> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="201" width="600" alt="Mondo Papero! Intervista a Claudio Sciarrone >> LoSpazioBianco" class="aligncenter size-full wp-image-57250" />
Parlare con Claudio Sciarrone è sempre un’esperienza che arricchisce il suo interlocutore. L’autore infatti si presenta a 40 anni con un vasto bagaglio di esperienze e lavori in vari settori del disegno, dell’illustrazione e dell’intrattenimento, ma con in corpo ancora tanta forza e voglia di fare e con la mente ben desta nel cogliere il panorama narrativo attuale e nel cercare di battere strade sempre nuove. Claudio, inizierei da una domanda molto classica: come hai iniziato la tua carriera di disegnatore? Quali sono le tue origini fumettistiche? Liberiamoci subito di uno dei temi più abusati quando si parla di te: PK. Come sei stato coinvolto nel progetto, quanto ti ha dato a livello umano e professionale quell’esperienza, Oltre a PK, per Disney hai disegnato anche storie per “Topolino”: c’è qualcuna che ricordi con particolare affetto, e perché? Oltre a Disney, nel corso degli anni hai collaborato anche per altre realtà a fumetti e per altre situazioni che non c’entravano col fumetto o c’entravano per vie traverse: penso alle carte da gioco del programma TV “Il mercante in fiera”, penso alla collaborazione con il programma di Rai Due “Delitti rock”, penso alle collaborazioni con Disney Channel… vuoi parlarci di queste esperienze, del perché ti sei voluto cimentare in esse e quanto sono state utili alla tua crescita professionale? Negli ultimi anni ti sei specializzato nel disegno digitale, vale a dire che dal 2005 circa hai iniziato a realizzare le tue storie a fumetti con tavolette grafica e programmi per computer. Alyssa, Ugly Duckling… Due progetti molto personali partoriti da te negli ultimi anni. Vuoi raccontarceli in breve per capire da dove nascono, con che intenti e come si collocano nell’attuale panorama del fumetto e dell’intrattenimento italiano? In conclusione, parliamo della mostra: dal 20 ottobre al 4 novembre al WOW Spazio Fumetto di Milano viene ospitata una mostra con tuoi disegni in occasione dei tuoi primi 20 anni di carriera e 40 anni di vita. Vuoi parlarci di come è strutturata, che opere saranno presenti, che messaggi vuole mandare questa esposizione, quale percorso compirà chi si recherà a vederla? L’appuntamento è dal 20 ottobre al 4 novembre allo WOW Spazio Fumetto, Milano, Viale Campania 12, per la mostra Mondo Papero! Note:
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Devo ammettere che setting migliore non potrebbe esserci: il Capannone è proprio un enorme magazzino dove Claudio ha raccolto negli anni tutti i pezzi delle sue collezioni nerd, da dvd e blu-ray di film e serie tv a fumetti di ogni tipo e genere, da action figures a locandine, da videogiochi a elementi originali presi da set di celebri pellicole hollywoodiane, per arrivare allo spazio di lavoro.
Considerando che il pretesto dell’intervista è la mostra “Mondo Papero!”, realizzata in occasione dei primi 20 anni di carriera (e 40 anni di vita) di Sciarrone, un sancta-sanctorum del genere rappresenta molto di quello che Claudio è e di quelle che sono le passioni che lo muovono e che costituiscono gran parte del suo essere, prima ancora che dell’artista.
Allora, sono stato morso da un topo radioattivo, e così sono entrato in Disney. I
Hai parlato di origini! [ride]
Scherzi a parte, partiamo dall’inizio: ho frequentato il liceo artistico, che a quel tempo durava 4 anni. Finiti gli studi, avevo un anno di aspettativa prima del militare e mio padre iniziò a cercare numeri di telefono per trovare posti dove farmi fare esperienza. Trovò non so come il numero della Buena Vista Home Video Italia, e chi gli rispose gli passò la redazione di “Topolino” in Disney, facendolo parlare con il direttore artistico che mi fissò un appuntamento.
