Anna Lombroso per il Simplicissimus
In tempi che sembrano lontanissimi anche questo Paese espresse menti fertili, laiche, apocalittiche rispetto al pensiero comune, mosse dall’imperativo categorico di ubbidire a una legge morale riconducibile a principi di autodeterminazione, affrancamento dallo sfruttamento, libertà delle persona e del pensiero e responsabilità. Nel caso in oggetto l’imperativo categorico di Kant fu oggetto di un esame che fece capire ai professori dell’Università di Pavia di trovarsi di fronte a un ingegno molto speciale e innovatore e non si stupirono quando quel giovanotto con una faccia bizzarra ornata da una barbetta mefistofelica, si laureò peraltro in legge, con una tesi sul concetto di libertà nel pensiero marxista, solo due anni prima di essere avviato al confino a Ponza, nel 1928, dove ebbe modo di prepararsi alla laurea in filosofia, approfittando, diceva sorridendo “del molto tempo libero”.
Parlo del troppo dimenticato Lelio Basso, che, quando si appartò dalla politica attiva, motivò il dolente distacco con una frase dell’amatissima Rosa Luxemburg «Abbiamo prima di tutto enormemente da studiare», che divenne motto della sua rivista e che stava a significare che gli anni apparentemente perduti dovevano servire a superare il ritardo nell’elaborazione teorica e nelle analisi concrete di un’alternativa al modello di sviluppo neocapitalistico. E si capisce perché la sua è una personalità trascurata, la raccomandazione rivolta a se stesso e alla sinistra riformista oggi assume il tono di un fastidioso monito che affiora come un eco dal passato, arcaico e tedioso per un dinamico ceto che sa stare solo al governo in modo da perpetuare le sue aberranti forme di partito e le ormai insostituibili rendite di posizione.
Ma anche a cavallo degli anni ’50 e ’60 il suo richiamo alla necessità irrinunciabile di creare l’impalcatura ideale, analitica e creativa, per un “altro” sistema si scontrò, proprio come succede oggi ai pochi che ne parlano e ne scrivono, con il muro impenetrabile di un pragmatismo scettico, ottuso e rinunciatario, persuaso dell’implacabilità e ineluttabilità del profitto e della desiderabilità di un mondo dominato dal mercato. Allora in fase di costruzione del primo centro sinistra scrisse un libriccino quanto mai attuale: l’alternativa democratica e il tranviere. Il tram era quello che voleva prendere un partito socialista pronto a affiancarsi da partner minoritario alla onnipotente DC e il tranviere era un Nenni che pretendeva di non essere disturbato mentre guidava la transizione dall’opposizione al governo.
Eccome se era profetico Basso con quel libriccino che fece circolare per tutta Italia e che divenne terreno di uno scontro drammatico. Ma a distanza di quasi cinquant’anni dal primo centro sinistra tocca guardare a quell’esperienza come all’età di Pericle, non solo perché le dobbiamo un processo inverso a quello che oggi ha avviato l’ideologia dominante con la nazionalizzazione dell’energia elettrica. Non solo perché comunque si crearono le condizioni politiche per fondamentali conquiste dei lavoratori, lente ma formidabili, che oggi sono state annientate con una protervia distruttrice. Non solo perché comunque prese le mosse una crescita disuguale geograficamente e non certo equilibrata socialmente, ma che insieme a fenomeni che poi ebbero un andamento distorcente, favorì creatività, ricerca, tecnologia, istruzione, insomma, civilizzazione.
Ma questo avveniva quando il capitalismo era costretto a fare i conti con Stati che conservavano la sovranità, con classi e movimenti non ancora ammutoliti, con partiti che nel bene e nel male rappresentavano il ceto lavoratore, con una stampa non del tutto tacitata, con un’èlite culturale non ancora messa in gabbia a cantare per l’imperatore.
Mentre da un anno sembra che nessuno voglia disturbare il tranviere alla guida di un tram dentro a quel tunnel maledetto come il suo governo, secondo la sua stessa formula, in fondo alla quale l’unica luce che si vede è quella di un tram in senso contrario o delle fiamme infernali.
