Nella lotta tra profitto e diritti, la bilancia deve pendere dalla parte del primo, e dunque devono rassegnarsi a Taranto a convivere con l'inquinamento, altrimenti sono a rischio i posti di lavoro (lo dice come minaccia il padrone, quello che ha messo al sicuro all'estero i suoi soldi) . Devono rassegnarsi a Pomigliano e negli altri stabilimenti Fiat. Ochhio, che se vi lamentate, c'è la Serbia.
Dove però, turni massacranti, gli stipendi bassi, iniziano a pesare: guardatevi il documentario della TV del Fatto, sullo stabilimento fiat:
Kragujevac, 140 chilometri a Sud di Belgrado, è la nuova ‘motown’ dei Balcani. Al posto della Zastava oggi c’è la Fiat che questa estate ha iniziato la produzione della nuova monovolume 500L. Nel suo stabilimento gli operai guadagnano un quinto dei colleghi italiani e lavorano fino a 12 ore al giorno. Ma alla Fiat dei Balcani non si usa dire di no. Perché in Serbia un lavoratore su quattro è disoccupato. E allora, con la disoccupazione al 25 per cento, l’inflazione al 10 e le casse dello Stato ormai allo stremo, la scritta fuori dalla fabbrica “Noi siamo quello che facciamo” (la stessa di Pomigliano) finisce per diventare un monito. Perché chi resta fuori è perduto. E allora? Meglio ubbidire ai capi e tacere con gli estranei