Io non avevo mai pensato alla Disney come possibile sbocco di lavoro, la consideravo un po’ come il Valhalla del fumetto, irraggiungibile. Ma andai all’appuntamento e feci un colloquio con Giovan Battista Carpi, a cui feci vedere un po’ di prove di disegno. Carpi rimase colpito dal sapere che io, da iper realista, per disegnare non facevo la costruzione prima per disegnare poi i dettagli, ma partivo dal chiaroscuro e da lì formavo il disegno, perché il risultato finale doveva essere il più simile possibile a quello che era il soggetto ritratto. Quindi per disegnare i personaggi Disney da portare a Carpi guardando “Topolino”, mettevo la matita sul foglio, partivo dal naso e finivo con la coda ma senza “scarabocchi”, il disegno risultava tutto pulito fin dal principio, anche se ovviamente senza costruzione.
Rimase così colpito dal controllo della mano che dimostravo che mi propose di venire in redazione nei giorni in cui c’era lui, così da potermi guardare i disegni nei 5 minuti che riusciva a ritagliarsi per me, le sue considerazioni erano oro colato, tanto sporadiche quanto preziose.
Le prime cose che facevo mentre ero in redazione erano cose come occuparmi dell’archivio e fare fotocopie, oltre a far scuola con Carpi, con il tempo ho avuto anche l’onore di “ripulire” delle sue matite prima dell’inchiostrazione.
Dopo circa un annetto passato così mi chiamò Gaudenzio Capelli, allora direttore di “Topolino”, proponendomi di intervenire sulle le storie di “Topolino” rifinendo le tavole dei grandi autori che arrivavano in redazione e che io e gli altri giovani autori guardavamo con ammirazione: passavano per le mani gli originali dei Maestri, e da quelli si imparava molto, anche solo riempiendo gli spazi tra disegno e balloons lasciati dai disegnatori prima di inserire i testi definitivi.
Il mio esordio in Disney è stato così, senza preconcetti o autori di riferimento, ma partendo proprio dalla vita di redazione.
Mentre iniziavo a realizzare disegni per redazionali, verso gennaio-febbraio del 1992 mi è arrivata la prima sceneggiatura: Topolino e un bosco per amico (di Alessandro Sisti). Da lì sono arrivate le storie speciali scritte da Massimo Marconi, dedicate agli sport e ad altre iniziative particolari, che avevano sempre scadenze molto strette e davano il vantaggio di vedere molto presto il lavoro pubblicato su “Topolino”.
Erano anni in cui facevo tantissime cose in redazione, in cui ho imparato molto, anche se ovviamente rivedendo quelle storie oggigiorno, ci sono molte cose “acerbe” nei miei disegni.
Ci sono capitato per caso. Ero andato a fare delle fotocopie e vedo che nella macchina è rimasto un disegno di Corrado Mastantuono con un Paperinik sui tetti. Allora vado da Ezio Sisto per consegnarglielo e intanto gli chiedo che cos’è: Sisto mi guarda serio, poi chiama Monteduro, e chiusi nel suo ufficio insieme mi spiegarono che stavano lavorando a questo nuovo progetto su Paperinik.
Erano gli anni in cui ero impallinatissimo di Todd McFarlane e nei mesi precedenti ogni volta che incontravo Monteduro se ne parlava, ci si scambiava impressioni sulle novità provenienti da quell’immaginario. Penso che Lyla sia un po’ figlia di quel modo tipicamente Image di intendere i personaggi femminili. Quindi in redazione sapevano che mi piaceva quel genere di fumetto e di visione, e da lì la proposta di far parte del gruppetto che seguiva il progetto.
Nel frattempo, i primi germi dell’esperimento sul personaggio si trovavano sulle copertine del mensile di “Paperinik e altri supereroi”, con l’utilizzo di texture e computer grafica, e già lì ci si confrontava sulle tecniche e sullo stile. Sembrava nell’aria un cambiamento ulteriore per Paperinik, e un altro esempio di questi ragionamenti era la storia Paperinik e la pizza traditrice, disegnata da me e pubblicata proprio sulla raccolta mensile come storia inedita del mese, in cui l’impostazione delle tavole era già pensata in funzione di un “di più”, di una svolta un pochettino più dark per il supereroe.