Eppure più che parlargli gentilmente dovremmo togliergli il volante dalle mani: il numero dei disoccupati si è accresciuto del 40%, cioè di oltre 750.000 unità. Il 60% sono persone che hanno perso la precedente occupazione. Nel secondo trimestre 2012, gli occupati a tempo pieno sono risultati inferiori di 439.000 unità rispetto allo stesso trimestre dello scorso anno, sostituiti, secondo l’ISTAT, da circa 391.000 occupati a tempo parziale (in grande misura involontariamente). Nello stesso periodo, il numero degli occupati dell’industria in senso stretto ha registrato un calo di oltre 100.000 unità, concentrato nelle imprese di medio-grande dimensione. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni sale dal 27,4% (II trimestre 2011) al 33,9%, con un picco del 48% per le giovani donne del Mezzogiorno. Nel II trimestre 2012 il PIL è diminuito del 2,6% rispetto al II trimestre 2011. La spesa delle famiglie (in termini reali) si è ridotta del 3,7%. Gli investimenti fissi lordi si sono ridotti del 9%. Il valore aggiunto dell’industria è caduto del 6% (-5,6% industria in senso stretto, -6,5% le costruzioni). Anche i servizi (commercio, alberghi ecc.) si riducono (-3%), solo credito, attività di intermediazione immobiliare e servizi professionali registrano una crescita modesta. Un confronto fra gli stessi trimestri per la spesa pubblica mostra che nel complesso le uscite sono aumentate di 1,3%, ma si sono ridotti (-1,7%) i redditi dei dipendenti pubblici e le uscite in conto capitale (-11%).
Quasi l’intero aumento della spesa pubblica è attribuibile ad un aumento (12%) del pagamento per interessi sul debito pubblico. Per non parlare della cosiddetta “Legge di Stabilità”, che prevede (ma il dispositivo continua a cambiare di giorno in giorno) un aumento dell’IVA, un aggravio di più di 6 miliardi di euro su base annua, che viene però presentato dal governo come una riduzione, perché la legislazione varata dallo stesso Monti prevedeva che l’IVA nel luglio 2013 aumentasse di due punti percentuali (uno dei quali per il solo secondo semestre 2013). Come a dire che il governo avesse in precedenza deciso che l’IVA aumentasse di 20 punti dal luglio 2013 oggi potrebbe venire a raccontarci del suo successo: una riduzione di 19 punti!
E per non dire della “riforma” pensionistica, di esodati “innumerevoli”, perché il governo non li saprebbe, o non vuole, contarli. E che dire dello stravolgimento della Costituzione, una specie di pelle di zigrino che si può tirare a piacimento o dichiarare intoccabile quando si tratta di rispondere alle esigenze di riconoscimento dei diritti dei cittadini, dell’introduzione dell’espropriazione legale ma golpista della sovranità dello stato mediante il pareggio di bilancio, della condanna di pagare nei secoli a venire per riempire un buco senza fondo che non abbiamo determinato noi. O della legge per la corruzione, pensata per blandire e dolcemente ricattare organizzazioni politiche ormai definitivamente assoggettate e imprenditori legittimati al malaffare. O delle politiche contro il territorio, con misure su misura per il sacco impunito, per la vendetta della natura ferita, per la rivinciita di una chimica che sa di non dover pagare debiti e sacrifici umani. O del totale abbattimento del Welfare, l’annientamento della scuola pubblica iniziato da anni ma ora condotto in porto con una spregiudicatezza da killer professionisti. Che è poi l’unica competenza che questo governo sembra possedere.
Il tranviere sostiene che il suo governo è più popolare dei partiti, secondo i sondaggisti che deve aver conservato amorosamente dalla precedente gestione. E dice anche che “oggi possiamo cominciare a vedere e toccare con mano che la disciplina di bilancio paga, la disciplina di bilancio conviene”. È una bugia, lui nemmeno sa dove portano gli austeri e rigorosi binari che segue ciecamente mentre noi sappiamo bene che tutto quello che fa non conviene a nessuno, nemmeno alle sempre chiamate in causa “generazioni future”, ché non potremo certo arricchirle domani impoverendoci oggi, buttando quel poco che abbiamo in ponti, tav, armi, sostegni a manager inetti, tagliando invece diritti, istruzione, cura, tutela dell’ambiente, sicurezza, bellezza, legalità. Perché legalità vuol dire uguaglianza dei cittadini non solo davanti alle leggi degli uomini, ma anche a quelle morali, quelle dei diritti, della dignità. Davanti a quell’imperativo morale, rimosso o sconosciuto, demolito e sbeffeggiato.