Il governo del Montenegro, nell’ambito dei negoziati che stanno portando il paese balcanico ad aderire alla Nato, ha deciso di modificare la legislazione in fatto di difesa, rendendo obbligatorio per i propri militari la partecipazione ad eventuali missioni all’estero, sotto l’egida dell’Alleanza Atlantica, nel caso sia loro richiesto dai propri superiori.
Con questa decisione, l’esecutivo filo occidentale del premier Milo Đukanović, nonostante le forti opposizioni interne, punta ad apporre un altro sigillo alla decisione di integrare la nazione nell’organizzazione atlantista.
Fino ad ora infatti il servizio militare all’estero in missioni Nato era solo su base volontaria, rendendo il numero di soldati disponibili praticamente nullo, con questa nuova legge viene quindi abolita la possibilità di opporsi ad una eventuale chiamata, una scelta che ha scatenato un’ondata di polemiche, le quali vanno ad aggiungersi alle proteste di piazza dei giorni scorsi.
Una larga parte della popolazione, soprattutto quella di etnia serba, memore dei bombardamenti degli aerei dell’Alleanza Atlantica contro Belgrado durate la guerra in Kosovo, è contraria a questa direzione filo-Nato imposta al paese da Đukanović, tanto che nel referendum, tenutosi nel 2009 proprio a riguardo di questo tema, a fronte di moltissimi indecisi e di un 31% di favorevoli, ben il 44% dei votanti ha espresso un’opinione contraria.
Questa scelta, che rappresenterebbe un’interruzione dei rapporti con l’alleato russo, è inoltre considerata una minaccia agli interessi nazionali del Montenegro, sia sul piano politico che economico: stare con la Nato significherebbe infatti perdere la propria terzietà nell’ambito della crisi tra Mosca ed occidente scatenata dalla questione Ucraina e schierarsi contro il Cremlino, che spesso si è invece rivelato un partner commerciale ed un valido appoggio in sede internazionale.
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