Egli si colloca accanto alla prima cornice e scruta gli astanti a lungo per accertarsi di avere l’attenzione di ciascuno. Quindi si rivolge loro.
“Sono felice che la fama di questi dipinti non vi abbia intimorito. Sebbene i soggetti possano talvolta apparire macabri, la fattura è pur sempre di pregio straordinario. Assodata la bizzarria dei temi, l’estro va decretato ineguagliabile. Permettetemi dunque di guidarvi alla scoperta della collezione Polidori.”
La cornice del primo dipinto è di ulivo. “Esso rappresenta il Barone Polidori che conversa nella sala Corinto della Camera dei Comuni col Ministro dell’Economia. Sul risvolto dell’abito del Barone è appuntata una spilla recante lo stemma della loggia Eridania: un pugnale confitto in un libro che sulla costa riporta un sigillo raffigurante una testa di capra e il motto servum vitii pectus habere.”
La cornice del secondo dipinto è di larice. “Esso rappresenta un candelabro barocco a nove bracci, intorno al cui stelo è avvolto un serpente addormentato. Ciascun braccio, in luogo della consueta candela, sorregge un dito mozzato. Nove indici appartenenti ciascuno alla mano destra di un noto malfattore. Le dita rappresentate hanno partecipato di crimini orrendi, della cui perpetrazione, sotto alcune di quelle unghie, ancora si cela traccia.”
La cornice del terzo dipinto è di palissandro. “Esso rappresenta il Barone Polidori che saluta dalla terrazza del Palazzo Fortuna di Marienbad. Sullo sfondo i giardini Imperiali celebrano la primavera con barocchismi topiari e ardite configurazioni floreali. Le due statue visibili a destra sulla balaustra della terrazza riproducono due menadi intente a banchettare con le membra di Orfeo che ha appena violato la loro danza segreta.”
La cornice del quarto dipinto è di frassino. “Esso rappresenta una ragazza dal volto pervaso di allegrezza aggrappata con una mano a una fune che scende inesplicabilmente dal cielo. Con la mano libera la gaia fanciulla indica la propria gamba sinistra, quasi interamente scomparsa nelle fauci di un pesce che fluttua nell’aria e la cui coda è inghiottita a sua volta da un altro pesce più grande. Un ulteriore pesce la cui mole sovrasta quella dei primi due ha infine inghiottito la coda del precedente. Il grottesco apparato di creature intente a fagocitarsi – la fanciulla e i tre pesci – è sospeso nell’aria e oscilla ritmicamente guidato dagli spasmi degli esseri di cui è composto.”
La cornice del quinto dipinto è di salice. “Esso rappresenta Myriam Polidori dormiente. Appena celate le anche nude dal lembo di un lenzuolo di seta grigia. Ciocche dei suoi capelli incollati dal sudore alla tempia e a una pallida guancia. Accanto al capo della donna, appoggiato sul cuscino, è un chiodo rugginente e contorto, forse divelto a fatica da un legno antico.”
La cornice del sesto dipinto è di radica. “Esso rappresenta un unicorno privo delle zampe posteriori, sostituite mirabilmente da ruote di carro, la propaggine aguzza sulla fronte dell’animale, reso grottesco dalla menomazione, reca, trafitto, un rospo nero che si dimena agonizzante. Cadendo al suolo, il sangue del rospo ha formato uno scarabocchio vagamente somigliante alla testa di una capra e la massima servum vitii pectus habere.”
La cornice del settimo dipinto è di noce. “Esso rappresenta un ricevimento a Palazzo Polidori, per fasto e lignaggio dei partecipanti senza eguali nella volgare epoca cui siamo avvezzi, affatto rassegnati. Su uno dei tavoli destinati al ristoro degli invitati, tra una schiera di pregiati calici veneziani e un assortimento di caraffe in peltro e argento, è collocato un elmo dalla cui celata traboccano uve e altri frutti. Questi beni copiosi, al contrario dei cibi apparecchiati sui tavoli contigui, sono preda di avanzata marciscenza al punto da essere divenuti ricettacolo di mosche e larve indecenti.”
La cornice dell’ottavo dipinto è ricavata dal legno dell’ontano. “Esso raffigura due gemelli siamesi, maschi, le cui nude forme appaiono unite per sempre, l’una all’altra, attraverso le palpebre, lo sterno e i piatti tibiali. Le due aberrazioni sono immobili, in piedi dentro una vasca da bagno vuota smaltata di bianco, posta al centro di un teatro anatomico sui cui scranni appaiono in attesa di un evento imminente sessanta dotti in marsina nera e cappello a cilindro del medesimo colore. In cima alla porta della sala campeggia una pergamena recante la scritta servum vitii pectus habere accanto all’effige di una capra dal corpo sbiadito a causa dell’usura.”
