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Se due tra i fautori dei tuoi due film preferiti si uniscono, inutile dire quanto alte siano le attese e allo stesso tempo le paure.
Se infatti quel genio visionario di Michel Gondry, che in Eternal Sunshine of the Spotless mind è riuscito a mettere in scena l'altrettanta visionarietà di quel genio di Charlie Kaufman, chiama la favolosa Audrey "Amelie" Tautou come protagonista del suo prossimo film, già puoi iniziare a fremere.
Ma, come detto, la frenesia va' a pari passo con l'ansia, visto che i lavori del suddetto Gondry senza il suddetto Kaufman non hanno mai incantato del tutto, e visto anche che, giusto 2 anni fa, il regista si è lasciato sedurre dalla Hollywood commerciale per il comic movie The Green Hornet.
Ma quale modo migliore per tornare in patria e in sé, che rispolverare un classico moderno della letteratura come La schiuma dei giorni?
Il romanzo di Boris Vian prende vita sotto i nostri occhi, deliziandoci con trovate al limite dell'assurdo, colori tenui e retrò, una messa in scena fantastica -nel vero senso della parola- e accompagnata da musiche altrettanto doc che sembrano scritte apposta per incontrare la mente fervida di Gondry.
Tutto questo, almeno, c'è nella prima parte. Nella Parigi insolita e curiosa in cui vive Colin, in cui il suo aiutante tuttofare Nicolas sperimenta strane ricette e invenzioni, in cui il suo amico Chick segue assiduamente il filosofo Jean-Sol Partre, in cui, soprattutto, Colin incontra Chloé: una ragazza che accetta le sue stranezze, chiamata come la canzone di Duke Ellington quasi fosse destino, che immette il romanticismo e il sogno nella sua vita di ozioso ereditiere.
Dal magico incontro al pazzesco matrimonio, tutto scorre come sotto un incantesimo fatto di nuvole, accompagnato da musiche a volte mielose, che accentuano la bellezza parigina.
Ma durante il viaggio di nozze tutto cambia.
Quei colori, quelle trovate, quelle musiche perdono la loro gioiosità, diventando cupe e opprimenti, rispecchiando in pieno il dramma della malattia di Chloé. La ragazza è infatti affetta da una ninfea che le cresce nei polmoni, e per riuscire a curarla, Colin si manda sul lastrico: tutto attorno a loro prende così un tono più spento, il loro stesso frizzante appartamento si fa più piccolo e ingombro di ragnatele e sporcizia. Allo stesso tempo l'ossessione di Chick per Partre diventa sempre più ingestibile, mettendo a serio rischio la relazione con Alise, che per aiutarlo arriverà a scelte estreme.
Non serviranno i modi gentili di Nicolas -il personaggio meglio gestito e incantevolmente interpretato da Omar Sy- né i svariati lavori, qualcosa si è rotto, non solo tra Colin e Chloé ma nella vita di tutti che, quasi senza accorgersene, passano in un bianco e nero evocativo. Dimenticati troppo in fretta i bei momenti con i loro bei colori, quello che resta è una paura e una tensione sempre più palpabile, con la morte che incombe in macabre situazioni.
Questa distinzione tra prima e seconda parte, visibile non solo dal passaggio al bianco e nero, rende il film disequilibrato. L'inizio spumeggiante e frenetico, come un jazz solare, lascia il posto ad un cupo blues che appesantisce l'aria e lo spettatore. Quella ninfea, simbolo, chissà, di una malattia ben meno poetica, assorbe tutto il buonumore e l'ottimismo che avevano incantato e stregato, divertito e fatto sorridere, facendo incedere Mood Indigo in un territorio minato, dove l'attenzione può calare e la magia affievolirsi.
La scommessa di Gondry si può dire vinta in parte, quindi, riuscendo a realizzare un film non del tutto solido, vero, ma ricco di quelle sue trovate geniali e frizzanti che da sempre caratterizzano la sua regia -fin'ora non menzionato il topolino antropomorfo che vive con Colin e la folle sala piena di sceneggiatori che raccontano passo passo le sue giornate. Altrettanto bene se la cavano gli attori, con la sempre bella e elegante Tautou che surclassa il collega Romain Duris.
Ma, come detto, quella seconda parte, e quel finale disperato e per nulla lieto, lasciano l'amaro in bocca, e non solo agli inguaribili romantici.
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