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Montenegro: il rischioso lavoro dei giornalisti scomodi

Creato il 13 gennaio 2014 da Pasudest

MONTENEGRO: IL RISCHIOSO LAVORO DEI GIORNALISTI SCOMODI

L'attentato alla sede del giornale Vijesti (Reuters)

Lo scorso 18 dicembre l'Unione Europea ha aperto con il Montenegro due dossier cruciali del processo di adesione, cioè quelli su giustizia e diritti fondamentali. Il commissario europeo all'Allargamento, Stefan Fuele ha parlato di "una pietra miliare" del percorso di integrazione, sottolineando che il governo di Podgorica "ha mostrato impegno e determinazione nel campo delle riforme" e ricordando che Bruxelles attende "che il piano d'azione" su giustizia e diritti fondamentali "venga attuato nei tempi previsti" e che i progressi "saranno monitorati da vicino". Lo stesso giorno sono stati aperti anche i capitoli relativi a appalti pubblici, diritto societario, politica industriale e delle imprese. Intanto però, nello stesso Montenegro che prosegue spedito il suo processo di integrazione europea, fare inchieste su corruzione, narcotraffico e riciclaggio può risultare molto pericoloso per i giornalisti che cercano di raccontare verità scomode sgradite al potere. Lo racconta Matteo Tacconi in un articolo uscito giovedì scorso 9 gennaio sul Manifesto che riporto qui sotto.
Giornalisti montenegrini sotto tiro
Anche venerdì scorso, come ogni altra sera, Lidija Nik­ce­vic ha atteso la chiu­sura del gior­nale. Poi è uscita dall’ufficio per tor­nare a casa. Pec­cato che al suo appar­ta­mento non ci sia pro­prio arri­vata. Degli uomini incap­puc­ciati le si sono fatti incon­tro e l’hanno col­pita senza sconti. Bran­di­vano mazze da base­ball. La cro­ni­sta ha rime­diato severe con­tu­sioni ed è stata rico­ve­rata all’ospedale di Nik­sic. È la seconda città del Mon­te­ne­gro. È lì che Lidija Nik­ce­vic lavora. È in forza al dorso locale di Dan, quo­ti­diano un tempo for­te­mente legato alla fazione pro-Belgrado e da sem­pre molto cri­tico verso il sistema di potere, più che ven­ten­nale, for­giato e con­trol­lato dal primo mini­stro Milo Djukanovic.
Il pestag­gio di Lidija Nik­ce­vic è già di per sé un brutto epi­so­dio, ma diventa ancor più pre­oc­cu­pante se inqua­drato in un com­plesso gene­rale di attac­chi alla stampa e alla libertà di stampa, quale quello mon­te­ne­grino. Nel pic­colo paese adria­tico fare inchie­ste e rac­con­tare verità sco­mode su cor­ru­zione, traf­fici nar­co­tici, rici­clag­gio può essere molto peri­co­loso. Lo dimo­stra un lungo back­ground di inti­mi­da­zioni che, come un otto­vo­lante, regi­stra pic­chi improvvisi.
Pro­prio recen­te­mente s’è assi­stito a un’impennata. Prima delle botte subite da Lidija Nik­ce­vic c’era stata a fine dicem­bre l’esplosione di un ordi­gno di fronte alla sede cen­trale, nella capi­tale Pod­go­rica, del quo­ti­diano Vije­sti, anch’esso non affatto tenero con­tro il potere, ma por­ta­tore di approcci diversi rispetto a Dan (nel 2006 Vije­sti sostenne l’indipendenza refe­ren­da­ria dalla Ser­bia). In ago­sto, invece, una bomba era scop­piata nella città di Berane, di fronte all’abitazione del gior­na­li­sta Tufik Sof­tic, noto per i suoi arti­coli sulla cri­mi­na­lità orga­niz­zata, col­la­bo­ra­tore di Vije­sti e del set­ti­ma­nale Moni­tor, altra testata che non lesina cri­ti­che a Djukanovic.
Sof­tic, tra l’altro, era già stato vit­tima di un’aggressione nel 2007. In quello stesso anno anche Zel­jko Iva­no­vic, all’epoca e ancora oggi diret­tore di Vije­sti, era stato pestato. Andando ancora a ritroso si arriva al 2004, l’anno dell’omicidio di Dusko Jova­no­vic. Diri­geva Dan. Fu assas­si­nato a Podgorica.
L’impressione è che ci sia una sorta di filo rosso che tiene legati tutti que­sti fatti. Il punto è che, sep­pure da posi­zioni diverse, Vije­sti, Moni­torDan si oppon­gono a Dju­ka­no­vic e nel corso degli anni hanno denun­ciato la col­lu­sione poli­tica e cri­mi­na­lità orga­niz­zata. Fac­cenda che pro­duce un’eco anche al di fuori del tra­di­zio­nale stec­cato della poli­tica mon­te­ne­grina. L’Unione euro­pea ha più volte chie­sto alle auto­rità di Pod­go­rica, che hanno aperto i nego­ziati d’accesso nel 2012, di impe­gnarsi mag­gior­mente su que­sto fronte. Lo stesso Milo Dju­ka­no­vic, seb­bene senza alcuna con­se­guenza penale, è stato a lungo chia­mato in causa dalla pro­cura ita­liana di Bari in merito al traf­fico di siga­rette nell’Adriatico che si svi­luppò – così hanno rive­lato le inchie­ste – sull’asse Puglia-Montenegro gli anni ’90.
Ora, volendo tagliare corto, ci si chiede se que­sti attac­chi a gior­nali e gior­na­li­sti non alli­neati siano ricon­du­ci­bili pro­prio a que­sti sce­nari sci­vo­losi. Secondo i diret­tori di Vije­stiDan sì. Il primo, Zel­jko Iva­no­vic, ha detto nei giorni scorsi che que­sti sono i risul­tati «di anni di cam­pa­gne del primo mini­stro, del suo governo, della sua for­ma­zione poli­tica (Par­tito demo­cra­tico dei socia­li­sti) e della mafia con­tro i media indi­pen­denti». Men­tre il secondo, Nikola Mar­ko­vic, ha spie­gato che fin­tanto che le auto­rità non tro­ve­ranno i respon­sa­bili del pestag­gio di Lidija Nik­ce­vic e di altri casi simili, la colpa rica­drà sul governo. Che da parte sua respinge però ogni accusa.
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Sul Montenegro ricordo il settimo Speciale di Passaggio a Sud Est prodotto nell'ambito del progetto europeo "Racconta l'Europa all'Europa", promosso da Osservatorio Balcani e Caucaso. 
Famoso per le sue bellezze naturali, negli ultimi anni il Paese è divenuto terra di conquista della speculazione turistico-edilizia e di lucrosi e non troppo chiari affari nel settore energetico, con l'Italia in prima fila. Un Paese governato da oltre venti anni dalla stessa persona, Milo Djukanovic, diventato ricchissimo in poco tempo (grazie, secondo i detrattori e alcune inchieste giudiziarie italiane, al contrabbando di sigarette) e che ha costruito un capillare sistema di potere politico-economico. In trasmissione erano intervenuti Nela Lazarevic, corrispondente del quotidiano Vijesti e del portale Birn, Luca Lietti, responsabile area sviluppo dell'associazione "Trentino Balcani", Vanja Calovic, direttrice dell'ong Mans, intervistata da Francesco Martino di Osservatorio Balcani e Caucaso.

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