Le Isole Banda si trovano a Sud di Ambon e per vari motivi sono le più popolari e frequentate di tutto l’arcipelago delle Molucche. In primo luogo c’è un motivo storico: le Banda erano le isole della noce moscata, il motivo principale che aveva spinto gli europei fino a queste zone remote dei mari del Sud, quindi diventarono una delle basi preferite dai colonialisti che le sfruttarono in modo intensivo e che le trasformarono in un piccolo angolo di Europa nell’Oceano Pacifico Occidentale. C’è poi un motivo puramente estetico: queste isole sono bellissime sia sopra ma soprattutto sotto il mare. Ci sono veri e propri canyon e scogliere coralline intatte facilmente accessibili anche solo con maschera e boccaglio, popolati da un numero incredibile di pesci tropicali, anche di grossa taglia. Oltre a ciò c’è anche un celeberrimo e minaccioso vulcano ancora attivo che si trova di fronte a Banda Neira e che potrebbe facilmente cancellarla per sempre se la prossima eruzione dovesse essere particolarmente violenta.
Sono anche ben organizzate dal punto di vista turistico, sia a Banda Neira che nelle isole vicine ci sono alberghi e ostelli per tutti i gusti, in genere a gestione familiare ma quasi tutti di ottimo livello per la media dell’Indonesia. L’unico problema vero è raggiungerle. Quando ci sono andato c’erano solo due navi con frequenza bisettimanale e quindi non c’era possibilità di arrivare e decidere poi sul posto quanto fermarsi. Il servizio aereo era stato sospeso da molto tempo a causa di uno degli innumerevoli fallimenti di una compagnia indonesiana ( credo la Garuda ). Ho letto che al momento c’è un nuovo servizio ferry e forse uno aereo della Susi air, ma non ci conterei troppo, almeno finché non arrivi sul posto a verificare. Queste difficoltà nel raggiungerle hanno comunque contribuito a mantenerle tranquille e non troppo sfruttate: si trovassero tra Bali e Lombok sarebbero già da tempo infrequentabili.
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Una cosa che colpisce molto in queste isole è che quasi tutti gli abitanti attuali non siano i nativi ma siano invece Indonesiani provenienti da altre isole, soprattutto da Giava. C’è un motivo preciso ed è legato ad un fatto particolarmente tragico e brutale accaduto quando la Compagnia delle Indie Orientali Olandesi prese il controllo delle isole. Gli Indios locali ovviamente si opposero al saccheggio delle loro terre e dopo varie schermaglie il governatore Jan Pieterzoon Coen ordinò il massacro di tutti i Bandanesi. Non ci sono dati certi ma si stima che sopravvissero solo poche centinaia su circa 15 mila abitanti. Tra questi alcuni furono poi venduti come schiavi e altri si salvarono scappando nelle isole vicine Seram e Kei Besar. Se si pensa che questo genocidio fu di fatto perpetrato per un frutto, la noce moscata, tutta la vicenda appare particolarmente inquietante.
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Banda Neira l’ho trovata deliziosa. C’è quel giusto mix di paesaggi spettacolari, ville coloniali abbandonate, atmosfera sonnolenta e la sensazione che il tempo si sia fermato qualche secolo fa che non può non affascinare. E’ tutto verdissimo e la vista sul vulcano ti accompagna ovunque. Non stupisce che i guadagni dei colonialisti che si stabilirono qui non furono mai quelli previsti e che le Banda diventarono quasi un sinonimo di “bella vita” e corruzione. Osservando ciò che resta di quelle ville è abbastanza facile immaginare la vita di quegli uomini, tra cocktail, partite a biliardo e belle donne.
Visti i tempi molto stretti io però non ho avuto molto tempo per cazzeggiare: appena arrivato mi sono fatto subito portare da un barcaiolo a Pulau Gunung Api e sono partito senza esitazioni alla scalata del piccolo vulcano. E’ una salita breve ma piuttosto faticosa perché ci sono tratti molto ripidi sulle colate laviche e perché anche al mattino fa molto caldo e c’è moltissima umidità. Il panorama è stupendo su tutto l’arcipelago e sui crateri del vulcano.
