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Mondiali di calcio 2014: bilancio tecnico. stelle nascoste, squadre sparagnine e due partite da leggenda
Creato il 15 luglio 2014 da CarlocaNei prossimi giorni, per noi calciofili impenitenti l'impegno più gravoso sarà spazzare via il magone del dopo Mondiale. E sì: difficile lasciarsi alle spalle questo mese di ubriacatura collettiva, di ore e ore di football televisivo, di commenti, discussioni, polemiche fra appassionati "de visu" e on line, di emozioni, trepidazioni e delusioni. Quattro settimane di "estasi clamorosa", avrebbe detto Miss Rettore. Quando la squadra vincitrice alza la Coppa e il sipario cala impietosamente, la malinconia ci avvolge, perché in quel momento finisce la più colossale e immaginifica festa del pallone: un appuntamento atteso per quattro anni, un evento che avvolge e coinvolge, incontro di popoli e culture calcistiche, molto più di una mera tenzone sportiva. Ci aspettano le miserie del campionato nostrano, nella speranziella che i nuovi vertici federali e il nuovo CT favoriscano finalmente la valorizzazione delle giovani leve azzurre, unico sentiero percorribile per il rilancio. Per intanto, non mi rimane che un piacevole impegno, quello di azzardare un bilancio tecnico, forzatamente sommario, della kermesse brasiliana. Pochi flash qua e là, nella convinzione che sia impossibile fornire un quadro completo, oggettivo, inoppugnabile. MONDIALE STORICO? NO... - "Il Mondiale dei Mondiali", dicevano: sarà che nutro un'innata idiosincrasia agli slogan e alle frasi fatte che diventano tormentoni giornalistici, ma di quello appena citato è stato fatto, in queste settimane, un abuso irritante. Irritante e non giustificato. Il senso di tale perentoria definizione voleva essere più o meno questo: "Brasile 2014 sarà "il Mondiale dei Mondiali" perché nella terra del futébol per antonomasia, con un nutrito drappello di campionissimi all'apice della traiettoria agonistica, con squadroni in sboccio e altri giunti finalmente alla piena maturità e consapevolezza dei propri mezzi, non potrà che disputarsi la kermesse iridata più scintillante di tutti i tempi. E poi, suvvia, c'è un motivo d'interesse mozzafiato, l'assalto al trono della Spagna campione di tutto...". Ecco, non è per voler fare il bastian contrario a tutti i costi, ma le cose sono andate un po' diversamente.
Il thriller intitolato "Le Furie Rosse contro tutti" ha conosciuto una fine assai precoce. Gli iberici si sono liquefatti nel giro di due match: hanno abdicato, più che essere spodestati. Sul piano generale, il primo turno ha regalato momenti senz'altro godibili, spettacolo di buon livello e, oggettivamente, tante reti. Ma qualcuno ha esagerato nel trarre dalla fase a gironi auspici entusiastici sulla qualità complessiva della rassegna. Nei... primi metri di una maratona che vede ai nastri di partenza 32 compagini, molte delle quali impresentabili a certi livelli, con differenze di tasso tecnico spesso abissali fra le protagoniste designate e le comparse, è facile che le prodezze sgorghino cospicue, che da parte delle grandi ci sia più coraggio nell'impostazione tattica delle partite, e che certe difese non proprio irreprensibili sazino premurosamente gli appetiti di gol. CALCIO SPARAGNINO, CON L'ECCEZIONE TEDESCA - Poi, però, è nei turni a eliminazione diretta che si fa sul serio, è quello il momento in cui si misura lo spessore autentico delle espressioni di vertice di questo sport. Ebbene, dagli ottavi in poi sono stati realizzati trentacinque gol, nove in meno rispetto alla medesima fase della non esaltante edizione sudafricana. E se è poi vero che i gol non sono tutto, è altresì innegabile che, parallelamente al calo delle segnature, gli scampoli di gioco pregevole si sono progressivamente diradati. Due delle squadre più briose e innovative della prima fase, Cile e Messico, sono ben presto uscite di scena, vittime della loro leggerezza offensiva; due potenziali Nazionali del futuro, Belgio e Colombia, le hanno seguite a stretto giro di posta, cadute sotto i colpi del pragmatismo, direi quasi del "minimalismo calcistico", di due scuole tradizionali, di un'Argentina e di un Brasile che un tempo estasiavano il mondo cesellando un football che era arte allo stato puro, mentre adesso ruminano calcio con pochissime concessioni alla platea.
Delle magnifiche quattro semifinaliste, solo la Germania ha percorso la strada di un gioco propositivo e di iniziativa, conciliando sprazzi di tiqui taca con l'essenzialità e la verticalità della manovra, esaltate dall'abilità di tutti i suoi elementi nel trattare la palla, abilità che nei sedici metri finali si è tradotta in devastante efficacia al momento di concludere. L'Olanda ha prodotto fiammate esaltanti soprattutto nel primo turno e in quell'ora di commovente assedio alla Costa Rica nei quarti, sviluppando tuttavia le sue trame offensive partendo da una disposizione assai abbottonata: difesa a tre, diga a centrocampo, gran lavoro sulle fasce (con l'ex stoccatore Kuyt trasformato in un drago nel lavoro di contenimento e ugualmente disponibile in appoggio, per quanto non sempre preciso) e fase creativa quasi esclusivamente affidata a Sneijder (peraltro anche lui a lungo chiamato ad arretrare e a "fare legna") e al superbo Robben.
