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Mondiali di calcio: un robben esagerato. salva l'olanda e si autoaccusa per una presunta simulazione
Creato il 30 giugno 2014 da CarlocaUn popolare telecronista messicano (il Guerin Sportivo dell'epoca lo citò, semplicemente, come "Don Fernando") lanciò il suo malinconico grido di allarme già ai tempi del Mundial 1986, all'indomani della resa ai rigori della Nazionale di casa di fronte alla Germania Ovest: "La storia calcistica di questo Paese è piena di gloriose "derrote", sarebbe invece il momento di cominciare a mettere in fila qualche inglorioso "triunfo"...". Sono trascorsi quasi trent'anni, ma laggiù nella terra degli aztechi nulla è cambiato. Il Messico non riesce a scrollarsi di dosso l'etichetta di grande incompiuta, e ancora una volta saluta la compagnia iridata agli ottavi di finale. Certo, deve maledire un Arjen Robben esagerato, in tutti i sensi. Esagerato sul campo di Fortaleza, allorquando, negli ultimi venti minuti della sfida con la compagine dalle verdi maglie, si è letteralmente impadronito del match e ha suonato la carica oranje, trascinando gli straniti compagni a una rimonta che pareva ormai chimerica. Esagerato in sala stampa, a bocce ferme, quando si è assunto colpe che forse non aveva, o che aveva solo in minima parte, chiedendo scusa per aver simulato, nel primo tempo, un fallo da rigore. "Mi sono tuffato, non dovevo farlo, perdonatemi".
DUBBI - Ma a quale episodio si riferisse non è ben chiaro: in prima istanza diversi organi di stampa italiani, ieri, hanno esplicitamente parlato del penalty che ha sancito il definitivo sorpasso dei Tulipani (come si evince da questo link), penalty che però mi era parso da subito evidente (pestone di Marquez sul piede del fuoriclasse del Bayern). Altri hanno parlato della doppia irregolarità patita in chiusura di prima frazione (e anche in questo caso, ritengo l'infrazione piuttosto netta), altri ancora di un contatto più dubbio avvenuto a metà ripresa, che può prestarsi a diverse interpretazioni.
In attesa che i nostri giornalisti ci (e si) chiariscano le idee, magari imparando meglio le lingue per riportare più fedelmente certe dichiarazioni, si può dire che Robben non abbia rubato alcunché: a volte i calciatori non hanno piena percezione di ciò che fanno in partita, in positivo come in negativo (pensiamo a quelli che negano, anche di fronte a evidenze moviolistiche, di aver toccato il pallone con la mano). Comunque sempre meglio chi, come lui, si presenta davanti alle telecamere facendo un "mea culpa" financo eccessivo, rispetto a chi, dopo una sconfitta senza attenuanti, davanti ai microfoni ci va per accusare alcuni compagni di squadra... UN'ALTRA OLANDA - Chiudiamo subito la parentesi: disquisire di rigori dati e non dati e più in generale di sviste arbitrali è sempre antipatico, soprattutto quando gli episodi sono interpretabili in direzioni radicalmente opposte. Rimane una qualificazione poco gloriosa, per un'Olanda che per tre quarti di gara è parsa la copia sbiadita dell'inesorabile schiacciasassi ammirata nella prima fase. Macchinosa e lenta nella costruzione del gioco, tatticamente confusionaria, con variazioni in corso d'opera che hanno sollevato un gran polverone senza produrre risultati apprezzabili. Kuyt, prima a sinistra e poi a destra, offriva un cieco fervore non sostenuto dalla necessaria lucidità, risultando assolutamente impalpabile in appoggio all'azione offensiva; Blind, spostato al centro dopo il precoce infortunio a De Jong, si limitava a un anonimo tran tran, smistando palloni ma senza fornire contributi apprezzabili in fase creativa; Wijnaldum girava a vuoto, mentre Sneijder si sbatteva per quattro ma giostrava troppo arretrato per poter risultare mortifero dalla trequarti in su. Aggiungiamoci un Van Persie evanescente e un Martins Indi in disagio atletico, che trotticchiava rallentando l'azione: in tale contesto persino Robben faticava maledettamente, e si rendeva pericoloso solo su errato disimpegno della retroguardia messicana, andandosi a procurare, come rilevato in apertura, un rigore netto che, però, Proença non coglieva. MESSICO COMPATTO E ORDINATO - Già, il Messico. Sembrava la volta buona per infrangere la maledizione dei quarti, traguardo - miraggio per una Nazionale abbonata agli ottavi di finale (è arrivata fra le prime otto solo quando ha giocato in casa, nel 1970 e nel 1986). Le condizioni c'erano tutte: i verdi in palla, gli arancioni in giornata no. Rappresentativa di spessore, quella del variopinto cittì Herrera: compatta, equilibrata, capace di mandare in tilt gli avversari non con assalti furenti, ma con morbidi ricami e un attento presidio di ogni zona del terreno. Squadra corta, con centrocampo folto, sostenuto dalle avanzate dei difensori, soprattutto di Marquez, da esterni infaticabili come Aguilar e Layun, e dagli arretramenti di Peralta e Giovani Dos Santos. Una ragnatela sostenuta da buon dinamismo e da notevole proprietà di palleggio. Nella prima frazione, modesta e giocata sotto ritmo, erano stati proprio i nordamericani a mostrare le cose migliori, con un rasoterra di Herrera che Sillessen guardava sfilare a lato di un soffio, e con un bel diagonale di Giovani, su pregevole azione corale, e conseguente salvataggio del guardiano olandese. A inizio ripresa il vantaggio, siglato da Dos Santos con un preciso sinistro da fuori, era un premio meritato, e poco dopo un altro tiro a lunga gittata di Peralta per poco non fruttava il raddoppio. Qui finivano le luminarie offensive dei messicani, che continuavano a tener bene il campo ma avevano la colpa di non pungere più, di non affondare i colpi, fidando sulla loro capacità di addormentare partita e avversari. IL FINALE DI ROBBEN - Poi, come detto, Robben faceva ciò che dovrebbe fare ogni fuoriclasse: si caricava sulle spalle i compagni in difficoltà, dava la scossa, prendeva a spallate la partita con una serie di formidabili percussioni che lavoravano ai fianchi la terza linea dei verdi. Ochoa salvava su un suo destro chirurgico, scagliato dopo aver meravigliosamente saltato l'uomo in area, ma la carica era ormai stata suonata. Il sogno messicano, per l'ennesima volta nella sfortunata storia calcistica di questo paese, andava in pezzi nel giro di cinque minuti: all'88', sugli sviluppi di un corner (battuto ovviamente da Robben, e chi sennò?), Sneijder scaraventava in rete il pallone con un destro dalla distanza di inaudita potenza, e al 93' l'episodio di cui si diceva, piede di Marquez su piede di Robben, rigore e trasformazione del subentrato Huntelaar.
Come il Cile ieri, il "Tri" ha pagato l'incapacità di dare un seguito alla prima prodezza offensiva. Van Gaal, da parte sua, ha un campionissimo e se ne giova, ma deve rivitalizzare alcuni suoi ragazzi e trovare un assetto più razionale, come quello, semplice ed efficace, che consentì di mandare gambe all'aria la Spagna, due settimane fa. Il tabellone si fa invitante: sarebbe folle non sfruttarlo.
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