La cornice del nono dipinto è di castagno. “Esso rappresenta il Barone Polidori mentre assapora un calice di Custoza seduto nella penombra della biblioteca. Sullo sfondo una vergine di Norimberga serrata. Due riflessi sul metallo brunito della minacciosa macchina ingannano l’osservatore portato a interpretarne la natura quali occhi arresi dal supplizio.”
La cornice del decimo dipinto è di rame. “Esso mostra la giacca e la camicia sbottonate di Leonardus Kroll, dai cui lembi scostati risulta l’addome del medesimo funzionario della Cancelleria. Un cassetto di mogano intarsiato ne fuoriesce. All’interno del vano le mani dell’uomo traggono decine di piedi di una catena. All’ultima maglia è vincolato un collare che serra la gola di Leonardus Kroll, il cui capo spunta dal cassetto nel proprio ventre mostrando un’espressione per nulla attonita come ci si potrebbe attendere.”
La cornice dell’undicesimo dipinto è di sale. “Esso rappresenta un corteo funebre cui partecipano i congiunti del Barone Polidori, i quali indossano abiti da cerimonia porpora. Il Barone Polidori non risulta della schiera. La bardatura di uno dei sei cavalli che trainano l’argenteo carro funebre porta ricamata in indaco una testa di capra circondata dalla scritta servum vitii pectus habere.”
La cornice del dodicesimo dipinto è di osso. “Esso rappresenta un neonato nudo e sofferente, abbandonato sul marmoreo pavimento a scacchi di un salone patrizio, forse in attesa di soccorso e cure che tuttavia non potranno arrivare. Un leone, un mastino, un mulo e una volpe circondano l’infante. Ciascuna delle quattro bestie ha le ossa del cranio esposte e dalle orbite cave cola latte copioso che si spande al suolo. L’eco di una risata non è suscettibile di rappresentazione pittorica ma, se mai lo fosse, qui spiccherebbe senza dubbio tra gli oggetti rappresentati.”
La cornice del tredicesimo dipinto è di mistura di unghie e siero resi solidi da meticolosa cottura e raffreddamento sorvegliato. “Non si comprende cosa raffiguri. Il soggetto, a seconda di colui che guardi, può apparire simile a uno dei seguenti: a ciò che rimane di un corpo umano quando lo si sia privato della ragione, di abiti decorosi e della mandibola; all’estasi priva di misura e ferocemente immorale; a un simbolo cucito su ogni camicia di uomo e su ogni veste di donna a marcare empietà; a una sola parola di 88 lettere che per i cabalisti significa il diniego del nume; all’aroma tenue della decomposizione; all’autoritratto di un pittore mentre prepara centosessantuno colori con gli umori secreti dal proprio corpo; a una folla ebbra di crimine e metamorfosi un solo giorno ogni cento; a una camera triangolare con una porta al centro di ogni parete per accedere a uno dei tre regni, ma senza indicazione di quale si tratti; a un volto sul quale disputano due espressioni, l’ira a sinistra e la fiera a destra; a diciannove uomini e una iena che osano un sabba.”
L’ultimo dipinto non possiede cornice ed è incompiuto. “Si dice questa cornice sia stata forgiata nel ghiaccio delle lacrime di Myriam Polidori, la creatura più innocente che l’Acheronte abbia mai ghermito. È un ritratto. Il volto che vi appare manca di definizione, ma quanto dei suoi tratti si intuisce impone di dubitare che legge, ravvedimento o dio stesso – se voltasse mai il capo verso il mondo, quando questo grida – possano fermare tutto questo.”
Quanto rimane della collezione Polidori è di fronte a voi. Quanto le cornici contennero fu venduto dai tutori una volta internato il Barone o trafugato, non senza un certo diritto, da membri della servitù in credito nei suoi confronti di somme rilevanti. Egli rammenta ogni dettaglio e non trascurerà di illustrarne significato e forma a quanti vorranno esserne intrattenuti. Sino all’estinzione del suo essere o del residuo di senno che ritiene di ospitare, quantunque non vi sia medico che saprebbe o vorrebbe dargliene atto.