Pian piano ci si è riuniti e si è iniziato a lavorare al progetto: Alberto Lavoradori iniziava a creare gli Evroniani ispirandosi graficamente ad Alien, Alessandro Sisti pensava al Razziatore e alla sottotrama a lui legata… in quel momento mi sembrava davvero di essere al centro di qualcosa di importante, con la possibilità di godere di una libertà incredibile.
Sto capendo adesso l’importanza che ha avuto PK per me, perché in quegli anni non me ne rendevo conto, avevo 22-23 anni, c’erano lettori più vecchi di me!
Ma ora, vedendo anche nuove generazioni che leggono PK attraverso le ristampe, vedo che funziona ancora benissimo: quando ero piccolo io e quando ero entrato in Disney, c’erano delle storie mitiche, capaci di essere ricordate e apprezzate a distanza di anni, ad esempio La Spada di Ghiaccio di Massimo De Vita, e adesso a 20 anni di distanza si vede che anche noi con PK abbiamo lasciato un segno, in un modo o nell’altro. È stato bello perché ci eravamo dentro e ci siamo divertiti, sarebbe stato stupido lavorare su PK pensando di dover fare qualcosa che dovesse per forza lasciare il segno: forse è anche per questo che è rimasto così tanto nell’immaginario, e probabilmente anche il periodo storico era quello adatto per una cosa del genere.
La storia che più in assoluto mi ha preso tanto tempo è stata la parodia di I Sette Samurai di Akira Kurosawa Topo-San e i guerrieri d’Oriente di Gianfranco Goria.
Ero giovane, avevo visto le tavole dei Maestri all’opera su Grandi Parodie e qualcosa anche degli autori più giovani… avevo anch’io la voglia di fare qualcosa di importante (tutto questo prima di PK).
Quindi quando mi è stato proposto questo progetto, peraltro legato ad un film che è un vero e proprio capolavoro,
Goria mi aveva subissato di documentazione, un sacco di citazioni all’arte giapponese… 66 tavole che ho realizzato in 3 anni, praticamente nei ritagli di tempo, mentre in mezzo disegnavo tutte le storie “normali” come quelle di Marconi con Pippo e lo sport, dove dovevo recuperare tutta la documentazione sulla storia delle varie discipline e sulle loro origini, ed era bello perché si imparava anche cose interessanti. Senza contare che da bambino ero appassionato dei corti animati di Pippo, i cosiddetti “How to…”, quindi era quasi come tornare indietro nel tempo per me.
Poi c’erano le strisce per “Il Sole 24 Ore”, e un’altra storia molto bella era quella sul Centro di Biotecnologie Avanzate di Genova, scritta da Fabio Michelini con il layout di Carpi: Zio Paperone e il cotone biotecnologico. Eravamo andati a Genova per un incontro con i bambini proprio all’Istituto di Ricerca, ed era stato parecchio interessante, anche perché è stata l’occasione per stare fianco a fianco con Carpi dopo un po’ di tempo, cosa che mi ha fatto piacere perché alla fine lo consideravo un po’ come un padre, lui da una parte, Marconi dall’altra.
Diciamo che, come per caso mi sono trovato a lavorare in Disney, per caso mi sono ritrovato con un microfono in mano, a partire da alcuni programmi per Disney Channel che solo nel primo anno da una ospitata di una manciata di puntate sono diventate solo nel primo anno 92 per diventare disegnatore microfonato e ospite fisso per 4 anni consecutivi.
Con “Delitti rock” [1] , per esempio, è andata così:ho ricevuto una telefonata in cui mi chiedevano se conoscessi un disegnatore realistico per realizzare delle illustrazioni che accompagnassero il programma.
Non sapevo esattamente cosa volevano, all’inizio: in realtà quando ho visto fumetti su star della musica scomparse prematuramente, li ho sempre visti un po’ come delle lapidi su carta, un’operazione un po’ fredda.
Lo sforzo per me è stato cercare di fare una cosa più sentita. C’è un senso di disagio nel disegnare la morte di una persona realmente esistita, sapendone tutti i dettagli dalla documentazione storica… è un po’ come essere sulla scena del delitto e questo dà sensazioni strane e forti, l’immedesimazione è tanta.
