Monti: la migliore opzione politica, nonostante tutto

Creato il 18 giugno 2012 da David Incamicia @FuoriOndaBlog


Europa e crisi finanziaria, crescita e nuove generazioni, giustizia ed etica pubblica: intervistato sabato scorso a Bologna da Eugenio Scalfari ed Ezio Mauro in occasione della rassegna la Repubblica delle Idee, il premier Mario Monti ha affrontato con la solita schiettezza e senza perdersi come i suoi predecessori in inutili esercizi di propaganda le questioni più urgenti dell'attualità economica e sociale, dimostrando una volta di più che nonostante la politica ufficiale cerchi disperatamente una via d'uscita dal grave deficit di credibilità che l'ha colpita negli ultimi mesi, lui resta ancora l'opzione più credibile in campo. Anche per il futuro.
L'esito del voto greco di riparazione di domenica, tra l'altro, che ha sorpreso tutta l'Europa di buon senso dopo averla tenuta col fiato sospeso per il rischio che risultasse vincitore il movimento di estrema sinistra Syriza, fortunatamente sconfitto da Nuova Democrazia che potrà formare un governo europeista assieme ai Socialisti in grado, si spera, di scongiurare l'uscita ellenica dalla moneta unica, rafforza ulteriormente proprio la posizione del nostro premier in un contesto di crisi che ha bisogno di persone insieme capaci e responsabili e non di spinti demagoghi pronti a cavalcare il malcontento dei cittadini.
E' un altro buon tassello, quindi, che va a inserirsi dentro il difficile mosaico geopolitico continentale dopo il trionfo di Hollande in Francia, che oggi rappresenta una sponda autorevole per l'Italia nel tentativo di ammorbidire la linea iper rigorista tedesca e di promuovere efficaci politiche di sviluppo utili a ridare ossigeno vitale alle economie dei Paesi del Mediterraneo maggiormente esposte ai nefasti influssi recessivi. Anzi, si può azzardare che dallo scorso autunno l'esperienza del governo Monti, che è definito tecnico per comodità di sintesi ma che pare animato da un orizzonte riformatore autenticamente politico, è diventato quasi un modello virtuoso da importare anche da parte di altre realtà più o meno solide finanziariamente del vecchio continente.
Del resto, il fatto che una società come quella italiana viziata dai fasti della prima Repubblica e dilaniata dalla cativa politica della seconda, col colpo di grazia inflitto durante il decennale malgoverno del berlusconismo, sia riuscita contro ogni pronostico e col tifo avverso della speculazione internazionale a risalire la china nel giro di pochi mesi ha qualcosa di miracoloso. Mario Monti, fra mille difficoltà e ostacoli, ha in effetti dato nuovamente slancio al Paese al punto da fargli riguadagnare fiducia nel mondo.
Certo, come egli stesso ha ammesso nel corso dell'intervista di Scalfari e Mauro, pur nell'orgogliosa difesa dell'azione svolta dal suo esecutivo non sono mancati e tuttora non mancano momenti di tensione dentro il governo e fra quest'ultimo e la "strana maggioranza" che lo sostiene. Con Pd e Pdl, in particolare, entrambi legati a una forte e consolidata rappresentanza d'interessi (col sindacalismo di riferimento nel primo caso e per i noti affari personali del capo nel secondo), il rapporto è stato sempre di amore-odio.
Senza dimenticare i delicatissimi equilibri esterni da non incrinare nelle relazioni con la Germania, abituale pretesto per facili e spesso gratuite incomprensioni interne, che più di altri Paesi ha motivo di pretendere comportamenti responsabili in materia economica e di bilancio dai propri partners. Ed è proprio in riferimento a questa esigenza che il premier Monti, iniziando a rispondere alle domande dell'evento bolognese organizzato da Repubblica, si è lasciato sfuggire una battuta degna del miglior Andreotti, strappando alla platea il primo di tanti applausi: "Merkel dice che l'Italia ce la farà, ma l'Italia ce la farà non perché lo dice Merkel".
Monti ha anche confermato, con le sue parole pronunciate a Bologna, di essere attento innanzitutto all'avvenire nazionale nel quadro della costruzione europea ribadendo che "se l'Italia si trova in questa situazione di difficoltà è perché in passato ha pensato poco al futuro". L'ennesima stoccata alla politica dei partiti che ha per decenni badato solo alla conservazione dei consensi senza preoccuparsi di investire, di riformare e di far crescere il Paese. Oggi, ha invece rimarcato il premier, "il governo si sta impegnando moltissimo perché la politica europea, col contributo dell'Italia, si orienti di più alla crescita".
E lo fa, ha spiegato Monti, non perché l'Italia è un Paese socialmente ed economicamente più debole di altri o solo perché le proprie imprese soffrono la crisi più che all'estero, ma in quanto, rispetto ad altre realtà europee, il nostro sistema nazionale si è sempre accontentato irresponsabilmente di curarsi del presente conservando e rafforzando privilegi precostituiti da cui le nuove generazioni sono state sitematicamente escluse. Una piaga sociale, forse la più acuta e pericolosa, per rimuovere la quale occorre compiere ogni sforzo possibile.
