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«Devono competere ma senza spirito distruttivo. L'alleanza di riformismi diversi è necessaria proprio per isolare suggestioni populiste. Naturalmente, spero che questo avvenga con un grande risultato elettorale del Pd. E sono tra quelli che pensano che se il bipolarismo italiano in futuro verrà interpretato, nell'altra parte del campo, da un soggetto più di tipo europeo sarà un bene per tutti».
Come si conduce una campagna non bellicosa? Monti è arrivato a dire basta allo schema destra - sinistra.
«Serve un grado elevato di senso di responsabilità. Da una parte è sbagliato parlare di Monti come espressione del Rotary o di una " democristianeria da Grande oriente d'Italia". Dall'altra il premier commette un errore alimentando una specie di equidistanza tra destra e sinistra che non è giusta storicamente e neanche nell'attualità visto che è stato il Pdl a sottrarre il sostegno al suo governo. L'equilibrio è affidato alle parole di tutti. La campagna deve essere affrontata con la necessaria intelligenza politica, cosa che Bersani mi pare stia facendo, altrimenti il pericolo è che il Paese resti fermo e lo stallo equivale oggi a una caduta».
Sono condivisibili le paure del Financial Times di un Pd spostato troppo a sinistra?
«Se il partito avrà il profilo riformista del quale abbiamo parlato, queste paure si riveleranno immotivate. Però bisogna stare attenti. Noi recuperammo quasi 10 punti nel 2008, e Dio solo sa con quanta fatica, attraverso la capacità di parlare all'intero Paese. Occorre assolutamente evitare un messaggio che arrivi solo alla propria gente. Anche perché, per un partito come il Pd, il "proprio popolo" è il popolo italiano. Significa parlare anche agli elettori di Berlusconi. Da Santoro il Cavaliere ha chiesto al pubblico "pensate siano dei coglioni i milioni di italiani che hanno votato per me?". Il pubblico ha risposto di sì. E' la risposta che lui sperava. Non possiamo consentire che l'astensionismo prodotto dalla crisi drammatica della destra sia rimotivato da un sussulto di orgoglio e identità».
Ma gli italiani potranno considerare Berlusconi ancora un innovatore?
«Sarebbe paradossale. È un conservatore populista che da tempo ha gettato la maschera. Però non gli si può lasciare il tema del rinnovamento delle istituzioni. Lui è stato l'ostacolo a ogni tipo di riforma. Che tutto resti com'è, rappresenta la condizione essenziale della sua sopravvivenza. Il tema istituzionale lo dobbiamo porre noi del centrosinistra: un governo che decida di più, un parlamento che svolga più controllo e meno cogestione, un rapporto più lieve tra politica e società. Una democrazia che non decide è destinata ad andare in crisi. L'Italia ha bisogno di vero riformismo, che non è moderatismo. Semmai il contrario. L'obiettivo non può essere resistere ma rischiare e innovare. E poi, non mi pare che la politica capisca qual è la precondizione di ogni possibile ripresa italiana: dichiarare la guerra totale alle mafie e alla corruzione. E vincerla».
A chi tocca questo compito?
«In primo luogo al centrosinistra. Ma penso che Monti non possa diventare oggetto di un attacco concentrico di destra e sinistra in campagna elettorale. Sta scritto nella carta d'intenti, del resto. Non per arrivare a grandi coalizioni che per me sono un patologia, sia chiaro. Penso a un'alleanza di riformismi diversi».
È il momento di chiederle che farà in futuro.
«Sono stato segretario del Pd. L'ho fondato, l'ho portato a un risultato significativo in condizioni difficili. Mi sono dimesso dopo elezioni regionali che diedero un esito non diverso da al- tre tornate elettorali e da allora non ho alcun incarico. Ho dato lo stesso il mio contributo e continuo a farlo. Non ho smesso di fare politica. Con grande amore per il Pd, per il riformismo e per questo Paese».
Sa che si parla di lei come possibile ministro?
«Basta. Smettiamo di parlare di chi sarà ministro. Dobbiamo prima cercare di vincere. Poi, con tutta l'intelligenza politica necessaria, immaginiamo il dopo per non far cadere il Paese nel demone che lo ha imprigionato per vent'anni: il combinato disposto di conservatorismo e populismo».
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