L’idea è stata raffigurare quelle scene con la visione tipica del periodo in cui sono avvenute: la maggior parte di quegli artisti è morta negli anni ‘60-’70, quindi l’influenza maggiore era quella della psichedelia e delle droghe. L’intuizione è stata quella di usare colori molto acidi e deformare le illustrazioni, in questo modo la base resta realistica ma più che un’immagine diventa quasi una visione onirica, cosa che ho un po’ ripreso da alcuni manga e da prodotti come Animatrix [2] .
La puntata che mi ha dato più “tormento” è stata quella su Luigi Tenco, perché mi ha fatto capire che illustrare una cosa reale implica assumersi delle responsabilità. Mentre tu disegni un personaggio che esprime un concetto,a disegnatore dai implicitamente un giudizio, prendi posizione e dai una visione dei fatti.
Ho capito il potere di cui è dotata un’immagine che rappresenta la realtà.
Un progetto decisamente più leggero, “Il mercante in fiera” di Italia 1, mi ha insegnato altre cose, come lavorare con una tempistica molto più veloce e stringata. Lavorare sui videogiochi invece mi ha dato altro ancora dal punto di vista tecnico, dovendo consegnare agli sviluppatori i disegni dei personaggi, dei vestiti e degli accessori da ogni angolazione, ti costringe a realizzare decine e decine di disegni e bozzetti per ciascun elemento creato.
Vuoi raccontarci cosa ti ha portato a questa scelta, che differenze ci sono rispetto al disegno tradizionale, che strumenti usi con esattezza (nomi, marche se si può, qualche specifica insomma) e quali sono le nuove possibilità che questi strumenti consentono al disegnatore?
L’ultima storia fatta a mano è stata Speed Loop, e già lì ho impostato il concetto dell’uso del digitale per supportare il disegno e la creatività. Ho fatto le matite, le ho inchiostrate e le ho scansionate, e nel montarle applicandoci sopra delle texture stavo già facendo un passaggio verso il disegno digitale. Avevo tentato di far capire le potenzialità del digitale già lì, montando un video con le tavole e con una canzone dei Beastie Boys che calzava a pennello, con una serie di distorsioni ed effetti a ritmo di musica per presentare la serie: erano gli albori dell’intrattenimento su i-pod e non si parlava ancora di fumetto digitale.
La prima storia interamente digitale è Mickey 2.0, un progetto scritto da Tito Faraci che spero tanto possa andare in porto e che mi aveva preso molto tempo, tutto su livelli separati, ambienti, personaggi, oggetti di scena, automezzi, elementi atmosferici…
La forza del digitale sta nella grande libertà di muovere personaggi e fondali come si è sempre fatto in animazione, non ho né abbiamo inventato niente di nuovo in questo senso, il punto importante però sta nel cambiamento di mentalità a livello organizzativo e di gestione delle tavole: il prodotto nato per il digitale deve avere un sbocco ad hoc,
Più recentemente, anche per Pianeta T, ho lavorato molto col digitale: anche se ho avuto lo spazio per fare video e videogiochi, può essere l’embrione per qualcosa di più, per quel qualcosa di nuovo che non c’è ancora stato fino in fondo.
Ogni esperienza comunque è un’occasione per me per imparare cose in più, quindi continuo a lavorare così perché mi serve poter presentare il mio lavoro in un video perché la presentazione così fa più effetto, serve perché ci puoi fare una maglietta perché i livelli con cui disegni un personaggio sono tutti separati e non costa niente prendere un layer e montarlo su una maglietta… ho imparato ad esplodere il lavoro in mille direzioni.
Dovrebbe essere questo il momento in cui Disney e gli altri comincino a ragionare così per rendere giustizia a tutto il lavoro che viene fatto, avendone comunque anche un ritorno interessante ad un costo in proporzione inferiore alla moltitudine di cose realizzabili perché da una storia si può arrivare a tantissime altre derivazioni su piattaforme diverse.
