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“Non avrai altro Dio all’infuori di me”. Da quando Mosè scese dal Sinai, siamo stati (in quanto “occidentali”) educati all’unicità (contrapposta alla molteplicità): un Dio, un lavoro, una famiglia, una casa, una patria, una città, una scelta, ecc..
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Questa impostazione mentale ha funzionato a meraviglia dal Sinai in poi, anche perché si adattava perfettamente al nostro quotidiano vivere: per qualche migliaio d’anni, in generale, abbiamo avuto una famiglia, un lavoro, un partner, una casa, un hobby, una squadra di calcio…una vita. Da qualche tempo però, l’aumentato benessere economico e un diffuso e radical cambiamento dei costumi (non slegati dalla frenesia consumistica) stanno progressivamente erodendo questo ordine. Oggi è sempre più normale avere più famiglie, più case, più lavori, più partner (uno dopo l’altro o…uno insieme all’altro…), più interessi, più patrie…più vite…Un banale esempio per tutti: quanti bambini si ritrovano oggi ad avere 8 (otto) “nonni”? Tutti quelli che sono figli di genitori separati che hanno trovato un nuovo partner: certamente non pochi e comunque molti, ma molti di più rispetto a solo una trentina di anni fa. La molteplicità avanza.
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A quarant’anni è come se avessimo vissuto già molte vite, non una sola. Se pensiamo a concetti come “famiglia”, “partner”, “lavoro”, “casa”, può accadere che non li associamo più ad un’unica immagine, ad un unico nome, ad un unico ricordo. Magari abbiamo “messo su famiglia”, investito tempo ed energia in un progetto di vita al quale ci siamo affezionati e che, fino a qualche anno fa, sarebbe stato unico e definitivo e poi invece, per i casi della vita di oggi, tutto è saltato in aria e può essere che siamo finiti a rimettere su famiglia, rimettere su casa, fare altri figli, cambiare lavoro, trasferirci in un’altra città, ecc.. E’ come se avessimo perciò vissuto molteplici vite ed è come se dentro di noi avessimo molteplici anime, che trovano spazio o sono state “attivate” in virtù della nuova realtà nella quale oggi viviamo. Perché la moderna molteplicità finisce per declinarsi non solo fuori di noi, ma anche dentro di noi. Anche noi stessi siamo molteplici, anche noi “siamo più noi”.
La nostra mente fatica ad abbracciare questa molteplicità dalla quale è riuscita a tenersi lontana per millenni. Ma la realtà ci impone di farlo. Non è casuale che, anche in ambito scientifico tante spiegazioni (per esempio quelle relative alla fisica quantistica) ci sono sfuggite fino a pochi anni fa, proprio perché ci riesce tremendamente difficile accettare che l’Universo è indeterminato e che una cosa può essere due cose e in due posti diversi allo stesso tempo.
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Nel suo divertente libro “Momenti di trascurabile felicità”, Francesco Piccolo sostiene, tra il serio e il faceto, come gli provochi felicità “sfogliare le riviste senza trovare alcun che di interessante da leggerci”. Oggi, anche grazie ad internet, possiamo leggere ed informarci sull’intero scibile umano. Tuttavia è praticamente impossibile farlo: gli stimoli e le opzioni che ci vengono offerte solo talmente tante che ci opprimono, ci disorientano, ci schiacciano. Ci sentiamo in colpa per non poter fare tutto, per non potere accontentare tutti; ci sentiamo “disarmonizzati” rispetto al presente perché abbiamo troppi passati con cui fare i conti. E quindi si arriva al paradosso per cui ci sentiamo sollevati quando ci allontaniamo da possibilità e stimoli e quindi quando ci togliamo da queste situazioni “molteplici” di cui però è fatta – ci piaccia o no – la vita odierna, con il risultato di “non vivere” o vivere male.