Anna Lombroso per il Simplicissimus
Per una volta mi viene l’uzzolo di parlare bene del centro sinistra diversamente al governo. Perfino di Penati che come dissero di altri magari è un mariuolo, che però tiene aperta una pagina di Fb piena di contumelie. E di Bersani che grazie a una tradizione di feste dell’unità, salsiccine e fuoco amico, comunque va alle kermesse di partito perché gli pare un dovere un po’ spinoso. Si lo so è pochissimo, a Roma si direbbe che se stamo a consola’ co l’ajetto. Ma è che anche se non si esercita quell’attività di ascolto dei militanti, anche se succede di stare troppo nelle aule grigie piuttosto sorde, c’è nel gene e nell’alimento di chi si è riconosciuto nella sinistra sia pure tra tremende degenerazioni un indefinibile affetto per la gente intorno, quella che si affaccenda, che lavora gratis, che vuole riconoscersi introno a qualcosa di comune.
Si si è poco, ma è qualcosa rispetto a chi ci odia, a chi comunica con noi da tribune elevate e aperte a funzionari e poliziotti, in un vuoto pneumatico prodotto da sistemi di security, in contesti “privati” come alla loro concezione di potere, porte chiuse verso l’esterno e monologhi senza interlocutore. È terribile questa governance a porte chiuse, prodotta da una solitudine e da un soliloquio del governare, voluta, cercata e mantenuta a tutti i costi e mirata all’estinzione definitiva dell’ascolto e all’esaltazione dell’autarchia istituzionale. Interpretata simbolicamente da piromani che ci fanno spegnere incendi planetari con la pistola a acqua, che ostentano serenità di fronte a accuse stringenti che li condannano al disdoro e soprattutto all’estremo ridicolo, premier che fanno proclami dalla chaise longue, su piste pre registrate rivolgendosi a pubblici virtuali di teleutenti dei quali non sanno nulla, ormai nemmeno più i gusti alimentari o le preferenze dell’auditel.
È un mondo di fantasmi intangibili, sospetto, anche dal duomo in miniatura e temo dal nostro rancore, impalpabili come i loro derivati, ma tremendamente rumorosi e capaci di monopolizzare quello spazio virtuale che è diventato il sistema tradizionale dell’informazione e quello immoto e chiuso della politica.
Sposteranno capitali, bandierine su fronti di guerra, righe di documenti. Vorrebbero spostare confini e popoli, rimandandone indietro qualcuno troppo ingombrante per i loro interessi e le nostre coscienze. Piacerebbe loro rimandare indietro anche noi, infilarci nel cono d’ombra della perdita di certezze e di dignità, quello creato da una informazione succube che preferisce il racconto della realtà alla realtà. Sta a noi difenderci dalla loro economia, dalla loro manovra, dalla loro finzione, sta a noi riprenderci il linguaggio e i modi del ragionare insieme e del far sentire le nostre ragioni.