Sei Nazioni, perderà il posto in nazionale.
Il caso Irlanda
Da una decisione di Lega dei club a una Federale: diversamente dal Galles dove vige un modello misto pubblico/privato, in Irlanda la IRFU controlla pienamente le quattro franchigie. Essa ha deciso che dalla prossima stagione, sarà consentito un solo giocatore "non-Irish eligible (NIE)" cioè straniero, per ciascuna delle 15 posizioni in campo nelle tre squadre di Leinster, Munster e Ulster. Uno solo per le tre, non uno per ciascuna. Dalla stagione 2013/14 in avanti, non si potranno rinnovare i contratti ai NIE o farne di nuovi; la cosa varrà anche per i giocatori presi per injury replacement e ogni nuovo reclutamento di NIE dovrà essere "position specific", cioè immaginiamo sottoposto a ok federale.
La decisione somiglia molto a quella del limite agli stranieri "per aree", presa dalla Fir per la stagione celtica in corso: l'Irlanda che adotta il modello Italia, ma non era l'Italia che doveva tendere a diventare come l'Irlanda? Di fatto l'iniziativa viene presentata con motivazioni analoghe a quella italiana, cioè una misura per dar spazio allo sviluppo dei giovani talenti locali.
Nella realtà Philip Browne Chief Executive della IRFU offre un indizio, parlando prima di tutto di chi paga: "It is important to remember ... the financial mechanism that funds rugby at all levels", che da loro è 100% federale. Fare efficienza, Cherchez la monnaie et non la femme, è il suggerimento per quando si cerca il perché delle decisioni Corporate ...
Soluzioni diverse allo stesso problema?
A nostro avviso quella irlandese è una misura in linea con quella gallese: volta prima di tutto a preservare la STABILITA' del sistema. E' un un momento molto delicato, l'Irlanda è stato il primo dei Paesi cosiddetti PIIGS ad entrare in semi-default, un messaggio di austerità è inevitabile. Anche se gli stranieri funzionano eccome, prova ne sia il dominio irlandese in Heineken Cup, con le tre franchigie maggiori in testa ai rispettivi gironi e altro che contraccolpi sulla nazionale, come paventa la critica alle vongole: l'Irlanda s'è qualificata ai quarti di finale Mondiali dopo tempo immemore. Con lo scalpo dell'Australia appeso al cinturone e scrollandosi di torno con nonchalance la sempre più autarchica Italia.
La misura irlandese avrà contraccolpi non del tutto graditi a livello delle prestazioni dei club, lo provano le banalità politically correct affastellate dai dirigenti federali a beneficio dei media. Fosse solo volta a dar più spazio ai giovani, perchè tenerne fuori proprio Connacht, la franchigia più "giovane"?
Il vantaggio irlandese rispetto ai gallesi è che la misura libera risorse finanziarie PRIMA dell'esodo di campioni verso lidi più remunerativi. Meno ingaggi stranieri uguale più monte salari disponibile per i nazionali. A parte casi isolati come Geordan Murhpy o Tommy Bowe, la IRFU è sinora riuscita a mantenere i nazionali di spicco in Irlanda a disposizione completa della federazione: significa non solo sotto gli occhi del coach, è anche poterli tenere a riposo al momento giusto. Gli accorgimenti irlandesi per trattenere i campioni nazionali non sono solo economici, coprono lifestyle e futuro degli atleti, un po' come si faceva ai tempi del dilettantismo; in tempi di ristrettezze finanziarie, intendono continuare a farlo o perlomeno provarci. In tale prospettiva, non paiono segnali rassicuranti quelli di casi per ora isolati, come il vecchio mediano Peter Stringer, mandato a guadagnarsi qualcosa con contratti a tempo all'estero. Tant'è.
Il Galles invece si rassegna all'esodo, come prima di lei ha dovuto fare la Scozia dove il cap salariale non c'è ma è come ci fosse, al suo posto vigono i limiti dell'autofinanziamento in un sistema a due franchigie totalmente sotto il controllo federale. Vedi le dipartite di Dan Parks, Hines, Brown, Max Evans e quelli prossimi di Richie Gray etc..
Perso per perso, in Galles si afferma che almeno rimarranno più risorse per tenere gli altri, a partire dai giovani. La cosa non ha molto fondamento: si dice che ci siano interessamenti esteri anche per figure non di primissimo piano come Aled Brew e anche giovani ma affermati come George North, Jonathan Davies, Rhys Priestland e Scott Davies siano già nelle mire di club francesi e inglesi.
C'è dove si va, e dove si voleva tornassero: riportare i nazionali a casa pareva l'obiettivo primario in Italia con l'istituzione delle franchigie celtiche aiutate dai soldi federali, mira arenatasi sui veri "pezzi grossi" (Castrogiovanni, Parisse etc; persino con Gower ...). Problemi di disponibilità finanziarie, che prossimamente potrebbero mettere a rischio qualche "residente" (si dice che Zanni interessi a Perpignan).
Motivo in più per far apparire un po' velleitarie le idee di aver da noi (almeno) una franchigia sotto il pieno controllo federale: ma se la Fir fa fatica a mantenere (parte de) i suoi impegni finanziari già così! Oltretutto, di una franchigia la Fir ha già il pieno controllo "sottobanco": chi glie lo farebbe fare di prenderselo anche formalmente? Solo per prendersi le responsabilità?
Resta l'idea diffusa di far buon viso a cattiva sorte, mediante il maggior spazio offerto allo sviluppo dei giovani: Duncan Weir e Ruaridh Jackson ad esempio, emersi in Scozia dopo la partenza di Dan Parks. Per un esempio buono, se ne può però fare un altro meno buono: gli Aironi italiani. La necessità federale di dar casa a glorie nazionali dal mercato estero in via di restrizione, se ha portato a casa diversi Azzurri ha anche limitato lo spazio ai giovani, cosa che secondo alcuni è una delle cause principali delle prestazioni stentate offerte dalla seconda franchigia italiana. Anche in Scozia i due Lamont in rientro a Glasgow qualche spazio fatalmente lo sottrarranno, non solo a stranieri. Ora Lee Byrne ha 31 anni; cosa succederà tra qualche anno, quando sarà come ... Mauro Bergamasco?
D'altro canto, sistemi zeppi di stranieri come quello francese, non impediscono certo ai Morgan Parra (22 anni) o ai JM Doussain (20) di mettersi in luce; lo stesso dicasi in Inghilterra.
Modelli perfetti non ce n'è. Oltretutto il Mondo intero, non solo il rugby, sta vivendo un problema più grosso dello sviluppo dei talenti locali, si chiama crisi finanziaria e il primo pensiero di tutti è mettere in sicurezza l'edificio, per quanto possibile.
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