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Il giorno dopo piove ma prendo lo stesso un barcone per Pulau Ai, una delle due isole più interessanti per lo snorkeling ( l’altra è Pulau Hatta ). Il mare è molto agitato e il viaggio è a dir poco “movimentato”, perfino i locali hanno facce preoccupate, quindi quando arriviamo al piccolo pier di Ai tiriamo tutti un sospiro di sollievo. L’isola è piccola e c’è solo un villaggio tra due strade, tutto il resto è un misto tra giungla e vecchie piantagioni di spezie. Trovo facilmente una bella guesthouse a gestione familiare e appena smette di piovere vado subito in acqua a farmi un giro tra i giardini di coralli, che si trovano a pochi metri dalla riva. Il sole va e viene, quindi i colori dei pesci e dei coralli non si riescono ad apprezzare al 100%, ma comunque sono delle scogliere veramente fantastiche degne della loro fama. Di fronte alla mia guesthouse ci sono i coralli più grandi e belli, mentre circa 100 metri più in giù all’altezza del forte olandese ci sono i veri e propri “canyon” e i pesci più grossi, compresi squali, barracuda e qualche tartaruga. Anche ad Ai si sta benissimo, la gente è particolarmente amichevole e ci sono un paio di belle spiagge ( anche se non del livello di quelle delle Kei ). Posto ideale per fermarsi per qualche giorno a rilassarsi con un paio di buoni libri, da leggere tra un tuffo e l’altro.
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Mi sarei fermato volentieri almeno una decina di giorni ma purtroppo non è stato possibile, perché la nave successiva passava 18 giorni dopo. Probabilmente mi sarei anche rotto le palle e comunque avevo il visto in scadenza e potevo rinnovarlo solo ad Ambon. A quel punto arrivo ad Ambon con ancora una ventina di giorni prima di tornare in Italia e senza troppi programmi: per Papua sono troppo pochi e per il Sud-Ovest di Sulawesi forse troppi ( e invece no, ma lo scoprirò solo in seguito… ), quindi non riuscendo a prendere una decisione vado a schiarirmi le idee nella vicina Pulau Saparua, la più grande delle isole Lease, che dovrebbe essere un’altra isola tranquilla con belle spiagge e coloratissime barriere coralline.
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Anche Saparua mi è piaciuta moltissimo. Mi fermo sulla spiaggia del villaggio principale, vicino al forte Benteng Durstede ( l’unica cosa vagamente turistica ), molto tranquilla, pulita e con un mare turchese stupendo. C’è anche qui la sensazione di essere fuori dal mondo ma nel villaggio, che dista pochi minuti a piedi dalla spiaggia, c’è tutto ciò che serve, negozi, un mercato, un paio di internet cafe. Mi è piaciuta anche perché è il posto tra tutte queste isole dove ho trovato la cultura tradizionale più interessante e ancora in gran parte intatta. E’ vero che in realtà non è una vera e propria cultura india e che è stata molto influenzata da quella occidentale ( sono tutti cristiani e religiosissimi, mi hanno ricordato quelli del Nord Est dell’India ), ma comunque si vedono ancora molte donne con abiti tradizionali, molte cose vengono decise dagli “Orang Kaya” ( una specie di vecchi saggi ) che si riuniscono nei baileu ( un grande patio di legno col tetto di paglia ), ci sono vari piatti originali e usanze particolari.
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Al mercato settimanale si vende un po’ di tutto, dal sago al pesce alla griglia, e tanti dolci delle Molucche buonissimi fatti dalle simpaticissime nonne del villaggio. Grazie ad un amico locale riesco a visitare vari villaggi molto belli e zone più o meno selvagge dell’isola, e anche a trovare un posto con un “coral garden” veramente spettacolare, con dei colori dei coralli pazzeschi arancione, viola, giallo fluorescente…
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A questo punto anche l’ultima parte di viaggio è decisa: prenderò la nave per Bau Bau ( Pulau Buton ) e visiterò qualcosa del Sud Ovest di Sulawesi, prima di raggiungere in qualche modo Makassar e poi volare a Jakarta.