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Mommy

Creato il 14 ottobre 2015 da Jeanjacques
Mommy
Ho mai scritto che sono uno estremamente ritardatario? Che in realtà agli appuntamenti ho una puntualità quasi maniacale, ma non è raro che passino mesi (se non addirittura anni) prima che mi veda un qualcosa che è sulla bocca - o, per meglio dire, tastiera - di tutti. Un po' perché abito in una zona sfigata che le cose belle sembra perdersele anche quando sono famose, tipo La grande bellezza o Birdman, ma soprattutto perché sono un grande pigro. O perché magari ho un deficit dell'attenzione che mi proietta su altre cose, perché lavoro, perché sono stanco e voglio vedere cose più leggere... insomma, le solite scuse per dei quesiti che magari non troveranno mai una risposta. Forse perché una risposta non c'è proprio, ma tant'è. Resta il fatto che questo film, da quasi tutti i miei colleghi blogger acclamato come un nuovo capolavoro moderno e con tanto di fangirlamenti verso questo giovanissimo cineasta canadese mio coetaneo, sono riuscito a vederlo perché in un cineforum della mia zona ha deciso di proiettare il bluray per una serata speciale. Mi è sembrata l'occasione giusta quindi per decidermi una volta per tutte di vederlo e, con l'aiuto dell'assoluta attenzione che richiede una sala cinematografica, gustarmelo tutto fino alla fine.
Siamo in un Canada fittizio e in un altrettanto fittizio 2015. In questo mondo esiste la legge S-14, che consente ai genitori con figli minorenni problematici di poter effettuare un ricovero coatto saltando la procedura legale. E' in questo scenario che conosciamo Diane "Die" Després. vedova quarantaseienne, alla quale viene riaffidato il figlio dopo che ha incendiato la mensa della comunità in cui è stato messo dopo la morte del padre...

Non serve essere un genio o un fine letterato per capire che Dolan (che continuo a ripetere, per me è Nolan con il raffreddore) ha uno strano rapporto con la figura materna. Bastava quel suo strano esordio fatto a diciannove anni, la stessa età durante la quale io mi pippavo di saghe fantasy e cartoni giapponesi, J'ai tué ma mère, per rendere palese la cosa. Senza contare che, stando alle sue stesse dichiarazioni, questo film ha molto di autobiografico - solo che, come sottolinea lo stesso cineasta, lui al contrario del giovane co-protagonista non era pazzo. Io non so nulla di lui per smentire la cosa, e non posso fare nemmeno un'analisi critica della sua cinematografia perché oltre all'esordio ho visto solo Heartbeats, quindi mi limito a dire che per quello che ho visto finora il ragazzo ha davvero molto talento. E forse per raccontare di personaggi così al limite cinque minuti nella testa devono davvero mancargli, ma io preferisco pensare che sia dotato solo di una grande sensibilità. Perché bisogna avere dalla propria un grande spirito di osservazione della specie umana per offrire un ritratto così impietoso ma al contempo bello di una situazione tanto delicata e borderline. Per quello che ho visto finora, mi sembra che Dolan nelle sue pellicole cerchi di raccontare personaggi molto umani, nel vero senso della parola, individui che non stanno mai nella regione né nel torto. Forse perché non è che la realtà è fatta di sfumature, ma la realtà è una sfumatura stessa, la medesima che ci offre lo spettro delle emozioni di una persona e che ci permette di capire la sua anima. Die non è una santa, è una donna sbandata che non si è mai ripresa dalla morte del marito e che cerca di allevare un figlio problematico come meglio può, spesso arrivando a dubitare di lui e delle sue stesse capacità di madre, ma portando avanti fieramente questa battaglia; e non senza qualche virata maldestra, non senza apparire volgare e sepolta sotto un look fintamente aggressivo che potrebbe dare un'idea sbagliata di lei - parlo in generale, non che io mi metta a criticare una persona per come si veste, anzi. Tutti i protagonisti della vicenda sono rinchiusi nella gabbia che è la loro vita, motivo per cui il film è girato in questa maniera, con questa inquadratura quadrangolare claustrofobica che però si allarga nei momenti più lieti, raggiungendo così i 16:9 ordinari, questi ultimi però drammaticamente inferiori rispetto agli altri più stretti, che lasciano spazio a malapena a una persona nell'insieme dell'inquadratura. Ritratti singoli che finiscono per confluire in un unico insieme, ma che convergono tutti in quella madre, la mommy del titolo, e alla sua forza. perché nonostante tutto quello che accadrà verso la fine, non possiamo dire che Die non sia una madre magnifica. Così come, a suo modo, Steve è un figlio bellissimo, una mente bambina nel corpo di un ragazzino che a tanta distruzione riesce a offrire anche un amore violento, viscerale e quasi ambiguo. Mi è sembrato che alla fine quei due casi umani siano una coppia molto più felice di tutte le altre che vengono rappresentate nel corso della pellicola, perché sono due individui che nonostante tutto provano a proseguire con la loro vita, sorreggendosi l'un l'altra come meglio possono. E anche quel finale, che non rivelerò per correttezza, se letto dal punto di vista giusto non fa che confermare questa visione. Perché di amare sono capaci tutti, ma solo chi ama veramente riesce a optare per quella che è la scelta più dolorosa ma, alla fine, necessaria. Die, come dice lei stessa, ne esce a testa alta, perché non c'era null'altro da fare in quella sequenza. E proprio quella sequenza mi è sembrato il confronto assurdo e spietato fra due madri, una che si è arresa, ma la nostra, la nostre Die, che ha provato ad agire come meglio le riusciva in una situazione disperata. Una donna che si sobbarca il peso della propria scelta col dolore nel cuore perché autrice di quella sequenza immaginaria ma bellissima, ampliata in potenza dalla stupenda Experience di Ludovico Einaudi. Forse questo non basterà a rendere Mommy un capolavoro, film imperfetto, forse troppo lungo e pieno di momenti morti, ma che alla fine riesce a parlare di vita con la maturità che solo l'attraversare certe esperienze fornisce.

Curioso poi che finisca con la canzone Born to die della mia amata Lana del Rey. Forse nasciamo davvero per morire, ma è tutto l'amore che sta prima che dà senso al nostro vissuto.Voto: 

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