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Mondiali 2014: spagna adiós, tramonta la roja pigliatutto. quale futuro per il tiqui taca?

Creato il 19 giugno 2014 da Carloca
MONDIALI 2014: SPAGNA ADIÓS, TRAMONTA LA ROJA PIGLIATUTTO. QUALE FUTURO PER IL TIQUI TACA?                        Del Bosque scuro in volto: un altro CT prigioniero della riconoscenza
Stai a vedere che gli unici ad aver capito tutto erano stati gli organizzatori della Coppa del Mondo. Vecchie volpi, autentiche lenze, capaci di intuire con ben sette mesi di anticipo (sorteggio dei gironi nel dicembre scorso) il repentino tramonto della leggenda spagnola. Sennò chi glielo faceva fare di inserire il Brasile "cocco di casa" e gli iberici nella medesima parte di tabellone e, anzi, di abbinarne addirittura i raggruppamenti, creando i presupposti per un pericolosissimo rendez - vous fra la Seleçao e la Roja già negli ottavi di finale? Si scherza, ovvio: della Fifa si possono dire tante cose, ma fra le sue prerogative non c'è (ancora) la preveggenza... E' un fatto che l'incrocio "arrischiato" non ci sarà: il nuovo Maracanà, grigio e spoetizzato, uguale a mille altri stadi moderni edificati di recente in mille altre parti del globo, mantiene pur sempre un alone di leggenda, e diventa teatro e testimone di un'altra pagina storica del football: l'abdicazione dei monarchi assoluti degli ultimi sei anni di calcio mondiale. L'1-5 CON L'OLANDA, SEGNALE INEQUIVOCABILE - Si era stati fin troppo facili profeti nel sostenere che il disastro in salsa Oranje avrebbe lasciato scorie pesantissime e che, soprattutto, una disfatta di tali proporzioni non poteva essere archiviata come un semplice passaggio a vuoto, una di quelle serate storte cancellabili con un colpo di spugna. Alle corte: se una squadra pluridecorata e campione iridata in carica cede così fragorosamente al debutto, è evidente che qualcosa si è rotto, che la "magia" alla base dei tanti trionfi è in via di dissolvimento, che si tratta solo di capire quando la luce si spegnerà del tutto. Di solito, è questione di due o tre partite, non di più: la Francia del 2002 e l'Italia del 2010, fra mille affanni, rimasero in corsa fino all'ultima gara del girone, questa Spagna ha ceduto prima: vorrebbe tornare subito a casa, e invece, suprema umiliazione, sarà costretta a bere fino in fondo l'amaro calice di questa fallimentare spedizione, giocando l'inutile confronto con l'Australia. COME L'ITALIA '86: ABIURA TATTICA - Il paragone più adatto per le Furie Rosse in disarmo è con la pallida Azzurra '86, ma non per il modo di uscire di scena: quella nostra Nazionale, seppur logora e non all'altezza della squadra "mundialista" del 1982, riuscì comunque a superare le colonne d'ercole della fase iniziale, prima di arrendersi alla Francia negli ottavi. No, ciò che accomuna le due compagini è l'aver abiurato a certi incrollabili princìpi tattici proprio nel momento di massima difficoltà, sull'orlo del precipizio. Enzo Bearzot, nei due anni precedenti, aveva costruito pazientemente la squadra attorno a un regista, il bravo (e storicamente sottovalutato) Di Gennaro del Verona: era il modulo d'elezione, quasi l'unico su cui si puntava, e nel listone per il Messico non vennero inseriti ricambi testuali per il costruttore di gioco prescelto: tutto doveva ruotare attorno a lui. Ebbene, il giorno dell'ultima sfida contro i galletti campioni d'Europa, il cittì (secondo il giornalista Italo Cucci su infelice imbeccata del suo vice Cesare Maldini) decise di togliere di squadra il buon Di Gennaro, per affidarsi a un modulo di puro contenimento e fare spazio a un marcatore fisso da appiccicare a Platini, il malcapitato Beppe Baresi. Come dire: due anni di lavoro gettati alle ortiche, ammissione