È stato per caso che ho conosciuto i ragazzi del Clandestino. Li invidio e li ammiro. Sono quasi tutti più giovani di me, molto probabilmente con idee ben più chiare delle mie. Fanno giornalismo, giornalismo d'inchiesta, in una terra dove non esiste un certo modo di fare cronaca e informazione. Alla presentazione del giornale due anni e mezzo fa, ricordo, non c'era neanche un rappresentante della stampa cosiddetta "ufficiale". Certo sono scomodi. Dicono quello che gli altri omettono. Smuovono le acque torbide e lo fanno con una professionalità che molti professionisti abbeveratisi ai sacri testi della deontologia spesso dimenticano.
Perché erano importanti quelle email? I ragazzi del Clandestino hanno inviato a tutti i loro amici, collaboratori, sostenitori, due link. Link ad articoli in cui si parla di loro. E io sono molto contento di poterli rilanciare. Ma non è solo per pubblicità, né perché qualche volta il mio nome è finito nella lista dei tanti e volenterosi collaboratori del mensile.
Il primo è di Libera Informazione, la testata di Libera, l'osservatorio sull'informazione per la legalità e contro le mafie. Un articolo su un incontro a Ovada, in provincia di Alessandria. C'erano pure i ragazzi del Clandestino e Nando dalla Chiesa li ha chiamati sul palco.
Il secondo link ha a che fare proprio con dalla Chiesa. È un articolo del Fatto Quotidiano in cui si parla di questi ragazzi coraggiosi.
Io personalmente non ho da offrire chissà quale pubblicità, in confronto a Libera e Nando dalla Chiesa. Siccome però conosco l'avventura e l'impresa del Clandestino, devo aggiungere due parole. Per loro stessa ammissione, non tutti i ragazzi della redazione faranno i giornalisti da grandi. Ecco, questa è la lezione fondamentale. Fare informazione, indagare, svelare trame e misteri, raccontare un territorio con le sue ricchezze e le sue miserie quotidiane, è un dovere che va oltre una professione. Professione che tra l'altro io mi ostino a pensare prima di tutto come un mestiere. Professione, lavoro o mestiere che sia, quel che conta, comunque, è che, come dimostra un gruppetto di ventenni modicani, dire e raccontare sono verbi che possono essere coniugati anche se nella vita si vuole fare altro.
La vocazione, in fondo, non è il giornalismo, ma la verità.