STELLE NASCOSTE - Già, Robben: insieme a Thomas Muller, la sola grande figura di un Mundial in cui molte stelle d'attacco hanno steccato. In primis Cristiano Ronaldo, atteso come un potenziale mattatore, ma anche Balotelli, novello Godot del calcio italiano. Hazard è andato troppo a corrente alternata, pur facendo balenare le sue infinite potenzialità, Pirlo si è ben presto spento come l'impresentabile Azzurra di Prandelli, Messi ha dispensato gol nella prima fase, assist al bacio negli ottavi e nei quarti, per poi dileguarsi al momento di dare l'accelerazione finale verso la conquista più ambita (che non era certo il titolo di Top player del torneo...), mentre il suo connazionale Higuain, dopo la messe di gol raccolta a Napoli, in Brasile non è andato oltre l'acuto coi belgi, per poi mancare un'occasione clamorosa in apertura di finalissima. Muller e Robben, dunque, fuoriclasse risolutivi: un gradino più su il tedesco, per poliedricità e completezza: capace di far tutto dalla trequarti in su senza mai smarrire il senso del gol, laddove l'olandese non ha più trovato la via della rete dalla terza gara in poi.
IL MUNDIAL DEI GREGARI - E' stato più il Mondiale delle seconde linee, della "classe operaia", che quello dei primattori: dei "mediani", nel significato esteso che alla parola attribuì Ligabue nel suo celebre brano. Schweinsteiger e Mascherano, formidabili uomini - ovunque, garretti e lucidità al servizio del collettivo; l'impagabile e generoso equilibratore tattico Khedira, cancellato dal gala di chiusura al Maracanà per un infortunio poco prima del via, più o meno lo stesso rio destino del nostro Antognoni, assente all'epica serata del Bernabeu '82 per via di un incidente occorsogli in semifinale; metterei nel gruppo di questi eroi inattesi anche De Bruyne, che ha piedi più educati dei colleghi appena citati ma era forse meno reclamizzato di altri illustri Diavoli Rossi come Hazard o Fellaini, risultando invece il più continuo nel dare benzina all'azione offensiva dei suoi.
DUE PARTITE DA LEGGENDA - Sulla valutazione del livello qualitativo di un Mondiale pesa anche il numero di partite che la kermesse tramanda ai posteri, le gare destinate a rimanere nel libro d'oro del calcio per significato storico, tensione emotiva, fuochi d'artificio spettacolari. Ebbene, credo di poter dire che non molto resterà di Brasile 2014: tanti match apprezzabili, ma nessuno in grado di lasciare autenticamente il segno. Con due eccezioni: il tracollo spagnolo al cospetto dell'Olanda, che ha segnato l'inizio della fine dell'irripetibile ciclo iberico, e il 7 a 1 tedesco alla Seleçao in semifinale, per motivi che sono già stati ampiamente illustrati. Come "jolly", potrei aggiungere l'ottavo Brasile - Cile, con quella splendida recita dei rossi, fermati dalla traversa di Pinilla a un passo dall'impresa. L'atto conclusivo è stato dignitosissimo, senz'altro migliore di quello di quattro anni fa, ma non tale da far gridare al miracolo.
GIOVANI IN VETRINA - Gotze ha risolto la finale, Il capocannoniere James Rodriguez si è svelato al mondo con colpi da funambolo, i ragazzini terribili del Belgio promettono di crescere ancora. Da questo punto di vista, il bilancio del Mundial è in vistoso attivo: è ovviamente mancata all'appello l'Italia, con Prandelli che nel suo quadriennale percorso ha via via smarrito il coraggio iniziale nel promuovere la linea verde, riservando, in Brasile, una sorta di "fiducia condizionata" al suo unico fresco virgulto di autentica statura internazionale, il "parigino" Verratti, venendone ripagato con due prestazioni di temperamento e personalità. Ma tanto Buffon e Pirlo sono già pronti a tornare in cattedra, a settembre, mentre i promettenti babies della bella Under di Mangia (2011 - 2013) fanno ancora anticamera...
IL TRACOLLO DI BIZZOTTO - Postilla sul Mondiale della Rai, del quale ho già scritto (criticamente) in questo post di un paio di settimane fa. Domenica sera la degna (ehm) conclusione, e spiace che a inciampare sia stato l'ottimo Stefano Bizzotto, una delle poche eccellenze della spedizione brasiliana. Ma non accorgersi della presenza in campo di Kramer in luogo di Khedira, dopo che sullo schermo era già comparsa la formazione con la novità dell'ultimo momento, dopo che la regia aveva fornito le classiche inquadrature in primo piano degli atleti durante l'esecuzione degli inni, dopo che alcuni minuti di gioco erano già trascorsi, è stato un errore da matita blu. Col bravo telecronista sono naufragati la seconda voce Dossena (che pure, fra i suoi compiti, dovrebbe avere quello di seguire gli spostamenti dei calciatori e la loro disposizione sul terreno) e tutta la redazione di Rai Sport, che non è stata in grado di allertare sollecitamente Bizzotto. Un autogol clamoroso, più di quello di Marcelo che aveva aperto il torneo.
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