Modello francese al senato? i francesi l’hanno già cambiato

Creato il 06 giugno 2014 da Nicola933

Conclusasi la campagna elettorale, il governo riprende in mano il discorso sospeso sulla riforma del Senato e del titolo V.  Le puntate precedenti si erano concluse con l’approvazione in Commissione affari Costituzionali al Senato del testo base presentato dal governo. La scelta era orientata verso  un Senato ad elezione indiretta composto da 150 membri, di cui 21 nominati dal capo dello stato e 127 composti da governatori di regione, sindaci delle città capoluogo e da due membri eletti dai sindaci e dai consigli regionali. In più il disegno prevede la rottura del bicameralismo perfetto: l’approvazione dei disegni di legge e del voto di fiducia spetta solo alla Camera dei Deputati mentre al Senato viene affidato unruolo prevalentemente consultivo con un’unica eccezione nell’ipotesi di riforma della Costituzione.

In realtà quell’ultima seduta era stata animata dalla votazione di un precedente ordine del giorno firmato Roberto Calderoli che al contrario prevedeva l’elezione diretta dei membri del Senato. Un segnale che sul testo del governo mancava l’appoggio di tutti i senatori compresi quelli di area Pd. Ieri c’è stata la conferma: in Commissione affari costituzionali al Senato sono stati presentati 5200 emendamenti, 3806 della lega, 161 quelli del M5s, 140 del Pd e 13 di Ncd. Stando così le cose il testo rischia di non passare il vaglio del Senato. La questione diventa ancora più problematica se si considera che nello stesso Pd ci sono 20 senatori pronti a votare il disegno di legge Chiti che prevede l’elezione diretta dei Senatori.

Ecco perché adesso il governo è costretto a mettere di nuovo in discussione il testo. Ieri la presidente della Commissione affari costituzionali al Senato Anna Finocchiaro ha parlato di due disegni attualmente sul tavolo. Un primo disegnoprevede che “in occasione delle consultazioni regionali ci sia una sorta di listino nel quale indicare i consiglieri regionali che faranno i senatori”; l’altro invece prevede l’adozione di un “modello francese” con una platea di consiglieri comunali, sindaci e consiglieri regionali che eleggono i membri del Senato.

Ma siamo sicuri che il modello francese si adatti al sistema italiano? In Francia la seconda camera è composta da 348 senatori eletti indirettamente da un collegio di circa 150mila “grandi elettori”: 577 sono deputati, 1870 consiglieri regionali, 4000 consiglieri generali e 142mila delegati dei consiglieri municipali. Qualcosa però in questo modello non ha funzionato al punto che il 22 febbraio 2014 l’Assemblea Nazionale francese ha approvato una legge sul divieto di cumulo dei mandati elettorali locali e nazionali loi organique n. 2014-125). La cosa interessante è che è lo stesso servizio studi del Senato ad elencare quelli che sono i punti di criticità di questo sistema. In una nota breve pubblicata il 28 marzo 2014 sul sito de Senato si legge che a seguito di un analisi effettuata dalla commissione Jospin in Francia, è stato riscontrato che “i parlamentari che detengono uno o anche più mandati al livello locale sono largamente maggioritari nelle due assemblee” e ancora che tale situazione “è stata giudicata un ostacolo al pieno riconoscimento dell’importanza delle funzioni elettive locali e al rinnovamento del personale politico e dall’altra è stata considerata poco conciliabile con i compiti parlamentari”. Dunque l’idea di sovrapporre le due cariche portata avanti da Matteo Renzi si è dimostrata fallimentare in Francia e dal 2017 sarà impossibile ricoprire contemporaneamente la carica di parlamentare e di rappresentante comunale o regionale. C’è poi un altro elemento che rende il modello Francese molto distante da quello che si vorrebbe vedere approvato in Italia. Le due camere in Francia hanno gli stessi poteri, salvo la possibilità che il governo affidi la decisione finale alla sola Assemblea Nazionale. Un’ipotesi che si verifica molto raramente quando non si raggiunge un accordo e dunque di fatto siamo di fronte ad un bicameralismo perfetto. Niente a che vedere con il ruolo consultivo che si vorrebbe affidare al Senato in Italia.


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