A livello tecnico, come tavoletta uso un modello Bamboo della Wacom, peraltro non troppo grande perché comunque per il movimento che faccio con la mano per disegnare non mi serve una grande superficie avendo bisogno di un area simile a quella delle vignette sulle pagine originali. essere questo il momento in cui Disney e gli altri comincino a ragionare così per rendere giustizia a tutto il lavoro che viene fatto, avendone comunque anche un ritorno interessante ad un costo in proporzione inferiore alla moltitudine di cose realizzabili perché da una storia si può arrivare a tantissime altre derivazioni su piattaforme diverse.
Per quanto riguarda Alyssa, è un progetto incentrato su questo personaggio femminile e parallelo alla mia esistenza ormai da 10 anni. È
Poi sono stato travolto dalle graphic novel dei film Disney, e il progetto è stato un po’ accantonato. Ogni tanto lo ritiravo fuori mettendo delle cose online su MySpace (non c’era ancora Facebook), ma sempre un po’ in sordina.
Nel frattempo, con alcuni amici, abbiamo iniziato ad usarla al di là del fumetto puro, in alcune illustrazioni di moda per Vogue; infine, grazie all’interessamento di un socio di Universum Vitae, la mia società aperta un paio d’anni fa, ci siamo messi in contatto con il Giro Donne (www.girodonne.it) e Alyssa è diventata testimonial del Giro d’Italia Femminile Internazionale per le edizioni 2011 e 2012, e lo sarà anche l’anno prossimo. A questo punto l’idea è di chiudere il primo ciclo di vita del personaggio con un fumetto che sfrutti tutte queste cose che Alyssa ha fatto e per cui si è prestata come una sorta di diario, così che questo passato che le abbiamo costruito sia come un percorso di mollichine di pane che verranno riunite nella storia a fumetti, in cui dirà e farà quello che voglio farle dire e fare e che concettualmente riunisca un po’ tutte le mie esperienze lavorative nei vari ambiti dell’intrattenimento.
Per quanto riguarda le Ugly Duckling, di cui ho realizzato per esempio le 12 illustrazioni che ho iniziato a diffondere nei mesi scorsi: “Ugly Duckling” dovrebbe essere il nome di un locale notturno dove lavorano con il protagonista di questo ulteriore progetto e dove si esibiscono le ragazze, come nel locale “Coyote Ugly” dell’omonimo film.
E’ come se fosse una realtà parallela, dove tutti hanno il becco ma alla fine si tratta di una metafora del nostro mondo, un po’ come I Simpson in cui sono tutti gialli e in quella Springfield passano un sacco di personaggi noti, famosi e famigerati.
L’esercizio è anche provare a trasformare un disegno digitale in qualcosa di tangibile: quindi, come alcune opere che saranno esposte in mostra,
A livello didattico, poi, è un modo di dimostrare le potenzialità esplosive del disegno digitale. Mostrare che con un fumetto si possono generare prodotti, video, intrattenimento, promozione…
Sapendo che quello che emoziona su una tavola può vivere al di là di un rettangolo squadrato a china.
La mostra in realtà non vuole essere un omaggio alla mia carriera, come idea mi è sempre sembrata un po’ esagerata. È in concomitanza con questo traguardo perché lo ritengo importante per me stesso come individuo, ma mi è piaciuto impostarla nel modo più “generale” possibile.
Ho voluto creare una sorta di viaggio nel passato filtrato dalla visione “papera” in cui possa riconoscersi tanta gente, indipendentemente che siano appassionati di fumetto o meno, che mi conoscano o no, ipotizzo un costante aggiornamento delle icone rappresentate, come in un percorso ipoteticamente senza fine.
Oltre a quello, poi, ci saranno come “special guests” le Ugly Duckling, e quindi a quanto detto si affianca tutto il discorso fatto prima sul mostrare le potenzialità del digitale e rendere ancor più interessante l’esposizione. A riprova di questo per ognuna delle 20 illustrazioni ci vedranno anche i passaggi intermedi e i livelli con cui ho realizzato i disegni nel loro complesso, cercando di incuriosire i visitatori con uno sguardo sul dietro le quinte della lavorazione.
Spero che possa essere qualcosa di interessante per tutti.
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