Solo a novembre scorso, ha ricordato Monti, per la pessima consuetudine della politica di non assumersi responsabilità dinanzi alle emergenze abbiamo rischiato la bancarotta con effetti sociali che si sarebbero rivelati ben più drammatici di quelli pure importanti prodotti dalle successive riforme del suo governo, che come ogni riforma non potevano essere a costo zero. Già allora si parlava per l'Italia di contagio greco, con forti pressioni affinché, proprio come nel caso ellenico, si invocassero aiuti economici esterni che avrebbero rappresentato la vera perdita di sovranità dell'Italia. Per questo Monti, approfittando dell'occasione fornitagli da Repubblica, ha rivendicato orgogliosamente l'ostinazione con la quale ha preferito, tentando di porre rimedio alle inadempienze dei passati governi,"chiedere uno sforzo in più agli italiani piuttosto che finire sotto il tallone della Trojka".
La fermezza e la decisione del presidente del Consiglio sono venute fuori anche quando si è trattato di difendere i suoi ministri dall'obiezione che le sortite di alcuni di essi, peraltro non negate, hanno non di rado compromesso il sereno prosieguo dell'azione di governo e i già difficili rapporti con il parlamento e la parti sociali. Ma il premier, che non ha nemmeno negato la necessità di ulteriori interventi risolutivi del governo come, ad esempio, nel caso degli esodati, ha comunque puntualizzato che certe difficoltà operative non possono inficiare le eccellenti riforme fin qui portate avanti proprio dalla ministra più discussa dell'esecutivo, Elsa Fornero, come quella epocale delle pensoini e l'altra ancora in itinere e attesissima in Europa del mercato del lavoro.
Se i temi sociali hanno toccato e toccano maggiormente la sensibilità del Pd, un altro versante caldo è quello della giustizia, la cui ipotesi di riforma è vista con sospetto dal Pdl sempre costretto a fare i conti con le situazioni giudiziarie particolari di Silvio Berlusconi. E alla domanda specifica di Scalfari sul decreto anticorruzione appena varato alla Camera, ma che rischia di impantanarsi al Senato proprio per le resistenze del Pdl, Monti ha risposto ricorrendo alla fredda e sottile tattica a riprova che è molto dura riuscire a prenderlo per il naso: "E' evidente che la domanda non è rivolta a me... Noi il tema della lotta alla corruzione lo abbiamo messo nel programma di governo e vogliamo che il provvedimento diventi legge".
Insomma, se proprio i partiti che sostengono il governo sotto sotto pensano di sbarazzarsi presto di quello che considerano un ingombro non legittimato dal voto popolare, ma non per questo illegittimo stando alla nostra Costituzione e allo scadimento morale delle attuali Camere, che almeno si sforzino di scegliere ragioni che abbiano qualche minima speranza di far presa sull'opinione pubblica.
Ed è un invito che dovrebbe essere raccolto pure dallo stesso Pd, che già vede materializzarsi, fra qualche settimana o fra un anno, l'illusione di una facile cavalcata del proprio segretario Bersani verso Palazzo Chigi e che concentra i suoi periodici disappunti verso l'operato del governo prendendo di mira "Elsa la tosta", come viene definita la ministra Fornero da alcuni giornali, che però a dispetto dell'ostilità dei sindacati è indicata da tutti i sondaggi come la terza personalità politica più apprezzata dai cittadini (dopo Monti stesso e il collega Passera e prima di Montezemolo).
A tal proposito, è assolutamente da leggere e comprendere l'ultima mappa sociologica di Ilvo Diamanti sulla crisi dei partiti e i due volti del post-berlusconismo: il grillismo e, per l'appunto, il montismo. Fenomeni che l'analista riconduce entrambi alla medesima categoria dell'antipolitica, da intendersi come voglia dei cittadini di maggiore partecipazione alla vita pubblica o più semplicemente di affidarsi a nuovi modelli di buon governo capaci di rompere con le deleterie abitudini del passato.
Monti e Grillo, dunque, e non i partiti tradizionali riveduti e corretti col trucco dai soliti protagonisti con alle spalle venti o addirittura trent'anni di carriera, sono oggi gli unici due scenari "di sostanza" che si aprono davanti agli elettori e che possono coprire, nel segno del reale rinnovamento, il vuoto di rappresentanza lasciato da un ceto politico che in ogni rilevazione continua a valere appena il 2/3% dell'apprezzamento popolare. A fronte di un Movimento 5 Stelle che è lievitato fino a circa il 20% di potenziali consensi e di un premier la cui azione registra stabilmente non meno del 40% del gradimento dei cittadini.
Tuttavia, come dimostra il voto greco di domenica scorsa, malgrado la potenza della Rete e la sua grande capacità di creare opinione, e malgrado il dinamismo di certi movimenti spontanei sorti dal basso, negli appuntamenti che contano davvero è il concreto sentimento della società reale a decidere. E di solito, in presenza di opzioni politiche affidabili e in grado di governare non c'è velleitarismo che regga: gli elettori fanno sempre i propri interessi.
In quest'ottica, l'auspicio più che giustificato di tantissimi italiani è che l'ottimo lavoro del governo Monti non resti solo una parentesi destinata ad essere soppiantata e travolta dal ritorno della partitocrazia famelica o, peggio ancora, da forme pur simpatiche ma improduttive di populismo, bensì si trasformi in una vera e propria piattaforma politica seria, responsabile e riformatrice. Magari anche per iniziativa di attori diversi da Monti se quest'ultimo deciderà davvero di uscire di scena.
Intervista a Monti - Prima parte
Intervista a Monti - Seconda parte


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