Pessima figura del premier che, inquadrato dalla regia internazionale, schiude appena le labbra mentre gli Azzurri cantano a squarciagola l’inno nazionale. E’ la dimensione di una distanza dal popolo incolmabile, che si riflette in un’attività politica inetta e piena di falle…
C’è chi lo ha soprannominato “Robot”, creando fotomontaggi che lo ritraggono in una Terminator-attire che è tutta un programma, chi lo sfotte dicendo che il suo inno nazionale è una via di mezzo tra il rumore di un modem e il jingle d’attesa al telefono, quando chiami Goldman Sachs. Un uomo che non tradisce emozioni, i maligni dicono che neanche sudi, tanto distante dagli eventi quanto dalla realtà di un paese che rischia di affondare, lasciato alla deriva da una classe dirigente di predatori che ha divorato le linfe vitali di una società ormai cronicamente sfiduciata.
Mario Monti va a Kiev, siede nel palco delle autorità, accanto a Michel Platini. La banda e il coro iniziano ad intonare l’inno di Mameli. Monti accenna un timido canto, durato il tempo di un sussurro. Poi, il silenzio, non quello di ordinanza, purtroppo. Soltanto un laconico, imbarazzante, interminabile silenzio.Roba da spagnoli insomma, che nella loro “Marcha Real” rimangono in silenzio solo perché l’inno non ha un testo ufficiale.La partita finisce, vincono i migliori e in Italia oggi facciamo i conti con i soliti disastri, tra cui l’addizionale Irpef all’aliquota massima in oltre cinquanta città (portafogli sempre più vuoti…) e i nonni alle prese col conto corrente per riscuotere la pensione, tralasciamo i guai di Passera col fisco e la falsa spending review che non può ritoccare le rendite della Cancellieri o di Polillo (sì, quello che diceva di rinunciare ad una settimana di ferie l’anno per spingere sulla ripresa…).La figuraccia di Monti è stucchevole, traccia una linea di demarcazione profonda tra una comunità nazionale, che ha la colpa di riscoprirsi tale soltanto in occasione delle partite dell’Italia, ed una casta/classe dirigente che non può venire a capo dei problemi del paese di cui non fa parte. Anche le interviste del post partita non lasciano campo ad equivoci di sorta: Monti era a Kiev (secondo alcuni per portare sfiga…) ma con la testa vagava chissà dove. Magari tra Bruxelles e Wall Street, o forse stava calcolando le prossime aliquote per questa e quella tassa, da applicare rigorosamente ai poveri: perché hanno poco (pochissimo oggi) ma sono tanti.
Forse è il segnale inequivocabile del fatto che superMario non è italiano, ma cittadino del mondo. Del mondo finanziario, ovviamente…
Pare che si sia seduto accanto all’ex numero dieci della nazionale francese e della Juventus proprio perché non è avvezzo alla barbarie calcistica, ed in occasione del tiro di Di Natale abbia chiesto al pallone d’Oro perché tra i ventidue in campo ce ne fossero due che indossavano guanti e magliette colorate (è una battuta, non prendeteci troppo sul serio!).
Singolare la difesa tentata dal premier, che si appella alle immagini da cui si vede che canta, dice. Basta guardare il filmato, da cui si evince che Monti dice (forse!) la parola “chioma”. Sembra uno di quei fedeli che vanno in chiesa e fanno finta di rispondere alle chiamate del sacerdote durante la Santa Messa.
Nulla di particolarmente grave, sia chiaro: non siamo di quelli che “non canti l’inno, non meriti la maglia”, anche perché Monti, la maglia non la meriterebbe neanche se avesse cantato a squarciagola l’inno dell’Afghanistan.
E forse, in fondo, nemmeno ce lo saremmo aspettati un bocconiano che canta “Fratelli d’Italia”.