di inferiorità rispetto all'avversario, e inevitabile sconfitta. IL RIDIMENSIONAMENTO DEL TIQUI TACA - Così ieri la Spagna: nel primo tempo col Cile, il tiqui - taca sembrava un lontano ricordo. Il solito gioco elaborato e fitto di passaggi ricompariva solo a tratti, e aveva più che altro l'aspetto di una triste melina, per allentare la pressione di avversari baldanzosi o traccheggiare nella vana attesa di trovare una degna soluzione offensiva. Per il resto, la Roja cercava di imbastire un gioco un po' più scarno, essenziale, sbrigativo, ma non ci si reinventa così, in pochi giorni: e infatti regnavano approssimazione e squilibrio tattico, e chi in ultima battuta doveva creare, impostare e ispirare appariva costantemente fuori fase: il più inconcludente era Xabi Alonso (anche in zona tiro, sinistro a botta sicura addosso al portiere Bravo), ma personalmente non avevo mai visto un Iniesta così impreciso e falloso. Nella ripresa si vedeva persino una bella Spagna, aggressiva, dinamica e volitiva, ma quando devi remare controcorrente per annullare un doppio svantaggio tutto diventa difficile: così, se premi con continuità e metti in piedi un gioco d'attacco decente, devi riaprire subito la gara, altrimenti alla lunga ti esponi alle micidiali ripartenze avversarie. E' ciò che è accaduto: Diego Costa, che già nel primo tempo aveva ciabattato a lato da buona posizione, falliva un'occasionissima facendosi contrare il tiro a tu per tu col guardiano sudamericano, Busquets sciaguratamente lisciava a porta vuota, poi arrivavano altre opportunità, ma dall'altra parte del campo anche il Cile mancava in almeno tre occasioni la possibilità di chiudere il conto. MALEDETTA RICONOSCENZA - Spagna adiòs, dunque. Rimane un interrogativo: quale assurdo e malinteso senso di riconoscenza spinge ogni cittì, in ogni epoca, a puntare pervicacemente su giocatori copertisi di gloria nel passato ma che sono già in pieno declino o, nella migliore delle ipotesi, vicinissimi alla parabola discendente? Spesso sono proprio loro, i tecnici, i primi a dire che nello sport non bisogna mai voltarsi indietro, che si ricomincia sempre daccapo. E allora, perché non metter mano al ricambio, perché andare sistematicamente incontro a brutte figure? Bearzot nell'86, Del Bosque nel 2014, ma anche Lippi nel 2010 o Menotti con l'Argentina nell'82: tutti hanno preferito limitare al minimo il ricorso a forze nuove e affondare con la loro truppa di spompati fedelissimi. Non li capirò mai. RINNOVAMENTO? DA SETTEMBRE... - Il "marchese" spagnolo, poi, era nelle condizioni ideali per cominciare a innovare con mano morbida ma inesorabile: un mondiale e un europeo in saccoccia (e in più il titolo continentale di Aragonés, nel 2008), una posizione di enorme potere, inattaccabile, che gli dava ampi margini di azione: si trattava semplicemente di fare qualcosa di inevitabile, ossia rinfrescare i quadri, prevenendo il disastro. Da settembre avverrà comunque, entreranno i vari Koke (già visto stasera, pesce fuor d'acqua in un tessuto di squadra che forse avvertiva come estraneo), Isco, Thiago Alcantara e altri ancora (magari qualche "italiano" non più di primo pelo ma che in Nazionale non sarebbe scandaloso, penso a Borja Valero, Callejon e Llorente); e la Roja tornerà, chissà, ancora col tiqui taca e col falso nueve, invenzioni tattiche che si sono... ribellate ai loro creatori mandandoli in bianco ma che altrove, sia pur mitigate e rivedute, stanno mostrandosi ancora valide (si vedano le prestazioni di Germania e Italia in questo torneo). Intanto però la Spagna euromondiale è entrata nell'altra storia, quella alla rovescia: peggior difesa del titolo di sempre, e score da squadra materasso. 

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