Eppure secondo me sono gli ingredienti chiave per gestire i capricci, la testardaggine, le difficoltà tipiche dei cosiddetti terribili due anni.
Nano dice di se stesso di essere monello.
Forse perché glielo diciamo tutti. La maestra, noi, la nonna, gli amici. In effetti nano non è proprio uno di questi bambini tranquilli che puoi portare a fare una passeggiata (passeggino chiuso in cantina da mesi ormai perché per strada deve essere lui a spingerlo e di sedercisi sopra non se ne parla proprio), che giocano tranquilli da soli. Uno di quei bambini che riconoscono il tuo ruolo e ti ascoltano. Che qualche volta dicono sì.
Nano dice sempre no. Anche quando vorrebbe dire sì.
Mio figlio è un duenne molto “fisico”, corre, si muove, sfoga la sua energia come meglio può, è contrario alla regole: se deve star seduto si alza, se si deve alzare decide di star seduto, vuole fare tutto di testa sua misurando le sue mani e la sua capacità, vuole decidere se uscire o stare a casa, se mangiare oppure no, se andare a dormire oppure no.
Nano si diverte un mondo ad andare al ristorante: inizia a correre dappertutto rompendo le scatole agli altri commensali; gli piace tanto uscire perché corre per la strada e mi fa venire un colpo ogni volta col terrore che venga investito; adora stare con gli altri bambini anche se a volte si azzuffa e sa bene come difendersi; mio figlio sa perfettamente come farmi innervosire, come spingere i miei limiti sempre un o’ più in là.
Come si fa, mi chiede qualcuno? Dopo aver ammesso di essere stanca, fisicamente esausta da questo continuo allenamento fisico e mentale e che a volte, soprattutto la sera, mi scappa un urlo quando devo fronteggiare la sua ennesima provocazione, alla fine confermo che io adoro che lui sia così.
Certo, ogni tanto sogno un bambino tranquillo, che non venga continuamente rimproverato dalle maestre, che non mi faccia fare brutte figure in mezzo alla strada. Ma per la maggior parte delle volte lo guardo e mi sorprendo di quanto noi adulti siamo capaci di incasellare tutta la sua complessità in una definizione (“sei monello”, o peggio “sei cattivo”) invece di accettare che lui è vivo, è raggiante, pieno di vita, curioso, intraprendente, intelligente. E’ un bambino di due anni e mezzo.
Per lui tutto è un gioco. Anche la provocazione è fatta con entusiasmo e con divertimento, vuole vedere fin dove può spingersi e la maggior parte delle volte quando rispondo con leggerezza e ironia o quando gli dico semplicemente che “no, non cambierò idea”, lui si scioglie in un sorriso e si calma.
Leggerezza. Ecco la parola con la quale ho iniziato questo discorso. Quante volte non riesco a gestire il suo capriccio non per la cosa in sé ma perché ho altri pensieri per la testa, altre frustrazioni, altre preoccupazioni? Sfogo su di lui invece di fermarmi, respirare e alleggerire la mente: basta un niente, la leggerezza, appunto, per stemperare il momento difficile.
“Ci vorrebbe mano ferma”, “uno scapaccione ogni tanto”, “ma non lo metti mai in punizione”? Me lo dicono spesso. Non riesco a fare nulla di tutto questo e non perché a volte non mi scappi il desiderio di intervenire più duramente ma perché credo che non sia questa la chiave. Il mio massimo è urlare. Quando sono stanca e avvilita e non ne posso più lancio un grido.
Mi vergogno. E mio figlio si offende. Si zittisce, mi asseconda e poi più tardi, quando meno me lo aspetto, quando tutto è calmo e romantico lui mi guarda negli occhi e dice “mamma tu gridi”.
Sono certa che sia una fase. Passerà e tutto a un tratto il piccolo curiosone, iperattivo, provocatore e divertito duenne mi apparirà davanti agli occhi come un piccolo uomo riflessivo, giudizioso e intelligente. E allora forse ricorderò con tenerezza queste sfiancanti battaglie tra una mamma troppo grande e un figlio troppo immenso.